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Un mondo ricco di significato è un mondo incantato che prega in ogni fibra

di Francesco Lamendola - 24/10/2007

 

 

E tu, signor botanico, che conosci tutti i segreti della fotosintesi clorofilliana, ti sei mai accorto -  almeno una volta nella tua vita - che gli alberi, dei quali credi di conoscere tutte le funzioni  e che tu sai classificare per generi e specie, collocando ciascuna specie nel suo contesto fisico-chimico, climatico e geografico - che gli alberi, a loro modo, pregano? Se non te ne sei accorto, compatiamo la tua scienza che sa solo classificare, descrivere, sezionare e manipolare, ma non sa avanzare di un solo millimetro al di là della pura superficie delle cose.

E tu, signor geologo, che sai o credi di sapere ogni segreto delle rocce e dei minerali, della cristallografia e della paleontologia, della tettonica a zolle e della orogenesi alpina: ti sei masi reso conto che le montagne, anch'esse, pregano, e che le loro guglie di pietra e i loro maestosi ghiacciai altro non sono che preghiere di lode e di ringraziamento, un unico inno di lode innalzato allo splendore dell'Essere?

E tu, signor astronomo, che sai calcolare i movimenti degli astri e che t'inebri alle tue stesse teorie cosmologiche, perché pensando al Big bang ti senti quasi un piccolo dio che tiene l'intero universo, per così dire, nel palmo della propria mano: ti ha mai sfiorato l'intuizione che gli innumerevoli corpi celesti che brillano nelle chiare notti d'inverno non sono semplicemente degli ammassi di gas e materia interstellare, ma un coro fastosissimo di luci che cantano la magnificenza dell'Essere, di cui anche noi siamo parte?

Eh, via, dirà qualcuno: immagini poetiche, immagini simboliche. Già, appunto: e che altro è un simbolo, se non il segno di qualche cosa d'altro, qualche cosa che ci viene suggerito e, contemporaneamente, velato dalle cose che crediamo di conoscere, perché cadono quotidianamente sotto i nostri sensi? "Simbolo", infatti, viene dal greco synballein e significa lanciare insieme; dunque, per estensione, unire o collegare due cose che appaiono distinte, ma che - in effetti - sono collegate a un livello più profondo di realtà. Dunque, dire che gli alberi, i monti e gli astri pregano,  non significa affatto volare con la fantasia: significa, semplicemente, adoperare un'immagine simbolica: riscoprire il legame nascosto, ma non per questo meno veritiero, che unisce il livello della vita fisica con il livello dell'Essere.

In altri termini: se ogni cosa promana dall'Essere, che l'ha tratta dal nulla del non-essere, allora ogni cosa ha un senso, uno scopo; e ogni cosa non è che una differente manifestazione di un unico movimento spirituale: la preghiera di lode e di ringraziamento. Le cose ringraziano l'Essere per il fatto di esistere e gli rendono lode perché nulla esiste fuori dell'Essere. Tutte le cose che esistono, esistono per pregare; e tutte le cose che pregano, levano in coro un'unica preghiera, quella rivolta all'Essere.

Ci siamo chiesti più volte in che cosa consista, esattamente, quello stato di grazia in cui sono immersi i bambini, nei quali è così evidente l'attitudine a stupirsi davanti alle cose, a percepire il mondo - che per gli adulti è un mondo ordinario - come un mondo incantato. Stupirsi, infatti, significa provare incanto davanti alle cose, ossia intuire che esse celano un profondo mistero e che tale mistero è un invito; ma presuppone la capacità, da parte nostra, di farci piccoli e umili. Per i bambini, un piccolo giardino è un bosco incantato; una vecchia villa è la dimora della Principessa e di mille bizzarri prodigi; e le lucciole che volano nella profumata notte estiva sono altrettante Fate che sussurrano all'orecchio i loro affascinanti segreti. Per l'adulto, invece, il giardino è solo un modesto giardino, circondato dal cemento; la vecchia villa è solo un edificio un po' fatiscente; e le lucciole altro non sono che particolari insetti dotati di organi luminosi. Nessun mistero, dunque. Un orsacchiotto è un pupazzo fabbricato da un'industria di giocattoli; mentre per il bambino è un compagno quasi vivo, l'ambasciatore di un regno incantato che parla una lingua sconosciuta a chi non è destinato ad udirla.

L'uomo medioevale era, un po', un bambino: nel senso migliore della parola. Per lui, ogni cosa era simbolo di un'altra cosa; e poiché egli era profondamente convinto che il mondo esiste per uno scopo ben preciso, che insomma è denso di significato, ecco che i simboli delle cose andavano decifrati per scoprirne il senso profondo. Nulla era casuale per l'uomo medioevale, tutto era una cifra di quel misterioso linguaggio di cui è intessuta l'intera creazione; e quel che abbiamo detto dell'uomo medioevale vale anche per l'uomo antico, per l'uomo delle culture tradizionali extra-europee; anche per l'uomo della civiltà contadina che era ancor viva e vegeta, nel cuore dell'Occidente, fino a due o tre generazioni fa.

Ci piace, a questo proposito, riportare alcuni passi del libro di Maurizio Bettini, Mario Lentano e Donatella Puliga Sulle spalle dei giganti. Storia e culture del Medioevo, Milano, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2005, vol. 2, pp.154-156:

 

"«Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; allora vedremo faccia a faccia». Pochi passi, come questo di san Paolo, hanno avuto un'influenza decisiva sul modo in cui il Medioevo guardava il mondo.  Partendo dalle parole di Paolo, il cristianesimo elaborò l'idea secondo cui il mondo visibile è un segno, uno specchio, una foresta di simboli, in cui tutto - dalle stelle alla terra, dagli animali alle piante alle rocce - rimanda a una realtà sovrannaturale o a una verità di fede.

"Del resto, non era la Bibbia a insegnare che il mondo era stato creato da Dio all'inizio dei tempi? Era dunque naturale che la divinità avesse infuso in ciò che creava qualcosa di se stessa, allo stesso modo in cui uno scrittore non può non trasferire una parte di sé nei libri che scrive. «Tutto questo mondo sensibile - spiega un pensatore medievale può essere paragonato a un libro scritto dalla mano di Dio»: e così come, studiando un'opera letteraria, si possono capire tante cose del suo autore, allo stesso modo, studiando il mondo, è possibile cogliere molteplici aspetti della divinità da cui il mondo stesso ha origine.

"Gli uomini di chiesa del Medioevo erano abituati a cercare, dietro l'apparenza delle cose, una sostanza più profonda e vera, di cui quell'apparenza è segno e simbolo, perché era in questo stesso modo che essi leggevano la Bibbia. Anche nella Bibbia, sotto la superficie dei racconti, delle storie a volte incredibili, dei personaggi e delle loro vicende, si nascondevano verità profonde, che spettava all'interprete individuare e rendere esplicite. Quando per esempio la Bibbia racconta la storia degli ebrei che fuggono dall'Egitto, dov'erano schiavi, e si dirigono verso la Palestina, la terra promessa, si pensava che questa storia si riferisse a un evento storico realmente accaduto, ma al tempo stesso simboleggiasse il cammino di ogni cristiano, chiamato a liberarsi dalla schiavitù del peccato e a camminare verso la terra promessa della grazia e della fede.

"Gli uomini del Medioevo applicavano all'osservazione della realtà gli stessi meccanismi di interpretazione che impiegavano per la Sacra scrittura. Ne consegue che per la cultura medievale esisteva, dentro ogni aspetto della realtà, un significato profondo da cogliere. Per esempio, il fatto che l'inizio di un nuovo giorno sia fissato alla mezzanotte significa che, come la natura passa dal buio alla luce, così l'uomo è chiamato a passare dalle tenebre del peccato alla luce del bene. Se la rosa, il più bello fra tutti i fiori, appassisce nel giro di un solo giorno, ciò accade perché Dio vuole ricordare agli uomini che la bellezza è un bene fugace e che tutte le cose terrene presto sfioriscono. Se il lupo mangia le pecore non è per la sua natura di predatore carnivoro, ma perché quell'animale rappresenta il diavolo che minaccia le pecorelle del gregge di Cristo: e così via.

"Gli uomini del medioevo hanno dunque, per così dire, uno sguardo doppio sulla realtà, o meglio ancora considerano la stessa realtà come doppia: le cose non sono mai solo se stese, ma sono anche, contemporaneamente, il segno di qualche cosa di altro e di più alto.

"Si può allora affermare che quello medievale è un mondo incantato: non solo perché Dio e Satana sono continuamente presenti sulla scena della vita e interagiscono costantemente con le vicende degli uomini (…), ma anche perché tutto quello che esiste rimanda a un senso. Nulla, neppure il ciottolo più insignificante, è lì per caso, tutto contiene un messaggio profondo che la divinità lancia ininterrottamente agli esseri umani."

 

Pur con qualche riserva (dubitiamo, ad esempio, che per l'uomo medioevale il lupo mangiasse le pecore soltanto perché rappresentava il diavolo che divora le anime), nel complesso ci sembra che questo brano rispecchi in maniera efficace la differenza fondamentale che corre tra la visione del mondo delle società pre-moderne e quelle moderne (o magari post-moderne): la convinzione, da parte delle prime, che tutto quello che esiste contenga un senso; e, di conseguenza, che nulla sia insignificante, e che tutto rimandi a un messaggio che dev'essere decifrato.

L'uomo delle società moderne, gonfio di superbia per i risultati ottenuti dalla scienza e dalla tecnica (che lui chiama, con gergo inconsapevolmente militaresco, conquiste), sorride di una simile visione del mondo e la considera, appunto, degna di un'umanità ancora bambina. Sta di fatto che quella visione del mondo, basata sulle due chiavi di volta della pregnanza di senso di tutto ciò che esiste e sul linguaggio allegorico che parlano a noi le cose, ha prodotto bazzecole come le cattedrali romaniche e gotiche, le abbazie cistercensi, la Divina Commedia, la pittura di Giotto, la scultura di Giovanni Pisano, la Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino, il Liber Abbaci di Leonardo Fibonacci; e personalità gigantesche come san Francesco e santa Chiara  - o, su un piano diverso, Innocenzo III  e Federico II.

L'apertura dell'uomo medievale, come di qualunque uomo delle società pre-moderne, alla dimensione del soprannaturale e a quella del preter-naturale (che a volte, per ignoranza, i moderni confondono tranquillamente), altro non è che la logica conseguenza di questa maniera "incantata" di vedere il mondo. Il miracolo, ad esempio, è considerato come un evento certamente raro, ma niente affatto impossibile: le "leggi" di natura non sono lì per escluderlo, poiché il miracolo giace su un piano di realtà diverso da quello della vita quotidiana.

Ecco, di questo l'uomo medievale è pienamente convinto: esistono differenti livelli di realtà, e a ciascuno di essi corrispondono diversi linguaggi delle cose. Esiste il livello naturale, quello della vita di ogni giorno; il livello preter-naturale, che oltrepassa la dimensione ordinaria ma non è in relazione diretta col divino; ed esiste il livello del soprannaturale, nel quale il divino apertamente si manifesta: "faccia a faccia", come dice San Paolo.

Quello che i nostri goffi coribanti della divulgazione scientista non sanno, è che le punte più avanzate della scienza moderna stanno giungendo a formulare ipotesi molto vicine alla visione "incantata" del mondo. Ad esempio, la fisica post-einsteniana è arrivata a ipotizzare che possano esistere livelli di realtà nei quali la materia, così come noi la conosciamo, sia suscettibile di aggregarsi in maniera diversa dall'ordinario, nonché di manifestare proprietà a noi attualmente sconosciute. In questo senso, l'idea di un corpo umano che cammina sulle acque, tanto per fare un esempio, oppure che entra in una stanza a porte chiuse, non viene più scartata a priori come assolutamente fantastica, ma è considerata come qualcosa di possibile, a determinate condizioni, senza con ciò stravolgere l'immagine "realistica" del mondo. Del resto, si tenga presente che, secondo il realismo, il quale si basa sulla cosiddetta evidenza dei sensi, il Sole si muove e la Terra sta ferma: fu in nome del realismo, e non solo della Bibbia, che la chiesa, inizialmente, condannò la concezione copernicana del cosmo.

Così, ciechi alla bellezza del mondo incantato e alla coscienza olistica, che intuisce il legame armonioso e necessario fra tutti gli enti - quelli visibili e quelli invisibili -, i moderni cantori del pensiero unico scientista guardano le cose, ma non sanno vederle; odono, ma non sanno ascoltare; toccano, ma non sanno comprendere. Si credono tanto sapienti, ma sfugge loro la trama complessiva del mondo, in quanto manifestazione dell'Essere; si vantano della loro intelligenza, ma non  sanno dire grazie per il fatto di esistere; si inorgogliscono per la loro capacità di dominare e manipolare le cose, ma sono più lontani dalla verità dell'Essere di quanto lo è un bambino di cinque anni, che sa percepire l'incanto del mondo.