Non è la tortura in sé
di Naomi Klein - 22/12/2005
Fonte: Nuovi Mondi Media
Ciò che non ha precedenti non è la tortura in sé, ma il fatto che sia diventata pseudo-legale, che a fatica venga ripudiata. I presidenti Usa del passato mantenevano i loro buchi neri segreti. L’amministrazione Bush ha spezzato questo tacito accordo
Era la “Mission Accomplished” del secondo mandato di George Bush, e un annuncio di quel genere avrebbe richiesto una locazione adeguata. Ma quale poteva essere il migliore sfondo per l’infame dichiarazione “noi non pratichiamo la tortura”? Con la sua caratteristica audacia, la squadra di Bush ha stabilito che quel luogo sarebbe stato Panama City.
Era certamente una scelta coraggiosa. Ad un’ora e mezza di strada dal luogo in cui Bush pronunciava il suo discorso, infatti, i militari Usa dal 1946 al 1984 hanno gestito la Scuola delle Americhe (SOA), una controversa istituzione che se avesse avuto un motto sarebbe certamente stato “Noi torturiamo”. È qui, a Panama, come sarà più tardi sarebbe stato nella sede di Fort Benning in Georgia, che possono essere rintracciate le radici degli attuali scandali sulla tortura.
Come descritto da alcuni manuali di addestramento, gli studenti del SOA – militari e ufficiali provenienti da tutto l’emisfero – venivano addestrati in molti di quegli “interrogatori coercitivi” che ora ritroviamo ad Abu Ghraib e a Guantanamo: cattura il mattino presto per massimizzare lo shock, immediato imbavagliamento e bendaggio, nudità imposta, deprivazione e sovraccarico sensoriale, manipolazione del sonno e del cibo, umiliazioni, temperature estreme, isolamento, posizioni di stress, e molto di peggio.
Nel 1996 l’Intelligence Oversight Board del Presidente Clinton ammise che le materie di insegnamento previste dagli Usa passavano sopra a “esecuzioni di guerriglia, abuso fisico, coercizione e falsi imprigionamenti”. Alcuni tra coloro che avevano fatto parte della scuola di Panama avrebbero commesso alcuni dei crimini di guerra più feroci del continente: gli assassini dell’arcivescovo Romero, e di sei preti gesuiti a El Salvador, il sistematico rapimento di bambini dei desaparecidos in Argentina, il massacro di 900 civili in El Mozote, El Salvador, e molti altri golpe militari la cui lista è troppo fitta per potere esser elencata in questa sede.
Tuttavia, nell’ambito delle analisi del discorso di Bush nessun singolo importante mezzo d’informazione ha menzionato questa triste storia. Come mai? Perché ciò avrebbe reso necessario menzionare qualcosa di totalmente assente dal dibattito: l’ammissione del fatto che la tortura viene utilizzata dai militari Usa sin dalla guerra del Vietnam.
È una storia ampiamente documentata in una valanga di libri, documenti desegretati, manuali di addestramento della CIA, registrazioni di dibattimenti nei tribunali e commissioni varie. Nel suo libro appena uscito, A Question of Torture, Alfred McCoy sintetizza questa evidenza, fornendo una sconcertante descrizione di come nel 1950 mostruosi esperimenti finanziati dalla CIA su pazienti affetti da problemi psichiatrici e prigionieri si siano trasformati in una cornice per quello che l’autore chiama “no touch torture”, sistemi di deprivazione sensoriale e dolore autoinflitto. McCoy mostra come questi metodi siano stati testati sul campo dagli agenti della CIA in Vietnam nell’ambito del programma Phoenix e come, successivamente, siano stati importati in America Latina sotto le sembianze di “police training”.
Non sono soltanto coloro che giustificano la tortura che ignorano questa storia quando parlano degli abusi come di “alcune mele marce”. Un sorprendente numero di eminenti oppositori della tortura continua a raccontarci che l’idea di torturare i prigionieri è apparsa per la prima volta tra gli ufficiali a partire dall’11 settembre 2001, quando sono usciti allo scoperto i dettagli dei metodi usati a Guantanamo dalle sadiche menti di Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Fino a quel momento ci è stato detto: “L’America ha combattuto i suoi nemici mantenendo intatto il proprio rispetto per l’umanità”.
Il principale diffusore di questa storia (quella che Garry Wills ha definito “l’assenza di peccato originale”) è il senatore John McCain. Scrivendo su Newsweek della necessità di bandire la tortura, McCain dice che quando era un prigioniero di guerra ad Hanoi, arrivò presto alla conclusione che “noi eravamo diversi dai nostri nemici… noi, se i ruoli fossero stati invertiti, non avremmo disonorato noi stessi commettendo o approvando un trattamento così violento verso di loro”.
È una sconvolgente distorsione storica. Dai tempi in cui McCain venne preso prigioniero, la CIA ha lanciato il cosiddetto “programma Phoenix” e, come ha scritto McCoy, “i suoi agenti hanno operato in quaranta centri di interrogatori nel Sud del Vietnam che hanno ucciso più di 20.000 sospettati e ne hanno torturati molti di più”.
Per caso rende meno gravi gli orrori odierni ammettere il fatto che non è la prima volta che il governo americano utilizza la tortura, che ha utilizzato prigioni segrete già da molto tempo prima, che ha supportato attivamente regimi che cercavano di cancellare le dissidenze lanciando gli studenti dagli aeroplani? E che, più vicino a noi, fotografie di linciaggi e di torture venivano vendute e scambiate come trofei di guerra? Molti pensano di sì. L’8 Novembre, il democratico del Congresso Jim McDermott ha fatto lo sconvolgente annuncio alla Camera dei Rappresentanti che l’America non ha mai avuto problemi circa la sua integrità morale, fino ad oggi”.
Altre culture si rapportano con l’eredità della tortura dichiarando “Mai più!” Perché così tanti americani insistono nell’affrontare l’attuale crisi gridando “Mai prima”? Sospetto che ciò sia dovuto al sincero rifiuto di voler comunicare i crimini perpetrati dall’amministrazione nel passato. E oggi il ricorso così palese alla tortura non ha precedenti.
Ma bisogna avere le idee chiare su ciò che non ha precedenti: non la tortura in sé, ma la spudoratezza con cui se ne parla. I presidenti del passato mantenevano i loro buchi neri segreti; i crimini venivano commessi, ma nell’ombra, ufficialmente condannati e negati. L’amministrazione Bush ha spezzato questo tacito accordo: dopo l’11 settembre si chiedeva il diritto di torturare senza vergogna, grazie alla legittimazione di nuove definizioni e di nuove leggi. Nonostante tutti i discorsi fatti sulla tortura al di fuori dei confini Usa, l’innovazione reale è stata averla riportata tra le mura domestiche, con i prigionieri che subiscono abusi da cittadini americani in prigioni americane e vengono trasportati in nazioni terze attraverso aerei americani.
È questo affrancamento dall’etichetta di clandestinità che è così figlia di questa amministrazione politica e militare: Bush ha derubato tutti dell’imbarazzo di dover negare. Questa rottura ha un enorme significato. Quando la tortura viene praticata di nascosto ma ufficialmente e legalmente viene ripudiata, c’è ancora la speranza che, se le atrocità vengono esposte, la giustizia possa prevalere.
Quando invece la tortura diventa pseudo-legale e i responsabili negano che si tratti di tortura, quello che muore è ciò che Hanna Arendt chiamava “la persona giuridica nell’uomo”. Presto le vittime non si daranno più da fare per cercare giustizia, sicuri come sono dell’inutilità – e del pericolo – che caratterizza una richiesta del genere. È una visione molto più grande di quello che succede dentro le camere della tortura, quando ai prigionieri viene detto che possono gridare quanto vogliono tanto nessuno può sentirli e nessuno verrà a salvarli.
La terribile ironia antistorica che contraddistingue il dibattito odierno sulla tortura è che nel tentativo di sradicare i futuri abusi i crimini del passato vengono cancellati dalla memoria. Poiché gli Usa non hanno mai avuto commissioni che indaghino sulla verità, la memoria della loro complicità in crimini lontani è stata sempre fragile. Adesso queste memorie svaniscono ancora di più, e gli scomparsi scompaiono di nuovo.
Questa amnesia non va solo contro le vittime: si ripercuote anche su chi cerca di rimuovere la tortura dall’arsenale politico statunitense una volta per tutte. Ci sono ancora segnali del fatto che l’amministrazione Bush affronterà le proteste ritornando al paradigma della negazione. L’emendamento McCain “protegge ogni individuo che sia in custodia o sotto il controllo psichico degli Usa”; non dice niente dell’addestramento alla tortura o della compravendita di informazioni con l’emergente industria dei “mercenari” di interrogatori.
In Iraq il lavoro sporco è sempre stato lasciato nelle mani delle squadre della morte irachene, addestrate dagli Usa e supervisionate da comandanti come Jim Steele, che ha preparato a questo tipo di operazioni predisponendo unità simili a quelle di El Salvador. Il ruolo Usa nell’addestramento e nella supervisione del ministro degli interni iracheno è stato dimenticato, inoltre, quando 173 prigionieri sono stati recentemente scoperti in un luogo di prigionia del ministero, alcuni torturati così ferocemente che la loro pelle era letteralmente caduta. “Guardate, è una nazione sovrana. Il governo iracheno esiste”, ha detto Rumsfeld. L'affermazione ha ricordato quelle di William Colby, un uomo della CIA che in un congresso del 1971 di fronte alla domanda sulle migliaia di persone uccise sotto il programma Phoenix – programma che egli stesso aveva contribuito a promuovere – replicò che si trattava di “un’operazione sudvietnamita”.
Come dice McCoy, “se non si comprendono la storia e il fardello della complicità pubblica e istituzionale, allora non si può pensare di portare avanti riforme significative”. I legislatori risponderanno alle pressioni eliminando una porzione dell’apparato di tortura: ad esempio chiudendo una prigione, nascondendo un programma, persino arrivando a chiedere le dimissioni di una mela, oltre che marcia, veramente cattiva come Rumsfeld. Ma, avverte, “la prerogativa della tortura sarà mantenuta”.
Fonte: http://www.guardian.co.uk/usa/story/0,12271,1664174,00.html
Tradotto da Alessandro Siclari per Nuovi Mondi Media