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Le mirabolanti imprese della "diplomazia italiana"

di Giancarlo Chetoni - 26/10/2007

 
Al ritorno dall'India e dal Libano, il Ministro degli Esteri D'Alema è
volato a Napoli per incontrare il Ministro degli Interni d'Israele
Meir Shitrit e Jamal Zakout, consigliere di Abu Mazen, nell'ambito del
Convegno Interreligioso organizzato dalla Comunità di S. Egidio, e
rilasciare al termine dei lavori dichiarazioni di una gravità senza
precedenti. "C'è sul tappeto – ha affermato - il problema della
sicurezza (d'Israele) e dello sviluppo economico dei Territori (Gaza e
Cisgiordania) .

Fin quì niente di straordinario, eccetto che il dover registrare una
consumata abilità dialettica dell'ex duro e puro del P.C.I. nel
rendere totalmente neutro lo strangolamento di merci,
approvvigionamenti energetici e sanitari attuato ormai da mesi dal
Governo Olmert contro 1.450.000 palestinesi. Il bello arriva ora.

"Alla prima esigenza - ha affermato D'Alema - si può rispondere con il
coinvolgimento della NATO e una partnership che comprenda Gerusalemme
e i Paesi Arabi, sull'altro versante c'è l'offerta di un associazione
speciale di Israele, Palestina e Giordania all'Unione Europea".

Il 30 Gennaio del 2006 il Ministro della Difesa Martino in base
all'art 5 del Trattato del Nord Atlantico aveva chiesto all'Assemblea
Generale di Bruxelles l'associazione di Gerusalemme alla NATO.

Pannella e Bonino si erano più volte espressi nella stessa direzione.

Il Baffo di Gallipoli, di fatto, ha rivitalizato una proposta
"bipartizan" già partorita da Casa delle Libertà e Rosa nel Pugno.

Non contento di aver superato una invalicabile "red line", ha concluso
il suo intervento alla Tavola della Pace nella città partenopea
affermando: "sento di poter dire che è un impegno comune, di tutti
noi".

Il Vicepresidente del Consiglio parlava - ha inteso chiarire - a nome
della Commissione di Bruxelles e dei 27 Stati Associati.

A "Repubblica" , il giornale di cui De Benedetti è editore di
riferimento, spiegherà nello stesso giorno anche la sua idea di
partnership NATO.

"Un accordo regionale simile a quello stretto dall'Alleanza Atlantica
con i Paesi ex sovietici, dalla Siria all'Egitto".

Poi, forse accorgendosi di aver dato un calcio devastante all'immagine
dell'Italietta in tutto il Medio Oriente e anche più in là, si dovrà
correggere facendo qualche passo indietro. "Naturalmente – chioserà -
tocca agli Stati Arabi dire se sono interessati alla proposta".

Un mix, come si evince, di "Road map" per sostenere il suo alleato Abu
Mazen e di dichiarazioni particolarmente gradite all'Amministrazione
Bush e al Governo Olmert.

Se a Damasco, a Teheran e in tutto il Golfo Persico non ci sono stati
commenti ufficiali, a Beirut e nella Fascia Sud del Libano le
dichiarazioni di d'Alema hanno sollevato forti interrogativi e
inevitabili proteste.

Inutile dire che di queste reazioni non si è trovata traccia né su
giornali né su tivvù pubbliche e private di "casa nostra".

Con uscite ufficiali della Farnesina come quelle citate, presentarsi
in Libano come mediatori di pace al di sopra delle parti a questo
punto diventa problematico.

Se si aggiunge che per alleati e comprimari da quelle parti si siano
scelti reparti francesi che rispondono all'Eliseo per il Generale
Graziano e Unifil 2, da qui alla prima primavera 2008 sul campo non si
mette certo bene.

Sarkozy, anche attraverso la France Presse, manifestando una crescente
ostilità contro la Siria e Hezbollah, oltre a sollecitare a misure
sempre più restrittive contro l'Iran, sta letteralmente minando in
Libano la credibilità della Forza ONU.

La costruzione di una base USA a Kleiaat, le voci che circolano sulla
possibilità di insediamenti militari della Forza di Intervento Rapido
della Nato, di cui l'Italia fa parte con la Brigata Corazzata Ariete,
a Sidone e alla periferia di Nahr el-Bared contribuiscono a rendere la
situazione sul terreno di per sé potenzialmente esplosiva.

Contrariamente alle smentite del Ministro dell'Informazione del
Governo Siniora, Hezbollah ha fatto sapere attraverso la Televisione
al-Manar che considererebbe un intervento di Washington nel Libano del
Nord un atto di guerra. È di queste ore la notizia che gli Usa si
appresterebbero a inviare a Beirut materiale militare e "istruttori"
per l'addestramento di tre Brigate dell'Esercito Libanese.

Una Forza Militare che pattuglia congiuntamente ad UNIFIL 2 la Fascia
Sud dietro il Litani.

Ad Ottobre 2007, gli aiuti dell'Amministrazion e Bush al Governo
Siniora hanno raggiunto l'equivalente di 270 milioni di dollari.

I disastri della politica estera dell'Esecutivo Prodi non si fermano
all'Afghanistan, alla Serbia e al Kosovo, ma si stanno allargando a
macchia d'olio anche al Sudan e alla Libia.

Il Ministro degli Esteri ha recentemente negoziato un accordo
energetico con Tripoli a prezzi correnti di mercato per forniture di
metano e petrolio.

Le quantità di approvvigionamento annuo sono state sommariamente
dichiarate. L'apparente successo della Farnesina è stato macchiato da
un capitolato che prevede per il Bel Paese un esborso aggiuntivo di
800 milioni di euro in assistenza e manutenzioni ENI e di 4.2 miliardi
di dollari per la costruzione di un'autostrada che partirà dai confini
della Tunisia lungo un percorso litoraneo di oltre 1.000 km toccando
le città di Tripoli, Misurata, Surt, Ra's Lanuf e Marsa Burayqah per
arrivare a Bengasi come "finanziamento a fondo perduto a chiusura
definitiva della pagina del passato coloniale italiano in Libia".

L'intesa tra le parti è stata perfezionata durante una cena del
"nostro" Ministro degli Esteri nella residenza di Gheddafi a Bab
el-Azizia il 22 Ottobre.

Il trattato "commerciale" tra le due sponde del Mediterraneo si
protrarrà, almeno così è stato confermato dall'Agenzia Ufficiale Jana,
fino al 2042.

Ma a questo punto è bene fare una precisazione.

La produzione di petrolio libico è in costante "depletion" dagli anni
Settanta ad oggi. La Libia è passata da una produzione giornaliera di
3.2 a 1.3 milioni di barili al giorno, e toccherà il "mid point" nel
2011.

In altre parole, il Baffo di Gallipoli ha sottoscritto con il
Presidente Gheddafi un accordo lautamente oliato senza che ci sia
l'assoluta certezza che la Libia possa onorare il contratto
sottoscritto per costi crescenti di prelievo o, peggio, per
esaurimento estrattivo, rischi a parte derivanti da fattori interni ed
esterni legati ad avvicendamenti politici, colpi di stato, guerre e
modifiche territoriali.

Da anni la Libia insisteva su un "grande gesto" dell'Italia. Il
Governo Prodi ha chiuso, con evidente perdita, un contenzioso sul
tappeto dagli anni Ottanta.

Dopo la strigliata arrivata dal Kazakhistan all'ENI per la mancata
produzione del giacimento di Kashagan, le minacce di rivedere le quote
di estrazione dell'Ente di Stato, dopo aver trascinato l'Advisor
Scaroni in tribunale per danni ambientali e mancato rispetto dei
capitolati concordati al momento della commessa, il Presidente
Nazarbayev ha detto a brutto muso a Palazzo Ghigi che il suo Paese si
aspetta dall'Italia, oltre ad un impegno industriale più attivo, anche
… equilibrio… in tutte le aree regionali dove la pace è minacciata.

Le dichiarazioni di D'Alema a margine dell'Incontro con la Comunità di
S. Egidio sembrano andare (intenzionalmente) in tutt'altra direzione.

Da Novembre in poi verrà al pettine il nodo irrisolto del Kosovo dove
l'Italia, con l'aggressione aerea della Nato, sostiene dal 1999 una
posizione di grave inimicizia nei confronti di Belgrado legata da
storici legami culturali, religiosi ed economici con Mosca.

A Palazzo Chigi e alla Farnesina sembra che si sia dimenticato che
dietro il Kazakistan, che ha immense riserve accertate di gas e di
petrolio e un territorio più grande dell'intera Europa, c'è il
Cremlino.

La visita a Teheran di Putin dovrebbe consigliare alla Farnesina un
approccio meno distruttivo per gli interessi strategici del nostro Paese.

Ospitare a Roma un round Unione Europea-Iran non risolve davvero i
gravi problemi d'immagine politica dell'Esecutivo di centro-sinistra
nei Balcani e nel Vicino Oriente. Per ora non resta che incrociare le
dita.