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Il Sole dell'Est. I fondamenti della sadhana - la sincerità

di Pino Landi - 29/10/2007

 

 

 

“…C’è una sola condizione

indispensabile: la sincerità’.

L’aggettivo sincero significa

semplicemente che la volontà deve

essere una vera volontà. Se vi limitate

a pensare: ”io aspiro” e fate cose che

contraddicono l’aspirazione, o seguite i

vostri desideri o vi aprite a influenze

opposte, allora non è volontà

sincera…La sincerità nel vitale è la più

difficile da ottenere. quando tutto e’ in

accordo con l’unica verita’ o e’ una sua

espressione, questo e’ armonia…” Sri

Aurobindo

Se, come ho cercato di argomentare

nell’ultimo numero di questa rubrica, il

silenzio è un prerequisito per tutte le

pratiche, la sincerità, fondamento di cui

parlerò questa volta, è l’atmosfera dentro

cui la sadhana vive e respira.

Occorre premettere, una volta per tutte,

che le parole ed i concetti che si utilizzano

per indicare le modalità di viaggio e la

direzione di un sentiero che conduce verso

la conoscenza gnostica spesso hanno un

senso diverso, comunque più esteso,

rispetto all’uso che se ne fa nel quotidiano o

di come le medesime parole e concetti

vengono utilizzati dagli “esperti, dagli

eruditi e dai sacerdoti di una qualche

religione...

Innanzitutto la “sincerità” in cui deve

essere immersa la sadhana, non ha valenza

di “precetto”, come può essere ad esempio

il comandamento “non dire falsa

testimonianza”, e neppure il valore

meramente morale ed etico dell’esortazione

a non mentire, meno che mai un valore

coattivo, corredato di relativa sanzione,

quale appare nei codici.

Certamente per iniziare la sadhana

occorre prima essere realizzati pienamente

come uomini, quindi avere accolto

liberamente quegli imperativi etici che

consentono appunto di posizionarsi verso la

parte più elevata dell’essenza umana.

L’accettazione dei principi etici deve essere

per l’uomo libero la scelta di uno strumento

di crescita e non un obbligo morale, sociale

o giuridico. Ciò vale anche per la sincerità,

per cui il praticante è un uomo che in modo

del tutto naturale non mente e non

inganna, ma che è anche consapevole che

ciò non è sufficiente per procedere lungo il

sentiero che porta oltre l’uomo e consente

l’accesso ai piani che sono oltre quel

confine pur elevato della condizione di

umano etico, sociale, amorevole e buono.

Il praticante, ricercatore spirituale,

aspira ad una conoscenza che è gnosi,

conoscenza per identificazione, una

conoscenza la cui natura non prevede

differenziazione tra soggetto conoscente,

oggetto di conoscenza ed azione del

conoscere: è quindi una ricerca indirizzata

nella propria interiorità.

La Conoscenza e la Verità, fonte da cui

scaturisce ogni conoscenza e verità, non

sono “cosa altra” dalla medesima Coscienza

ed è quindi nell’uomo e non al di fuori di lui

che è possibile l’identità con l’Unica Fonte’,

il Divino, Sat-Cit-Ananda( Esistenza,

Conoscenza,Amore). Appare allora del tutto

evidente che la sincerità nella pratica

significa soprattutto non mentire a sé

stessi, non oscurare con la menzogna o

l’ambiguità quel paesaggio interiore che

deve essere esplorato e conosciuto. Appare

altresì evidente che se il viaggio del

praticante è un viaggio verso la Verità,

occorre in ogni momento essere nella

condizione armonica alla meta, affinché sia

più agevole procedere e la stessa Verità

possa avvicinarsi: è questa la condizione di

sincerità assoluta.

A ben vedere più che una

precondizione da ottenere, è piuttosto una

predisposizione continua, un modo di

sentire e di essere costante; negli

insegnamenti tradizionali non a caso viene

utilizzato quasi sempre l’aggettivo

qualificativo, piuttosto che il sostantivo: si

parla di sincera aspirazione, di sincera

introspezione, di volontà sincera e così

via…si potrebbe dire che tutti gli altri

fondamenti della sadhana necessitano di

questa necessaria qualificazione.

In altre parole per il praticante non conta

tanto quello che fa, quanto l’inflessione,

l’intenzione, l’atteggiamento interiore con

cui la cosa viene fatta.

Comune denominatore all’inflessione,

intenzione ed atteggiamento è l’assoluta

sincerità. Un mantra ad esempio, od una

preghiera, potranno essere ripetuti migliaia

o milioni di volte, ma produrranno ben poco

 

mutamento se saranno recitati senza la

necessaria convinzione e fiducia,

produrranno invece effetti contrari a quelli

dichiarati senza la giusta e sincera

intenzione.

Mi pare utile per procedere più

approfonditamente nella trattazione, vedere

cosa si intende nello yoga integrale per

“sincerità”, concetto centrale per questo

paradigma, consultando il :Glossario di

termini negli scritti di Sri Aurobindo”.

SINCERITA’

[La sincerità è] non permettere ad

alcuna parte dell’essere di contraddire

la più alta aspirazione verso il Divino.

(Guidance I :110)

Insistiamo tanto sulla sincerità nello

yoga – significa avere tutto l’essere

rivolto coscientemente verso l’unica

Verità, l’unico Divino. (23:564 - Lett. I,

201)

Sincerità è usata … nel senso di non

aprirsi a nient’altro che alle influenze e

agli impulsi divini. (24:1123-4 - Lett.

IV, 186)

Sincerità significa più che mera onestà.

Significa che intendete fare sul serio,

che sentite davvero ciò che dichiarate,

che siete seri nella vostra volontà.

Quando il sadhaka aspira ad essere

uno strumento del Divino e uno col

Divino, la sincerità in lui significa che è

veramente serio nella sua aspirazione

e rifiuta ogni altra volontà o impulso

eccetto quelli del Divino. (Guidance I

:110)

Essere completamente sinceri significa

desiderare solo la Verità divina,

sottomettersi sempre di più allaDRE

Divina, respingere ogni richiesta e

desiderio personali all’infuori di questa

unica aspirazione, offrire ogni azione

della vita al Divino e compierla come

un lavoro fatto senza farvi partecipare

l’EGO. Questa è la base della VITA

DIVINA. (25:205)

La sincerità è intrinsecamente

connessa alla consapevolezza. Per essere

effettivamente sinceri, occorre avere,

quanto più possibile, precisa percezione dei

movimenti del vitale e del mentale. Nella

pratica è l’esercizio della introspezione,

unito alla facoltà di discriminazione,

attraverso cui diverrà possibile individuare

quando qualche ego si appresta a

controllare i sentimenti od i pensieri e

precludergli ogni tentativo di inganno. La

falsità, nella sua forma particolarmente

subdola dell’ipocrisia, è strumento eletto

dell’ego, che diventa anche per questo uno

degli strumenti più funzionali per le forze

contrarie alla Verità ed alla Luce.

Se la coscienza di separatezza è il primo

grande peccato consumato nei confronti del

Divino, allora la menzogna è la veste con

cui la separatezza si è manifestata.

Viceversa la sincerità strappa questa veste,

mettendola a nudo e consentendo così di

ripristinare l’originaria e reale unione e

natura di ciascuna cosa nel Tutto.

In un commento dell’ 8 novembre

1957 ad un versetto del Dhammapada,

Mère parla appunto dell’ipocrisia, uno dei

peggiori difetti per chi ritiene, a torto se è

privo della sincerità, di essere su una via di

crescita e trasformazione:

“Colui che indossa la veste gialla

quando è ancora impuro, senza

controllo su sé stesso e senza lealtà, in

verità è indegno di portare la veste

gialla del monaco”.

Naturalmente, in senso letterale, la

veste gialla è l’abito dei monaci

buddisti ed è diventato l’abito di tutti

coloro che praticano l’ascetismo. Ma

non è esattamente questo che il

Dhammapada intende; intende dire che

vi sono persone che portano la veste

gialla senza essere purificate dalle loro

brutture. La veste gialla è presa come

simbolo della consacrazione alla vita

spirituale, il segno esteriore della

rinuncia a tutto ciò che non è una

concentrazione esclusiva sulla vita

spirituale.

Per impurità il buddismo intende

principalmente l’egoismo e l’ignoranza,

poiché dal punto di vista buddista, la

più grande tra tutte le brutture è

l’ignoranza. Non l’ignoranza delle cose

esteriori, delle leggi di natura e di tutto

ciò che si impara a scuola, bensì

l’ignoranza delle verità profonde delle

cose, della legge dell’essere, del

dharma.

E’ molto interessante notare che i due

difetti sui quali si insiste qui, sono la

mancanza di controllo su sé stessi e la

mancanza di lealtà. Lealtà in questo

caso significa sincerità, onestà; il

difetto che il dhammapada biasima

molto severamente è l’ipocrisia:

pretendere di voler vivere la vita

spirituale e non farlo, pretendere di

voler cercare la verità e non farlo,

ostentare i segni esteriori della

consacrazione alla vita divina, qui

simboleggiata dalla veste gialla, ma,

interiormente, occuparsi solo di sé

stessi, del proprio egoismo e dei propri

bisogni.

Vorrei terminare queste

considerazioni, che sono ben lontane

dall’aver concluso l’argomento, ritornando

in un certo qual modo all’inizio. Se la

sincerità è fondamentale per lo svolgimento

della sadhana, lo è parimenti

nell’individuazione delle motivazioni

esistenziali che ci hanno portato ad

imboccare il sentiero. Perché abbiamo

voluto farlo ? Da quale situazione

coscienziale partiamo ? Per quale motivo

trasformarsi, e verso quale trasformazione

vogliamo realmente procedere? Potremo

diventare yogi ? e se non fosse previsto nel

progetto divino per noi? Queste ed altre

domande molto simili nella sostanza

appaiono alla mente del praticante all’inizio

e lungo tutto il suo cammino. Dalla sincerità

delle sue risposte deriva l’andamento della

sadhana, la forza della sua volontà, , la

possibilità delle realizzazioni, l’aiuto che

potrà ricevere …Perchè alla volontà umana

è necessario che risponda l’intervento

Divino, e viceversa l’intervento Divino potrà

esserci a seguito di una sincera e decisa

volontà, in un duplice movimento di ascesa

e discesa…Nella ricerca spirituale quello che

importa è l'aspirazione, la volontà,

l'inflessione, ovviamente assieme al

comune denominatore dell'assoluta

sincerità. Quando sono attivate, solo allora

la realizzazione potrà essere possibile

perché sarà la Madre a fare la sadhana.

Anche dal punto di vista più pratico l'aiuto

si manifesta ampiamente e nulla potrà

mancare di quanto ci occorre. Certo se

l'aspirante non è pronto, oppure non è

sincero, non può riconoscere, accogliere ed

utilizzare ciò che realmente gli necessita,

neppure quando l'incontra, perché inganna

sé stesso in merito…