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Il risveglio dell'America indiolatina

di Tiberio Graziani - 25/10/2007


Accedere alla bi-oceanità, cioè possedere contemporaneamente una facciata
sull'Atlantico ed una sul Pacifico al fine di sfuggire un sicuro accerchiamento,
costituisce uno dei principali motori della geopolitica sudamericana dai tempi
dell'indipendenza.
      François Thual (*)

      Un nome per il continente dei malintesi (1)

Se, sulle orme di Yves Lacoste, intendiamo la geopolitica come un metodo utile per
analizzare le relazioni tra la geografia e i processi storici, possiamo affermare
che ogni designazione geografica racchiude, generalmente, un significato
geopolitico. Certamente non sfugge a questa regola il subcontinente americano che
abitualmente indichiamo con l'espressione America latina. Per Lacoste, anzi,
quest'espressione è, a ragione, doppiamente geopolitica. Non solo perché
esprimerebbe, mediante una qualificazione culturale, una opposizione all'altro
grande blocco geopolitico dell'emisfero occidentale, l'America del Nord, ove è
maggioritaria la cultura anglosassone (2), ma anche perché, storicamente,
l'attribuzione "latina" fu opera di geografi, letterati e uomini politici francesi
che la utilizzarono durante la guerra di Secessione (1861-1865), a sostegno della
spedizione dell'imperatore Napoleone III in Messico (1862). Con tale espressione i
propagandisti del Secondo Impero evocavano la possibilità di nuovi legami
geopolitici - a fondamento culturale - tra gli Stati ispanici e lusofoni del
Continente americano e gli Stati europei linguisticamente affini.

L'avventura francese in Messico fu possibile in un momento storico di debolezza
degli Stati Uniti che, nel pieno di una guerra civile, non erano in grado di far
rispettare agli Europei i termini della dichiarazione Adams-Monroe, con la quale,
anni prima (1823), si erano candidati alla sovranità sull'intero "emisfero
occidentale". Il tentativo francese di rientrare in gioco nel Continente
americano, terminato, come noto, tragicamente con la fucilazione di Massimiliano
d'Asburgo (1867), fu accompagnato da una vasta opera di sensibilizzazione delle
opinioni pubbliche europee e americane. Già nel 1836, lo scrittore francese, e
consigliere di Napoleone III, Michel Chevalier aveva, nelle sue Lettres sur
l'Amérique du Nord, identificato la latinità e la cattolicità quali caratteri
distintivi del Sudamerica, apparentandolo in tal modo all'Europa meridionale e
opponendolo all'America del Nord, protestante e anglosassone. Qualche anno dopo,
fu l'abate Emmanuel Domenech, autore di un Journal d'un Missionnaire au Texas et au
Mexique (1846-1852), a includere nel concetto di America latina anche il Messico e
l'America centrale. L'espressione venne in seguito, nel 1861, utilizzata da L. M.
Tisserand per indicare ciò che fino a quel tempo era comunemente chiamato, in Europa,
Sudamerica o Nuovo Mondo.

Nello stesso torno di tempo, parallelamente al crescente impiego del termine
"America latina", si andavano sempre più affermando, in Francia, le tesi del
panlatinismo. Queste tesi, in un primo tempo sostenitrici dell'orientamento
euromediterraneo della politica estera del Secondo Impero, ben presto lo divennero
anche della politica parigina verso il Sudamerica. Vicente Romero (3) rintraccia la
caratteristica e il ritmo del "discorso panlatino" nell'evoluzione della "Revue
espagnole et portugaise" creata dall'"agente e propagandista del Secondo Impero"
Gabriel Hugelmann. La rivista che "serviva da tribuna alla politica estera francese
verso la penisola iberica" (4), cambiò il suo nome in "Revue des races latines"
(1857-1861) nel 1857, anno in cui la prospettiva eurolatina andava allargandosi
verso gli orizzonti extracontinentali.

La latinità aveva indubbiamente, osserva Alain Rouquié, "il vantaggio, limitando i
legami particolari della Spagna con una parte del Nuovo Mondo, di conferire alla
Francia doveri legittimi nei confronti delle sorelle americane, cattoliche e
romane" (5). Il panlatinismo francese, però, fu combattuto dalla Spagna in nome
della ispanità e dagli Stati Uniti in nome del panamericanismo.

In realtà, sulla base degli studi di Arturo Ardao (Génesis de la idea y el nombre de
America, 1980) e di Miguel Rojas Mix (Los cien nombres de América, 1991), è ormai
attestato che il concetto di America latina venne utilizzato per la prima volta nel
1856 dal cileno Francisco Bilbao Barquin (1823-1865) e dal colombiano José Maria
Torres Caicedo (1830-1889) (6), con un significato assai diverso da quello
attribuito ad esso dai Francesi. Per Bilbao Barquin e Torres Caceido, infatti, il
termine voleva esprimere una netta opposizione sia all'espansionismo degli
"egoisti" Stati Uniti, sia a quello della "dispotica" Europa. Il termine, che
acquisì un vero e proprio contenuto geopolitico solo a partire dal 1862, come più
sopra ricordato e nel particolare contesto del panlatinismo (7), divenne d'uso
comune soltanto quando le organizzazioni multilaterali lo adottarono dopo il
secondo conflitto mondiale (8). Prima, negli anni venti e trenta, diversi
intellettuali e politici proposero nuove denominazioni, sempre in opposizione
agli Stati Uniti, che tenevano conto dell'elemento indigeno e della sua storia e
cultura. Il peruviano Haya de la Torre (9), ad esempio, parlò di Indoamerica, mentre
Augusto "César" Sandino teorizzò il concetto di America indolatina. Queste
espressioni, tuttavia, non riuscirono ad imporsi.

È stato giustamente rilevato che il sintagma America latina indica una
"rappresentazione geopolitica relativamente recente che si oppone alla divisione
classica e geologica del continente americano in tre parti: America del nord,
America centrale e America del sud" (10). Tuttavia, tale rappresentazione,
inclusiva di Messico e America caraibica, fino a pochi anni fa largamente accettata,
è oggi nuovamente messa in discussione da chi rifiuta la "latinità" quale elemento
unificante della massa subcontinentale, come i discendenti politici degli
autoctoni (10), che ne sottolineano, peraltro giustamente, l'origine
imperialista e l'esplicito richiamo a una unilaterale egemonia culturale, e da chi,
come Moniz Bandeira (12), le contrappone, con argomentazioni geografiche,
geopolitiche ed economiche il Sudamerica, a partire dalla Comunità sudamericana
delle nazioni, quale nuovo attore della politica ed economia mondiali.

La ricerca di una designazione "autonoma" per il subcontinente dell'emisfero
occidentale - laddove non ricada nell'ambito di un'esiziale involuzione
accentuatamente ed esclusivamente identitaria, che potrebbe risolversi, per un
verso, in un inedito panismo indigenista oppure, al contrario, in un nuovo
panlatinismo imperniato sull'idea di un'America essenzialmente iberica o
romanica - rappresenta un importante elemento dell'ormai acquisita
consapevolezza, da parte delle nuove dirigenze indiolatine (13), delle
potenzialità geopolitiche del proprio spazio; uno spazio ove poter esercitare,
finalmente fuori della tutela nordamericana, la propria legittima sovranità a
partire dalle peculiarità geografiche e storico-culturali che lo
contraddistinguono.

Al di là delle contraddittorie e sovente deformanti rappresentazioni elargiteci
dagli organi di informazione, e al di là delle analisi, spesso imprecise, fuorvianti
e ideologicamente impostate, forniteci dagli addetti ai lavori, sinergicamente
tese a veicolare un'immagine di un Sudamerica ora populista, ora militarista, ora
"rivoluzionario", il tratto che accomuna le dichiarazioni e le conseguenti azioni
politiche delle nuov
e classi dirigenti di alcuni Paesi del subcontinente americano, come il Venezuela di
Chávez, la Bolivia di Morales o l'Ecuador di Correa, è proprio la consapevolezza
della sovranità territoriale e dell'integrazione continentale sudamericana (o
indiolatina), quali imprescindibili elementi per rendere il subcontinente
americano uno degli attori globali del XXI secolo.

      L'ecumene indiolatina

Mentre l'America del Nord (Canada, USA e Messico) possiede, a partire dalla
rivoluzione americana, un suo centro geopolitico ben definito (14), costituito
dagli Stati Uniti d'America, che ne svolgono l'essenziale funzione di regione
pivot, così non è per lo spazio indiolatino.

Infatti, a fronte dell'esistenza di un'area culturale, politica e sociale
identificabile come ecumene indiolatina, notiamo che essa è geopoliticamente
suddivisa in almeno due entità: il Messico, appartenente peraltro allo spazio
geopolitico nordamericano, e il Sudamerica; a queste due entità principali va
aggiunto un terzo spazio di condivisione che è costituito dall'America caraibica.

Le cause della diversa evoluzione storica e politica delle due Americhe - che hanno
consentito l'unità geopolitica per quella settentrionale ed una eccessiva
frammentazione per quella centromeridionale - sono da mettersi in relazione, oltre
che, ovviamente, alle diverse modalità di emancipazione dalle Potenze europee
(Inghilterra, Francia, Spagna e Portogallo), principalmente alla determinazione
perseguita dalle classi dirigenti statunitensi di costituirsi dapprima come
nazione bi-oceanica ed in seguito come potenza-guida dello spazio panamericano.

Fattori quali le ottime condizioni climatiche, la posizione centrale nello spazio
nordamericano e la sovranità dei litorali pacifico e atlantico hanno permesso agli
USA di svilupparsi in autonomia ed assumere un ruolo egemonico nell'intero emisfero
occidentale, a spese proprio del Sudamerica, verso il quale hanno esercitato, fin
dalla dichiarazione Monroe, una continua politica di pressione che non ha esitato a
utilizzare mezzi coercitivi e in apparente contraddizione con i proclamati ideali
di "libertà e democrazia". Si pensi per un istante al sostegno di Washington alle
dittature militari del Cile e dell'Argentina, all'aggressione di Panama, alla
massiccia presenza, durante il secolo scorso, di "consiglieri militari"
statunitensi nelle varie repubbliche sudamericane.

Oltre al fattore bi-oceanico, un altro elemento, che può aiutarci a comprendere
perché il Sudamerica non sia riuscito a costituirsi come unità geopolitica, è da
rintracciarsi nei differenti percorsi con cui l'America "spagnola" e l'America
"portoghese" si resero indipendenti dalla Spagna e dal Portogallo.

Osserviamo, infatti, che, mentre il Brasile giunse all'emancipazione in maniera
indolore, grazie al principe Pedro, la cui decisione di proclamare l'Impero del
Brasile e l'indipendenza da Lisbona (1822) permise il mantenimento dell'integrità
territoriale e successivamente la sua trasformazione in Repubblica (1889),
l'America spagnola "nonostante l'ideale d'unità che animava le lotte per
l'indipendenza non tardò a frammentarsi" (15). La creazione di diverse
repubbliche, con il patrocinio della Gran Bretagna e degli USA, alleate
nell'escludere la Spagna dal bottino sudamericano, ma concorrenti nella sua
spartizione, fu favorita "dall'immensità geografica, dalle difficoltà di
comunicazioni interne che rafforzarono l'intensità dei regionalismi esistenti e
all'espansionismo di alcune capitali" (16). I regionalismi esistenti furono poi,
assieme ad altri fattori, tra cui certamente l'ingerenza straniera nordamericana e
britannica, una delle cause dell'instabilità politica e delle guerre che segnarono
la storia degli stati sudamericani per tutto il XIX secolo.

Il filosofo e politologo argentino Alberto Buela, descrivendo le forme e la crisi
dello stato contemporaneo, ha giustamente scritto, riguardo alla particolare
genesi degli Stati sudamericani: "La finalità dello Stato-nazione americano, dal
carattere repubblicano e liberale creato al principio del XIX secolo, sarà la
creazione delle nazioni. Questo Stato-nazione tenderà ideologicamente al
nazionalismo 'de fronteras adentro', espressione dei localismi più irriducibili
incarnati dalle oligarchie vernacolari, impermeabili a una visione continentale"
(17). Il localismo e il nazionalismo di matrice illuminista concorreranno, dunque,
ad impedire la costituzione di un grande spazio politicamente ed economicamente
coeso, tale da contenere l'espansionismo nordamericano, mentre, al contrario, il
retroterra politico (e culturale) "imperiale" permetterà al nuovo Brasile
indipendente di organizzarsi come paese-continente e mantenere, per tale motivo,
la propria autonomia. Anzi, a differenza della frammentazione degli ex vicereami
spagnoli in una ventina di stati, il Brasile allargherà, dal 1822 al 1910, proprio a
spese delle "patrias chicas", le proprie frontiere lungo direttrici geopolitiche e
strategiche volte ad assicurargli sicurezza e stabilità. Degno di nota, per
l'analisi geopolitica, è inoltre il fatto che la proclamazione dell'Impero del
Brasile, oltre a conferire a quest'ultimo l'indipendenza dal Portogallo, ne
determinò, per così dire, il carattere "terrestre" e continentale: il passaggio
insomma da possedimento dell'impero coloniale e "oceanico" del Portogallo a grande
spazio geopoliticamente autocentrato. Ne è testimonianza la dislocazione delle
sue capitali: dalle costiere Salvador de Bahia (XVIII sec) e Rio de Janeiro (XIX sec.)
alla "continentale" Brasilia (XX sec.).

Il risveglio dell'America indiolatina tra tensioni locali ed integrazione
continentale

L'integrazione del Sudamerica è un antico progetto politico e geopolitico che ha
sempre stentato a realizzarsi a causa, principalmente, delle ingerenze
extracontinentali e dell'egoismo delle oligarchie locali.

La coscienza, infatti, delle strette relazioni che intercorrono tra indipendenza
nazionale, sovranità subcontinentale e giustizia sociale è sempre stata viva nelle
dirigenze autenticamente sudamericane. A tale coscienza, tuttavia, non è stata mai
associata una pratica politica conseguente, giacché lo strabismo ideologico e gli
interessi nazionalisti e classisti hanno continuamente inficiato tutte le
opportunità d'integrazione subcontinentale ed anzi sono stati strumentalizzati,
prima dalla Gran Bretagna poi, nel corso del XX secolo, dagli USA, proprio al fine di
mantenere lo spazio sudamericano gepoliticamente frammentato.

Nel passato, in particolare, le incomprensioni tra alcuni Paesi come il Brasile,
l'Argentina e il Cile, nonché la loro concorrenza nell'assumere un ruolo egemonico
nell'intera regione, hanno a lungo allontanato la prospettiva d'integrazione
continentale. Oggi, dopo le dittature degli anni '70 e l'ubriacatura liberista
degli anni '80 e '90, fenomeni che trovano una delle proprie ragioni d'essere nel
confronto geopolitico mondiale tra USA e URSS, per i Paesi del Sudamerica sembra
riaprirsi lo scenario di un'integrazione regionale su base non soltanto economica,
ma soprattutto politica. Ne sono un esempio i grandi progetti di infrastrutture
continentali, gli otto Assi di sviluppo e integrazione dell'Iniciativa para la
Integración de la Infraestructura Regional Suramericana (IIRSA), tra cui i quattro
importanti assi "bi-oceanici": l'Asse delle Amazzoni, che metterà in contatto i
porti di Tumaco (Colombia), Esmeraldas (Ecuador), Paita (Perú) con quelli
brasiliani di Manaos, Belén e Manapá; l'Asse Interoceanico Centrale che collegherà
Brasile, Perù e Cile passando per la Bolivia ed il Paraguay ed infine l'Asse del
Capricorno e quello Mercosur-Cile. Questi assi permetteranno alla nuova America
indiolatina di proiettarsi contemporaneamente sui mercati asiatici, europei e
africani.

Le nuove infrastrutture bi-oceaniche, la nazionalizzazione delle risorse
strategiche e un'equa ridistribuzione delle ricchezze nazionali sono gli elementi
che renderanno il Grossraum sudamericano una vera unità geopolitica ed un
protagonista del nuovo sistema multipolare.

Affinché ciò avvenga, tuttavia, occorre che le personalità più lucide dei vari
governi nazionali e le forze più autenticamente sudamericane sappiano bilanciare
le forze centripete e quelle centrifughe che determinano la politica interna e
quella estera dei propri Paesi, sappiano cioè resistere alle tentazioni
localistiche e, contemporaneamente, ai tentativi statunitensi di coinvolgerli in
un raggruppamento regionale panamericano, subordinato agli interessi mondiali di
Washington.

Se così sarà, Simon Bolivar non avrà inutilmente "arado en el mar".

Se così sarà, l'indipendenza continentale sarà assicurata e il sacrificio degli
antichi abitanti riscattato.

      Note

* François Thual, Abrégé géopolitique de l'Amerique latine, p. 48, Paris 2006.

1. Scrive il diplomatico ed esperto di America latina Alain Rouquié a proposito
dell'America: "Già dall'epoca di Colombo, l'America è il continente dei malintesi.
L'ammiraglio cercava la via delle Indie, ma scoprì gli indios, vale a dire il Nuovo
Mondo" (L'America latina. Introduzione all'Estremo Occidente, p. 11, Milano
2007). Il termine America per designare il Nuovo Mondo appare per la prima volta nel
1507, nella mappa che accompagnava il libro Cosmographiae Introductio
dell'umanista e cartografo tedesco Martin Waldseemüller.

2. Yves Lacoste, Géopolitique. La longue histoire d'aujourd'hui, Paris 2006, p.
132. In riferimento all'omogeneità linguistica dell'America del Nord, ricordiamo
che in Canada le lingue ufficiali sono l'inglese e il francese e i gruppi etnici così
suddivisi: inglesi 34,2 %, francesi 22,7 %, amerindi 2%, meticci 1 %, inuit 0,1 %,
altri 40 % (fonte: Calendario Atlante De Agostini 2006, Novara 2005, p. 390.

3. Vicente Romero, Du nominal "latin" pour l'Autre Amérique. Not sur la naissance et
le sense du nom « Amérique latine » autour des années 1850, "HSAL - Histoire et Société
de l'Amérique latine", n. 7, 1998, pp. 57-86.

      4. Vicente Romero, op. cit., p. 64.

      5. Alain Rouquié, op. cit., p. 19.

      6. Vicente Romero, op. cit., p. 57.

7. Alfred Mercier, Du Panlatinisme, nécessité d'une alliance entre la France et la
Confédération du Sud, 1862.

8. Luiz Alberto Moniz Bandiera, ¿America latina o Sudamerica?, "Clarin", 6/5/2005.

9. Haya de la Torre, Víctor Raúl, A dónde va Indoamérica? Editorial Ercilla, Santiago
de Chile 1935.

10. Olivier Dollfus, Amérique latine, in Dictionnaire de Géopolitique (sous la
direction de Yves Lacoste), Paris 1995, p. 134.

11. "Es necesario precisar que los únicos "latinoamericanos" que existen en
nuestros países son los descendientes directos de los españoles, franceses y
portugueses; quienes, anotamos de pasada, a pesar de que son una minoría absoluta,
detentan todo el poder político, económico, militar y hasta religioso. Ellos son los
que imponen en los planes de estudios la versión de los vencedores europeos así como el
culto a los valores de la civilización occidental moderna. De otro lado, es bastante
claro que el proceso educativo en nuestros países se transforma en un verdadero
"lavado cerebral", en algunos casos se hace en forma sutil en otras es terriblemente
brutal, todo ello al amparo de la "democracia", de los "derechos humanos" y de la
"libertad". Si piensan que exageramos revisen los planes de estudios -de primaria y
secundaria- de los países mencionados arriba, el objetivo es claro: hacer
desarraigar al amerindio e indo-mestizo de su verdadera identidad étnica y
cultural, castrarlo espiritualmente y anular su memoria histórica... podríamos
concluir afirmando que "latinoamérica" o "américa latina" no es para nada una
realidad territorial, sea de carácter subcontinental o regional, sino más bien ella
es la expresión hegemónica de una minoría de origen europeo (los latinos), quienes
gobiernan nuestros países, y son propietarios de las riquezas nacionales"
(Intisonqo Waman, ¿Existe verdaderamente la llamada América Latina asì como los
susodichos latinoamericanos? Anos 5506 de la Era Andina, agosto de 1998 de la era
vulgar).

12. Luiz Alberto Moniz Bandeira, ¿America latina o Sudamerica?, "Clarin",
6/5/2005.

13. Utilizziamo il termine "indiolatini" per designare gli abitanti dello spazio
che va dal Messico sino alle estreme propaggini del Sudamerica, con lo scopo di
sottolineare la specificità del processo storico che accomuna gli attuali
discendenti degli Europei e dei primi abitatori di questa porzione dell'emisfero
occidentale. L'espressione "indolatino", spesso usata, non ci pare appropriata,
giacché l'elemento "indo" riporta, semanticamente, all'India asiatica.

14. Messo tuttavia in crisi dalla Guerra civile del 1861-'65.

      15. François Thual, op. cit., Paris 2006, p. 13.

      16. François Thual, ibidem.

17. Alberto Buela, Formas del Estado contemporáneo in Notas sobre el peronismo,
Buenos Aires 2007, pp. 86-87.