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Islanda. Volto di ghiaccio, cuore di fuoco

di Enrico Galoppini - 26/10/2007

 

 
 
 
 
Islanda. Volto di ghiaccio, cuore di fuoco


L’Europa, da Dublino a Vladivostok, dall’Atlantico agli Urali…
Quante volte abbiamo letto simili proclami? Eppure, esiste una terra che - fatta eccezione per le più occidentali Groenlandia ed Azzorre, la prima domino danese ma facente parte della placca continentale americana, le seconde sotto sovranità portoghese – rappresenta l’effettivo “estremo occidente” per quanto riguarda gli Stati europei: l’Islanda.
Dell’Islanda, la “Terra del ghiaccio”, non si sente mai parlare. A volte ci si dimentica perfino che in Europa c’è anche quell’isola, lassù a sinistra nella carta geografica. A dire il vero, l’Islanda, essendo la principale delle poche emersioni della Dorsale Atlantica, fa parte sia della placca continentale europea che di quella americana, e questa singolare linea di confine passa per il luogo più carico di significati per un popolo di circa 300.000 anime (compresi circa 18.000 stranieri: tra cui i polacchi e i lituani sono la maggioranza): il Thingvellir, ovvero la “Piana del Thing”, l’assemblea degli “uomini liberi” che nel 930 decisero che non si sarebbero mai sottomessi all’autorità di un re. Per questo gl’Islandesi si fregiano del titolo di primi a darsi un Parlamento, un’assemblea generale di tipo “barbarico”, normale in contesti nord-eurasatici fino ad epoche recenti, la quale ha avuto anche il primato di giungere fino a noi, a parte un periodo tra la fine XVIII e l’inizio del XIX durante il quale venne chiusa. Certo, almeno in Italia, la parola “parlamento” ne evoca un’altra negativissima, il “parlamentarismo”, e tutto il malaffare che gli si attribuisce a ragione, ma dopo pochi decenni dal primo insediamento pianificato ad opera di Ingólfur Arnarson, quest’assemblea che attribuiva a 48 ‘augusti’ il potere legislativo senza che le leggi venissero fissate per iscritto, e alle famiglie – come in tutti gli “ordinamenti barbarici” - quello esecutivo, rappresenta ancora un grande motivo d’orgoglio per una popolazione molto attaccata alle proprie tradizioni; al punto che – complice anche l’affinità dell’islandese con l’antica lingua dei Vichinghi – un islandese di oggi è in grado di leggere i poemi epici del proprio popolo, l’Edda di Snorri Sturluson, manuale per aspiranti scaldi (poeti presso le corti scandinave ed islandesi) scritto in norreno tra il 1222 e il 1225 (ma giunta a noi solo in manoscritti redatti dal 1300 al 1600)!
Chi, oggi, senza adeguati studi, sa leggere la Divina Commedia? Anche un arabofono se non approfondisce la conoscenza della lingua araba non può comprendere a fondo i significati del Corano!
L’Islanda fu terra di approdo per coloni provenienti dalla Norvegia e dalle isole britanniche dalla metà del IX secolo (più confuse, anche se accertate, sono le notizie relative ad una precedente colonizzazione da parte di monaci irlandesi, per non parlare dei ritrovamenti di monete romane).
Al Museo Nazionale di Reykjavík (“Baia fumosa”, perché così la vide Ingólfur Arnarson), un bel diorama illustrativo ripercorre la storia di questo popolamento e dei successivi prolungamenti in Groenlandia (la “Terra verde”) e nella costa dell’America settentrionale (dov’era ubicato il Vinland, la “Terra del vino”)… Eppure s’insiste a ripetere che “Colombo ha scoperto l’America” (vari suoi autorevoli biografi sostengono che egli, nel 1477, si fosse recato su una nave inglese in Islanda; in una chiesa di Snaefelsness c’è un dipinto moderno che lo raffigura), quando basterebbe fare una visita a questo museo che, è bene precisarlo, non è un museo della fantascienza o delle credenze popolari, ma divulga i risultati di ritrovamenti archeologici fatti in Canada sin dagli anni Sessanta!
Nello stesso Museo viene ripercorsa anche la storia del passaggio dalla religione dei Padri al Cristianesimo verso il 1000 (anche se alcuni fonti – ad es. Ari il saggio, del XII sec. – riportano che si verificò una conversione di facciata: la storia è stata ricostruita dall’antropologo Jón Hnefill Aðalsteinsson: cfr. A Piece of Horse Liver. Myth, Ritual and Folklore in Old Icelandic Sources, Reykjavík 1998, e soprattutto Under the Cloak. A Pagan Ritual Turning Point in the Conversion of Iceland, Reykjavík, 1999. Inoltre, onde evitare una guerra civile a seguito della “conversione ufficiale” degl’Islandesi, fu incaricato uno sciamano d’interpellare le divinità sul da farsi, e quelle posero delle “condizioni”, quali, ad esempio, la libertà di professare la regione tradizionale, ma in privato…); viene poi documentato il passaggio al Protestantesimo (in maniera piuttosto cruenta: nel Museo viene raffigurata la scena della decapitazione dell’ultimo vescovo cattolico di Hólar, che aveva resistito per anni alla guida di un vero e proprio “esercito popolare del nord”), nel XVI secolo, quando l’Islanda si trovava (dal 1397) sotto la corona di Danimarca, per poi rimanervi fino al 1944, anno di una curiosa “indipendenza” elargita, per una sorta di nemesi, da ‘Vichinghi di ritorno’, gli americani, che approfittarono della guerra in corso per piazzare una loro base a Keflavík per poi non togliervela più (anche se dall’anno scorso, dopo la concessione della cittadinanza islandese a Bobby Fischer, gli americani se ne sono andati, sebbene resti una base Nato)…
Ancora oggi questa sudditanza all’aspirante ‘gendarme planetario’ non viene digerita bene dalla popolazione islandese, che ad ogni modo non è affatto “chiusa” come sarebbe prevedibile per degli isolani; al contrario, considerato che tutti conoscono bene l’inglese e talvolta anche altre lingue (alle Università di Reykjavík e di Akureyri c’è anche un corso, in italiano!, di Lingua e civiltà italiana, nonché di cinese e di giapponese; l’italiano si insegna anche in 7 licei e 3 scuole medie, per un totale di 300 studenti l’anno a vari livelli), che internet è diffusissimo e che i libri vengono praticamente divorati (le biblioteche hanno orari d’apertura molto lunghi, ed io stesso sono stato ospite di un professore di lingua latina che solo nella casa che mi ospitava aveva una piccola biblioteca di libri sull’Islanda in italiano!), si può affermare che gl’Islandesi sono una delle popolazioni europee col più elevato livello d’istruzione.
Ma il motivo per cui l’Islanda ha un fascino tutto particolare è la natura. Come rileva Fabio Bourbon, autore del testo di questo bel volume illustrato riedito nel 2006 dalla White Star di Vercelli (128 pp.; 16 euro), “l’Islanda ti prende l’anima, quasi a tua insaputa, e non te la restituisce più tutta per intero: un piccolo pezzo rimane lì, tra i vulcani e i ghiacci, per sempre”. Sul “mal d’Africa” è stato scritto e detto molto, ma anche il “mal d’Islanda” posso assicurare che fa le sue vittime… La natura islandese sa essere sconvolgente, quasi inquietante, ma anche dolce, quasi da quadretto. Come la Skógafoss, la cascata di Skógar (nel cui Museo delle tradizioni popolari è conservata una moneta... araba!), dove sta lì a completare la scena, quasi dipinto, uno spettacolare arcobaleno… o la piccola Svartifoss (la “Cascata nera”), inscritta in un singolare anfiteatro di colonne basaltiche; ma altre cascate, come la Gullfoss, mettono i brividi a chi, con un po’ d’incoscienza, vi si mette accanto per ascoltarne il fragore assordante… ricordo distintamente questa sensazione: l’acqua che scorre rapida ed impetuosa come la vita… poi il salto, e tutto sparisce là in fondo, nell’oblio… la morte: ma a valle, dietro una cortina d’acqua nebulizzata come le anime ripullulanti, illuminata da un raggio di sole, s’intravede la vita che riprende a scorrere, ma lenta e quieta… Le cascate - ma solo quelle che non hanno un particolare rilievo paesaggistico - forniscono quasi l’intero fabbisogno d’energia elettrica dell’isola: ve ne sarebbe anche da esportare, senonché la posa di cavi oceanici risulta ancora troppo ardita e dispendiosa. Invece, il riscaldamento domestico proviene dall’energia geotermica. Ecco perché in Islanda non esiste praticamente l’inquinamento, fatto salvo un impianto che produce alluminio e, in certe ore, un po’ di traffico nella capitale, che raccoglie, compresa la periferia, più della metà della popolazione del Paese, mentre la seconda città, con circa 16.000 abitanti, è Akureyri, protetta al fondo di un fiordo nel nord dell’isola e che gode di un particolare microclima che, incredibile a scoprirsi, protegge un orto botanico all’aria aperta che lascia letteralmente sbalorditi. Ma è l’intera isola - a parte le regioni interne caratterizzate dalla presenza del più grande ghiacciaio europeo, il Vatnajökull (il “Ghiacciaio del lago”), e dello Hekla, il più famoso vulcano - che non ha il ‘clima polare’ che ci s’aspetterebbe, poiché la Corrente del Golfo la lambisce regalandole inverni più miti di quelli di molte regioni dell’Europa continentale. Il problema, semmai, è l’elevata latitudine (a nord viene toccato il Circolo Polare Artico), per cui gli inverni sono abbastanza tetri, con periodi di luce brevi, ma in compenso in estate – quando è la stagione ideale per viaggiare in Islanda – le giornate sono lunghe, così, specialmente a nord, il buio non è mai completo. Per girare alla scoperta di questa terra meravigliosa, l’ideale è noleggiare un’auto (meglio ancora un fuoristrada), ma può essere bello anche spostarsi con le corriere (che percorrono l’unica strada “circolare” recapitando anche la posta nei più remoti paesini), talvolta con la mountain bike, e soggiornare nei numerosi ed accoglienti ostelli, dove c’è tutto l’occorrente per cucinare; e, se si è fortunati, nei paraggi si troverà una piscina d’acqua riscaldata naturalmente dove godere del contrasto tra il tepore dell’acqua e l’aria frizzante.
L’Islanda è inoltre un paradiso per chi ama gli animali, in particolare le balene e gli uccelli. Per le prime, una puntata è d’obbligo a nord, a Husavík, per i secondi è imperdibile una traghettata fino alle Vestmannaeyjar, le “Isole degli uomini dell’Ovest”, quelle dell’improvvisa e spettacolare eruzione del 1973, i cui segni sono ancora visibili nei pressi dell’abitato evacuato all’epoca ed in parte ricostruito… isole abitate, nelle falesie, da colonie sterminate di volatili d’ogni tipo, tra i quali spiccano per la loro simpatica figura i pulcinella di mare.
Cos’altro aggiungere per convincervi a visitare l’Islanda? Meglio lasciare di nuovo la parola a Fabio Bourbon: “Innamorarsi dell’Islanda è facile, immediato, persino inevitabile: ben più difficile è voltarle le spalle e rimanerne lontano troppo a lungo. Vi pare strano, retorico, esagerato? Sfogliate queste pagine, osservate questi paesaggi primordiali, fate che la fantasia corra a briglia sciolta e lasciate che siano le immagini a parlarvi: se riuscirete ad ascoltare quanto hanno da dirvi, allora vorrà dire che siete già stati contagiati”.