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Piazze riflessive? In margine all’intervista di Marco Revelli a "Liberazione"

di Carlo Gambescia - 24/10/2007

 

Ieri su Liberazione è apparsa un’intervista a Marco Revelli, preceduta in prima pagina da un editoriale di Antonella Marrone.
La Marrone, oltre a porre l’accento sul successo incontestabile della manifestazione del 20 ottobre, elogia la capacità dei manifestanti di essersi comportati, al tempo stesso, da appassionati militanti e intelligenti attivisti politici: critici verso il governo Prodi, ma consapevoli, purtroppo, del suo carattere di ultima spiaggia... Nulla di nuovo sotto il sole: la Marrone ha riproposto il vecchio schema del Pci “partito di lotta e di governo”, estendendolo a Rifondazione.
Invece Revelli, come è suo meritorio costume, ha alzato il tiro: “ A me è parsa una piazza esigente e molto riflessiva, usando la bella espressione di Ginsborg sul ‘ceto medio’ dei girotondi: non per dire che fosse invece questo un ‘proletariato’ riflessivo, ma che era la base sociale riflessiva d’una possibile sinistra”.
Ora, spiace per Revelli, ma definire "riflessiva" una piazza, ci sembra un gioco sociologico di parole. Per quale ragione? Le folle non sono mai riflessive. A meno che non si attribuisca ad esse un razionalità “ex post” sulla base di interviste individuali, che poi vengono considerate, sulla base dei presupposti di valore dell’intervistatore, indicative di una tendenza politica. Come ha fatto Liberazione...
L’ ”intelligenza”, piaccia o meno, non frequenta le piazze o per essere sociologicamente corretti i fenomeni di folla. Ma è "usata" da coloro che organizzano le manifestazioni, in genere un gruppo sociale specifico. Di genuino, negli individui che compongono la folla, può esservi la “rabbia sociale” e la voglia di partecipare: frutto di sentimenti ed emozioni diffusi e consolidati, per contagio psichico, una volta che si sia fisicamente scesi in piazza. Sentimenti ed emozioni, che proprio perché tali, non possono essere costitutivamente esito di calcoli e ragionamenti "ex ante". A meno che non si voglia attribuire alla folla una specie di coscienza collettiva, frutto di una sedimentata razionalità sociale, confondendo però Le Bon con Durkheim. Perché - e si tratta di un concetto ancora discusso in sociologia - la coscienza collettiva può essere attribuita a un gruppo sociale, ma non a una folla… Per farla breve: il gruppo sociale (ad esempio un' associazione) è stabile e omogeno la folla è fluttuante e disomogenea, anche se si compone di associazioni e individui, in alcuni casi, con spiccate “capacità di ragionamento”… Di qui il diverso approccio alle questioni di giustizia. Semplificando al massimo: il gruppo ragiona e giudica, la folla sragiona e condanna.
Diciamo allora che Revelli ha attribuito alla folla del 20 ottobre i caratteri del gruppo sociale. Ora, visto che nell’intervista, ha parlato di “base sociale riflessiva”, riferendosi probabilmente, ai gruppi sociali, che componevano “quella” folla, dovrebbe chiarire in una prossima intervista, come ricomporre sul piano politico di una “ possibile sinistra”, le istanze profondamente diverse dei vari gruppi sociali presenti a piazza San Giovanni. Facciamo solo un esempio.
Come conciliare le istanze dei pacifisti con quelle del sindacalismo conflittualista? Sulla base di un impossibile doppio registro tra politica interna e politica estera ? Quello tra guerra interna al capitale e pace esterna nel mondo? E come realizzare un progetto del genere, vista la saldatura tra capitalismo nazionale capitalismo internazionale?
La soluzione, crediamo, sia nell’accettazione da parte della "possibile sinistra" di un approccio realista alla politica. Ci spieghiamo meglio.
Punto primo. Sul piano interno andrebbe recuperato ed esteso il controllo sociale dell’economia, prendendo così in seria considerazione la possibilità di un allargamento, almeno iniziale, del conflitto sociale; oggi inevitabile per chiunque voglia riformare in senso sociale l’economia.
Scelta che implicherebbe - punto secondo - la difesa non solo del lavoro italiano ma anche di quello europeo. Ma come difenderlo? Sganciando l’economia italiana ed europea da quella internazionale, soprattutto statunitense. Puntando per gradi, ma con passo sicuro verso un'economia europea autocentrata… Senza per questo chiudersi nei riguardi di paesi terzi, e, soprattutto se in difficoltà, della relativa immigrazione. Di qui, considerate le più che probabili ritorsioni americane, la necessità di un pacifismo, questo sì, riflessivo. O meglio selettivo… Da valutare caso per caso.
Concludendo: mitizzare le piazze e “l’intelligenza di massa”, può essere culturalmente autogratificante e politicamente utile per far restare in vita un pessimo governo e magari non perdere voti alle prossime elezioni. Ma quella crisi “tra corpo sociale e rappresentanza politica”, così ben individuata da Revelli, può essere superata solo attraverso un approccio realista alla politica, dove il conflitto e la cooperazione come la guerra e la pace sono considerati mezzi e non fini.