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Lidl come Wal Mart, prezzi e diritti a zero

di An. Sci. - 28/10/2007

 
Il «libro nero» Tanto lavoro e salari da fame. Ecco la ricetta del colosso europeo della distribuzione

Commessi di tutta Europa, unitevi: si potrebbe illustrare così l'iniziativa promossa dal sindacato tedesco ver.di, il «Libro nero della Lidl», che racconta le storie dei lavoratori e delle lavoratrici del discount in tutto il continente. Una nuova edizione, che segue quella solo tedesca del 2004, e che ieri è stata presentata nella sua traduzione italiana, a cura dei sindacati Filcams, Fisascat e Uiltucs. L'autore è Handreas Hamann, che con un pool di sindacalisti-giornalisti nei vari paesi ha messo insieme le storie: si va dal Portogallo alla Polonia, dall'Italia alla Norvegia. Un viaggio attraverso 20 paesi, tutti quelli dove il colosso tedesco della distribuzione low cost ha allungato i suoi tentacoli. E il primo fatto che impressiona è come si ripetano gli stessi moduli a tutte le latitudini: carichi di lavoro abnormi, straordinari non retribuiti, intimidazioni e controlli serrati, accuse di furto per giustificare i licenziamenti, una pesante attività anti-sindacale. Ma nei pochi casi in cui si è riuscito a creare un nucleo di lotta, dove si è scioperato, la multinazionale del carrello è dovuta scendere a patti: e questo incoraggia i più restii a mobilitarsi.

Il modello Lidl ricorda un po' quello Wal-Mart: assicurare sempre il prezzo più basso ha garantito la fortuna del gruppo, che in pochi anni ha scalato le classifiche dei fatturati. Nel '90 era ancora a 3 miliardi di euro annui, nel 2006 è arrivato già a 44; e se nel 2004 era il settimo gruppo commerciale in Europa, nel 2009 arriverà al quarto posto, preceduto solo da Carrefour, Metro e Tesco. Lidl appartiene alla famiglia tedesca degli Schwartz: si parla di 6500 punti vendita in Europa (375 in Italia) e ben 100 mila dipendenti. E che la «competitività» sia per gran parte giocata sui diritti, lo confermano i numeri forniti dal sindacato: Rainer Kau, leader di ver.di, spiega che in Germania (dove sono la metà dei dipendenti, 45 mila) il costo del lavoro nel commercio incide per il 12-15% dei fatturati, mentre alla Lidl solo per il 6-8%. Così il sindacato ha puntato sull'informazione: «Fino a qualche anno fa le condizioni di lavoro erano sconosciute - spiega Handreas Hamann - ma dopo il Libro nero la Lidl si è sentita costretta ad assumere un portavoce, a fare pubblicità e a sponsorizzare iniziative ambientali e sociali».

Il Libro nero si concentra anche sui finanziamenti istituzionali ricevuti dal gruppo Lidl: la Banca mondiale e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo hanno erogato circa 300 milioni di euro per la costituzione di punti vendita nell'Europa dell'Est. Ma proprio nella Ue di recente ingresso, essendo il sindacato più debole e la disoccupazione a livelli più alti, i lavoratori Lidl subiscono gravi soprusi. Il tasso di sindacalizzazione è molto basso, anche in Germania (5%), mentre in paesi come la Francia ci sono state importanti esperienze di sciopero, sostenute dalla clientela, che hanno portato miglioramenti concreti. E in Italia? Sono sindacalizzati il 20% dei punti vendita, ma la Lidl è più dura che mai: «Nel 2003 hanno detto no alla piattaforma di contratto integrativo - spiega Sabina Bigazzi, Filcams Cgil - Per dire sì all'integrativo oggi vogliono che i lavoratori siano obbligati a fare le pulizie ovunque, anche nei posteggi; e poi vorrebbero versare il Tfr nei fondi aperti, quelli privati senza garanzie. E poi forfettizzano o non pagano gli straordinari. Davvero c'è molto lavoro da fare».