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In un mondo dominato da problemi tecnici l'esigenza ontologica si affievolisce e muore

di Francesco Lamendola - 28/10/2007

 

 

Riportiamo una pagina particolarmente significativa del filosofo francese Gabriel Marcel (Parigi 1889-1973), tratta dalla sua opera Posizione e avvicinamenti concreti del mistero ontologico, nel volume: Gabriel Marcel, Filosofia della vita, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1943, pp. 34-36. Incredibile ma vero, nell'Italia del 1943, il XXI e ultimo del fascismo, alla vigilia del crollo - il più drammatico nella storia dell'Italia moderna - si traducevano e si stampavano eccellenti testi stranieri. Povera, meravigliosa Italia, tradita da amici e da nemici e gettata, come un vaso di coccio tra vasi di ferro, nel più spaventoso cataclisma della storia, e che ancora trovava delle risorse da destinare alla cultura e alla vita dello spirito! Quando Milano e Torino erano sotto le bombe dei "liberatori" angloamericani, che si accingevano a sbarcare in forze in Sicilia - reintroducendovi la mafia e fucilando impunemente i nostri soldati fatti prigionieri - Giorgio Kaisserlian traduceva e scriveva la prefazione all'opera di un filosofo francese allora poco conosciuto fuori del suo Paese e quasi per nulla nel Nostro, il più coerente continuatore di Kierkegaard sulla scia dell'esistenzialismo di tendenza religiosa:

 

"La vita in un mondo che ha come asse l'idea di funzione è esposta alla disperazione, sbocca nella disperazione, perché in realtà questo mondo è vuoto, perché risuona come il vuoto; e se essa resiste alla disperazione, è unicamente nella misura in cui intervengono, nel seno di questa esistenza ed in suo favore, certe potenze segrete che è incapace di pensare o di riconoscere. Soltanto questa cecità fondamentale tende inevitabilmente a ridurre l'azione possibile di queste potenze, ed a privarle in fin dei conti del loro punto d'appoggio.

"Noterò da una parte che questo mondo è colmo di problemi, da un'altra che esso è animato dalla volontà di non fare nessun posto al mistero… Eliminare o tentare di eliminare il mistero è, per il mondo funzionalizzato di cui abbiamo parlato, far intervenire in presenza degli eventi che rompono il corso dell'esistenza - la nascita, l'amore, la morte - questa categoria psicologica e pseudo-scientifica del naturale che meriterebbe uno studio particolare. Non è, a dir il vero, che il residuo degradato per la quale la causa spiega l'effetto, cioè ne rende perfettamente conto. In un mondo di questa specie c'è, al contrario, un'infinità di problemi, perché le cause non ci sono conosciute in dettaglio e c'è dunque posto per delle investigazioni indefinite. All'infuori dei problemi teorici,, vi sono dei problemi tecnici innumerevoli anche loro e legati alla questione di sapere come le differenti funzioni vitali e sociali di cui si è fatto l'inventario, dopo averle bollate, possono esercitarsi senza danno le une per le altre. Tra problemi teorici e problemi tecnici la solidarietà è d'altronde rigorosa; perché i problemi teorici si riferiscono a delle tecniche determinate ed inversamente i problemi tecnici possono essere risolti solo se un certo sapere teorico è stato antecedentemente costituito.

"In un tale mondo, l'esigenza ontologica, l'esigenza di essere si estenua nella precisa misura in cui la personalità si scinde, in cui trionfa la categoria del naturale ed in cui si atrofizzano conseguentemente quel che bisognerebbe forse chiamare le potenze della meraviglia."

 

La conclusione, assai preoccupata, di Marcel rispetto a una tale tendenza non lascia spazio a equivoci o fraintendimenti (op. cit., pp. 32-34):

 

"Tante ore sono consacrate a tale funzione.  Il sonno anche è una funzione che bisogna assolvere, per poter assolvere altre funzioni. Ed è lo stesso del riposo, dello svago. (…)

"Senza dubbio degli inizi di disordine, di rottura possono manifestarsi: l'incidente sotto tutte le sue forme, la malattia. Si concepirà molto bene allora, ed è quello che succede in America, e credo in Russia, che l'individuo sia sottomesso come un orologio a delle verificazioni periodiche. La clinica appare qui come una casa di controllo e come un'officina di riparazione. E sarà ancora da questo stesso punto di vista del funzionamento che saranno considerati dei problemi essenziali come quello del birth-control.

"In quanto alla morte, essa appare più da un punto di vista obiettivo e funzionale, come un oggetto messo fuori d'uso, come una caduta nell'inutilizzabile, come un rifiuto puro.

"C'è appena bisogno d'insistere sull'impressione di opprimente tristezza che si sprigiona da un mondo che ha per essere la funzione. (…)

"Ma non vi è soltanto la tristezza di questo spettacolo per colui che guarda; vi èil sordo, intollerabile disagio sentito da colui che si vede ridotto a vivere come se si confondesse effettivamente con le sue funzioni; e questo disagio basta a dimostrar che vi è qui un errore od un abuso d'interpretazione atroce che un ordine sociale sempre di più inumano ed una filosofia inumana anche lei (che se l'ha preformato, si è in seguito modellata su questo ordine) sono ugualmente riusciti a radicare in tante intelligenze senza difesa."

 

Parole profetiche, se si pensa che furono scritte una settantina d'anni fa: prima di Hiroshima e Nagasaki, prima dello sbarco sulla Luna, prima dell'avvento dell'informatica e dell'evidenza degli sconvolgimenti climatici e ambientali prodotti da uno "sviluppo" dissennato e auto-centrato. Nella civiltà della funzione e della tecnica, l'esigenza dell'essere viene sommersa - almeno apparentemente - dal coro di mille voci e rumori, di mille problemi e, appunto, funzioni, e relegata nell'angolo più buio della nostra cantina; salvo poi riemergere, come esigenza vitale e tradita, sotto forma d'intollerabile angoscia esistenziale (vedi La nausea di Jean-Paul Sartre) o come certezza esclusiva del nostro essere-per-la-morte (come nella filosofia di Heidegger). Un mondo totalmente votato alla tecnica, ove domina il funzionalismo più esasperato e ove gli esseri umani sono degradati da persone a meccanismi, è un mondo necrofilo destinato all'auto-distruzione: questo è il monito drammatico che ci viene rivolto.

Ora, esistono bensì delle potenze segrete che lottano per contrastare la disperazione crescente che s'impadronisce degli esseri umani nella società della tecnica, le quali agiscono perfino a nostra insaputa e senza che noi siamo in grado di riconoscerle. Marcel non le nomina, ma il credente può pensare al concetto della Grazia, cioè di un dono straordinario da parte di Dio stesso per venie incontro alla debolezza dell'uomo; mentre il non credente può pensare alla capacità di automedicarsi e autorigenerarsi propria della natura stessa, almeno entro certi limiti; come avviene del corpo umano, ad esempio, nel caso della malattia o di un incidente, di una frattura e simili. Ma non bisogna illudersi che tali potenze possano fare tutto il lavoro, sostituendosi interamente alla libertà umana; in ultima analisi, solo l'essere umano può decidere di prendere in mano il proprio destino e di perdersi o di salvarsi, perché nulla e nessuno possono sollevarlo dalla precisa responsabilità di  operare delle scelte.

Al tempo stesso, in una società dominata dal funzionalismo - come abbiamo anche di recente sostenuto in polemica con lo scientismo tronfio e compiaciuto che guarda con sufficienza alla visione di un mondo incantato, propria delle società pre-moderne (nell'articolo Un mondo ricco di significato è un mondo incantato che prega), finiscono per inaridirsi quelle che Marcel chiama le potenze della meraviglia e che noi avevamo evocato parlando della capacità di stupore propria dell'infanzia.

«Non ci si stupisce più di niente»: è questa, purtroppo, una frase che oggi si sente ripetere sempre più frequentemente; e quando accadrà che anche i bambini incominceranno a non stupirsi più di nulla, allora sarà veramente il principio della fine: perché il bambino che non sa stupirsi diverrà un adulto totalmente disumanizzato: efficiente, forse, ma solo in senso tecnico; per il resto, spiritualmente morto.

La vita umana, comunque - osserva giustamente Marcel .- non può sfuggire interamente ad alcuni eventi che scardinano il regolare fluire del tempo e incrinano il processo di meccanizzazione dell'uomo stesso. Se uno di tali eventi, l'amore, può anche trasformarsi a sua volta in un rapporto puramente funzionalistico tra due persone che cercano null'altro che la manutenzione del proprio organismo - concedendosi, ad esempio, una razione di sessualità come ci si concede una razione di cibo o una giusta dose di sonno -, ve ne sono altri due il cui carattere dirompente non è dato comunque sfuggire, neanche rifugiandosi in un mondo  irto di asettica tecnologia fine a se stessa: la nascita e la morte.

Nascita e morte sono i due eventi-cardine che segnano il nostro essere-nel-mondo: il primo rende possibile il nostro percorso di perfezionamento spirituale (che non sarebbe tale se non avessimo un corpo con cui verificare la nostra forza e la nostra fragilità); la seconda ci pone una radicale domanda di senso e ci sfida a intraprendere il nostro cammino di viandanti con la massima serietà possibile. Guarda caso, sono proprio le ultime due cittadelle che il funzionalismo ipertrofico e delirante della società della tecnica sta progettando di prendere d'assalto. La nascita biologica viene sempre più artificialmente manipolata allo scopo di toglierle quel carattere sacrale e misterioso di evento trascendente, di dono che ci viene dato, per riportare il fenomeno "vita" nella prospettiva del dominio e del controllo: dalla scelta del colore degli occhi del nascituro al fatto di congelarne in vitro l'embrione e decidere se e quando farlo sviluppare e nascere, magari dopo la morte dei genitori (è già successo e succederà ancora). Il punto d'arrivo di questa manipolazione forsennata della vita sarà, secondo molti allarmanti segnali, la creazione di ibridi mostruosi che potrebbero venir destinati a particolari funzioni sub-umane: dallo svolgimento dei lavori più malsani, pesanti e pericolosi, alla fornitura di organi per i trapianti.

L'altro evento straordinario che si vorrebbe ricondurre all'alveo della pura naturalità è la morte. Per quanto ciò possa, oggi, apparire strano, vi sono già dei ricercatori che si sono posti l'obiettivo di abbattere quest'ultima frontiera, prolungando la vita fisica a tempo indeterminato. Se l'uomo è l'equivalente di una macchina, infatti, sarebbe anti-economico permettere che tale macchina si usuri prima di aver fornito tutto il rendimento (economico in primo luogo ma, all'occorrenza, anche militare) di cui è suscettibile; almeno fino a quando non si troverà il modo di rendere conveniente la sua riproduzione anziché il suo restauro (e,quel giorno, anch'essa finirà nel cestino dell'usa-e-getta, come tutte le altre merci).

Esagerazioni? Ecco allora cosa affermava, quasi trent'anni fa, Alvin Silverstein (già preside della facoltà di scienze biologiche al College di Staten Island, New York), in un libro dal titolo significativo La conquista della morte (titolo originale: Conquest of Death, 1979; tr.it. Milano, Sperling & Kupfer, 1982, p 15):

 

"Possiamo essere l'ultima generazione che muore.

"I bambini che nascono oggi potrebbero rappresentare i primi esseri umani che non conosceranno la morte naturale. L'uomo possiede oggi infinite possibilità di foggiare il proprio destino."

 

Chiaro, no?

La conclusione è evidente: quando l'ontologia, cioè la nostalgia dell'essere, viene lasciata morire, nascono i mostri di una natura che vuole rimuovere la sua origine creaturale e farsi dio di se stessa.