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Orwell, «1984» a Rangoon

di Alessandro Zaccuri - 30/10/2007

   
Alla metà degli anni Trenta del XX secolo, George Orwell pubblicò uno dei suoi primi romanzi, Giorni in Birmania, in cui raccontò la sua esperienza come ufficiale della Indian Imperial Police nella allora colonia britannica. Dalla lettura del libro emerge la forte avversione, maturata da Orwell durante il servizio militare, verso il dominio britannico in Oriente e in generale verso l’imperialismo del suo paese.
Secondo Alessandro Zaccuri, la descrizione fatta da Orwell dei metodi di controllo politico e sociale usati in Birmania dai britannici sarebbe uno dei modelli usati dallo stesso Orwell, per descrivere la società totalitarista del suo capolavoro
1984.

Burmese Days, titolavano nelle scorse settimane i giornali anglosassoni a proposito della sanguinosa repressione in Myanmar. Due parole che nascondono una raffinata citazione: Burmese Days, ossia Giorni in Birmania, è uno dei primi - e poi ripudiati - romanzi di George Orwell, pubblicato a metà degli anni Trenta e ispirato, appunto, alle esperienze maturate dallo scrittore come ufficiale dell’Indian Imperial Police. Non è un Paese felice, la Birmania descritta da Orwell nel libro, tanto che per molti aspetti sembrerebbe prefigurare la squallida e oppressiva Oceania di 1984, il capolavoro indiscusso del narratore inglese, portato a compimento proprio nel fatidico 1948 in cui la Corona britannica perdeva il gioiello birmano. [...]
In questa prospettiva, la «profezia» di 1984 si baserebbe in ampia misura sulle tecniche di repressione e controllo che gli stessi inglesi mettevano in atto nelle regioni orientali.
La lettura è forse un po’ troppo schematica, anche perché, nonostante sia nato in una temperie storico-politica su cui gravava l’ombra minacciosa dello stalinismo sovietico, 1984 è in realtà un testo disponibile a interpretazioni diverse e contrapposte, come dimostrano i saggi di autori diversi - da Erich Fromm a Umberto Eco, per intendersi - raccolti nel 2005 da minimum fax nel volume Mille Novecento Ottanta Quattro. Eppure resta il fatto che, più ancora che nell’Urss, le fosche previsioni di Orwell hanno trovato rispondenza proprio nelle moderne versioni dei dispotismi orientali. La meticolosa censura che ha oscurato i collegamenti Internet a Rangoon e dintorni, infatti, ha un inquietante precedente in un episodio a suo tempo sottolineato da Simon Leys, massimo sinologo di Francia, che per primo aveva reclamato diritto di cittadinanza per Orwell nella Cina maoista.
Uno dei più paradossali divieti promossi dal Partito unico del Socing (Socialismo inglese) in 1984, quello di tenere in casa canarini e altri animali domestici, è stato applicato alla lettera in Cina all’epoca della Rivoluzione culturale. Ma, se è per questo, è stato ripreso anche dai taliban in Afghanistan e, con ogni probabilità, è pronto a ripresentarsi presto in qualche altra parte del mondo.
Di sicuro c’è soltanto il fatto che, prestando servizio in Birmania, Orwell si trovò a maturare una vera e propria avversione per lo Stato che rappresentava. «Non sapevo ancora che l’Impero britannico è moribondo - annotava in un celebre scritto autobiografico del 1936, L’elefante fucilato - . Ancora meno sapevo che è di gran lunga migliore dei giovani imperi, che lo stanno soppiantando». Una riflessione, quest’ultima, che sembra anticipare la complessa visione geopolitica su cui si fonda l’amaro apologo di 1984. L’Orwell birmano è in effetti, per sua stessa ammissione, un antimperialista molto sui generis. Parteggia in cuor suo per gli indigeni, giudicando la sovranità britannica alla stregua di «una tirannia insopprimibile», ma non esita a confessare che, certi giorni, «il più grande piacere che potesse offrirmi il mondo sarebbe stato quello di piantare una baionetta nella pancia di un prete buddista». Un’ambiguità perfettamente espressa dai sentimenti che il giovane ufficiale ricorda di aver provato quando, incalzato dalla folla, è stato costretto ad abbattere un elefante sfuggito al controllo del proprietario. Una questione di animali domestici, anche questa. [...]