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Baghdad: proteste per i raid contro i civili. A Tikrit ancora vittime innocenti

di Antonella Vicini - 25/10/2007

 

Baghdad: proteste per i raid contro i civili. A Tikrit ancora vittime innocenti

Mentre in Iraq continuano a contarsi tra i civili le vittime del fuoco incrociato di contractor e soldati statunitensi, negli Stati Uniti è il dibattito sulle ditte di sicurezza ad assorbire i vertici governativi. La questione esplosa dallo scorso 16 settembre, dopo l’ultima strage compiuta dalla Blackwater, si sta dimostrando ormai sempre più come affare interno agli Usa, che come una occasione per porre fine alle azioni criminose compiute su suolo iracheno nel nome della sicurezza. Se così fosse, infatti, nel mirino delle autorità statunitensi sarebbero finiti anche i soldati che (escludendo casi eclatanti come Abu Ghraib) continuano ad agire nella totale noncuranza dei diritti umani.
Il dito invece resta puntato solo contro Foggy Bottom, a rafforzare la tesi del regolamento dei conti interni.
Negli ultimi due rapporti stilati in questo periodo negli Stati Uniti sull’argomento sono emersi infatti gli sprechi, la disorganizzazione e la mancanza di controlli che caratterizzano la gestione dei contractor da parte del Dipartimento di Stato.
Uno dei documenti, reso noto ieri dal New York Times, è figlio di un’inchiesta interna allo stesso istituto in cui si rileva la mancanza di coordinamento, comunicazione e controllo sull’operato della Blackwater. Il secondo è invece una revisione contabile dell’Amministrazione che, in linea con la tendenza del momento, accusa il Dipartimento di non essere in grado neanche di documentare il lavoro di addestramento della polizia irachena, svolto dal 2004 da un’altra società privata, la Dyncorp, che ha una rete di azione molto ampia che tocca ogni luogo sfiorato - e non solo - dai tentacoli degli Usa. Secondo quanto reso noto, a Foggy Bottom sarebbero soltanto due i funzionari incaricati di controllare l’operato dei 700 uomini della Dyncorp; una situazione che renderebbe difficile, se non impossibile, accertare il loro operato. Non mancano neanche le accuse di “sprechi e frode”, ma il Dipartimento ha già chiarito che ci vorranno ancora fra “tre e cinque anni” per verificarle.
Tornando alla prima inchiesta, si tratta di un accertamento commissionato dalla stessa Condoleezza Rice: un atto dovuto per non rischiare di perdere la faccia essendo lei a capo dell’istituto finito sotto accusa, che non riguarda l’episodio specifico che vede la Blackwater come protagonista. È un’opera ad ampio raggio che mette in evidenza la totale mancanza di controllo sui contractor, suggerendo di creare un centro di coordinamento per la loro supervisione. Una soluzione in linea con la proposta avanzata nei giorni scorsi dal capo del Pentagono Robert Gates. Stando all’iniziativa della Rice, la Difesa e il Dipartimento di Stato dovrebbero sviluppare insieme anche un sistema per agire nei confronti delle famiglie degli iracheni vittime delle milizie private. In questo modo si verrebbe a colmare la distanza tra i due principali protagonisti della guerra in Iraq che da più di quattro anni ormai conducono un incessante braccio di ferro per la gestione delle questioni più importanti.
Tutti i tentativi dell’ultima ora di limitare le azioni dei contractor rispondono anche all’esigenza di mettere a tacere le polemiche e il malcontento crescente in Iraq dopo le ultime recenti azioni contro la popolazione civile. Ma le ditte private sono solo la punta di un iceberg. Il problema maggiore è quello rappresentato dalle truppe straniere, statunitensi in particolare, colpevoli non solo di atteggiamenti strafottenti e arroganti verso la popolazione, ma di vere e proprie azioni di guerra che troppo spesso fanno carne da macello dei civili. Proprio alla luce dell’ultimo pesante raid condotto domenica scorsa a Sadr City nel corso del quale sono morte anche 13 abitanti del luogo, che le fonti Usa annoverano genericamente tra i 49 “criminali” uccisi, l’ufficio di presidenza del Parlamento di Baghdad ha reso nota l’intenzione di chiedere che le attività delle forze militari statunitensi in Iraq subiscano restrizioni.
“Il Parlamento iracheno condanna queste violazioni che contrastano con i principi fondamentali della missione militare e dei diritti umani e considera con gravità queste violazioni negative perché coinvolgono la vita e la dignità degli iracheni”.
Parole che con tutta probabilità non avranno seguito, come sono già rimaste su carta le intenzioni del Ministero degli Interni di sospendere la licenza ai contractor.
Con questa iniziativa l’assemblea irachena potrebbe tentare di ottenere l’autorità che gli manca ancorandosi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che, prima della fine dell’anno, dovrà riesaminare la propria autorizzazione al mandato delle Forze Usa nel Paese, se non fosse che dell’esecutivo dell’Onu fanno parte proprio gli Stati Uniti in qualità di membro permanente con diritto di veto. In vista di quell’appuntamento, il prossimo 31 ottobre, i leader dei gruppi rappresentati in parlamento a Baghdad si riuniranno per valutare la possibilità di dar vita ad una commissione mista che studi la richiesta di restrizioni da presentare al Palazzo di Vetro. Il tema però invece che unificare i rappresentanti politici sotto la bandiera unica della lotta contro gli occupanti stranieri sta rendendo ancora più evidente la debolezza politica delle autorità irachene, divise dalla sudditanza verso gli Stati Uniti. Tra i sunniti c’è infatti chi considera la presenza americana essenziale per il futuro iracheno e chi, come i leader sciiti, contesta le incursioni dei soldati statunitensi solo nei loro quartieri e chiede che la loro presenza subisca restrizioni. E proprio mentre il dibattito va avanti, un’altra incursione aerea statunitense ha fatto registrare a Tikrit un nuovo pesante bilancio a danno dei civili. Almeno 16 persone sono state uccise, tra le quali sei donne e tre bambini, ed altre 14 sono rimaste ferite, stando all’ufficiale della polizia di Salahaddin, Jassem Mohammed. Nessuno commento dalla parte statunitense che si è limitata a confermare l’azione svolta poco prima dell’alba, proprio mentre la popolazione era in casa a dormire.