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Da Napoleone alle nozze con la City i primi 200 anni di Piazza Affari

di Andrea Greco - 24/10/2007

     
Prendendo spunto dall’avvicinarsi del bicentenario della nascita della Borsa di Milano, Andrea Greco ripercorre le tappe che hanno visto affermarsi la città lombarda come principale mercato finanziario d’Italia.
Nata nel 1808 per volere del governo napoleonico, la Borsa di Milano crebbe lentamente nel corso del XIX secolo. Fu solo all’inizio del Novecento che Milano divenne la principale piazza d’affari italiana, consolidando la sua posizione sotto il fascismo e soprattutto durante il boom economico del secondo dopoguerra. A partire dalla metà degli anni ‘60, però, l’attività della Borsa cominciò a caratterizzarsi anche per l’instabilità degli scambi e delle operazioni economiche. In tal senso vanno interpretate la creazione di un’autorità di controllo, la Consob, la privatizzazione del 1998 e la fusione con la Borsa di Londra formalizzata in questi giorni.


Nascere francese e finire inglese non è forse cosa di cui ogni vecchia e rispettabile signora si vanterebbe. Ma sono cose che possono succedere a chi arriva a 200 anni di vita. Vissuti in un contesto che, parlando della Borsa italiana, non è mai stato il massimo per la finanza. Comunque non sono molte le istituzioni economiche che vantino due secoli di attività, tramite una cavalcata dai decreti di avvio dei viceré bonapartisti alla privatizzazione, poi all’incorporazione, molto global, con la City di Londra, mammut di un mondo finanziario ormai imperniato attorno a tre mega gestori planetari: Londra, Wall Street, il Nasdaq.
Il prossimo 16 gennaio il bicentenario sarà festeggiato nel segno dei tempi nuovi, a 10 anni dalla privatizzazione di Borsa Italiana e a soli tre mesi dalla fusione societaria con London Stock Exchange. Sarebbe ottuso parlare di coincidenze; questi sono segni. O, al limite, è la logica dei tempi [...]. L’excursus del listino è la necessaria declinazione di tutte le mode storiche, tutti i poteri politici ed economici dell’età moderna. Dai francesi agli austriaci, dall’Unità al fascismo, dal boom all’internazionalizzazione, la Borsa è stata uno specchio, forse un po’ smagrente, di un paese con un fitto tessuto di imprese mai troppo propense al listing. La Borsa nasce nel gennaio 1808, per volere degli occupanti francesi. La sede, al freddo e umido Monte di Pietà, è poco frequentata. È un mercato calato dall’alto, come tanti istituti napoleonici. I commercianti milanesi ne stanno alla larga. Solo in epoca preunitaria, quando il listino si sposta in piazza dei Mercanti, l’attività si rinfocola per merito dei titoli del debito pubblico (già rilevante). Ma gli scambi sono inferiori a quelli delle altre piazze europee, e perfino della mercantile Genova. Data 1859 il primo titolo azionario, la Società Ferroviaria del Lombardo Veneto. Ma solo a inizio Novecento, nella sede di piazza Cordusio, la Borsa di Milano raggiunge il centinaio di quotazioni e supera per importanza le sorelle nazionali. A Piazza Affari ci si arriva nel 1932, con la costruzione di palazzo Mezzanotte, monumentale sede fascista in stile Novecento. Dopo la parentesi nel “bunker” della galleria Meravigli, si riparte nel dopoguerra, con il decollo di volumi e quotazioni, almeno fino al ‘63, quando la nazionalizzazione delle società elettriche segna una battuta d’arresto.
Inizia una fase di instabilità, con prezzi volatili e “mosconate” quotidiane per i pochi registi di un gioco con carte segnate. C’è bisogno di un’autorità di controllo terza, e nel ‘74 nasce la Consob. Sono gli anni delle guerre finanziarie, dei Sindona, dei Calvi. Un decennio e si volta pagina, con la nascita dei fondi comuni che imbarcano il largo pubblico sull’ottovolante. Ma la vera, ultima rivoluzione è tecnologica: nel ‘91 la Borsa diventa telematica. Fine dell’immensa bolgia fumosa della sala grida, dematerializzazione dei titoli e passaggio di poteri dal “ceto di Borsa” degli agenti di cambio alle Sim. Cioè, dall’artigianato dell’intermediazione titoli a un’industria, di matrice bancaria. Nel ‘98 Borsa Italiana è privatizzata – i suoi soci sono, ancora, le banche nazionali – ed è una tappa di peso verso l’assetto attuale. A cui il gruppo guidato da Angelo Tantazzi e Massimo Capuano giunge dopo vari tentativi di quotare se stesso (un modo possibile del consolidamento) e alcuni flirt con i listini europei (Francoforte, Parigi, Amsterdam, Bruxelles). Si vedrà presto se è vero che chi arriva ultimo – alle fusioni – s’accomoda meglio. [...]