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Intervista ad un esperto di biocombustibili

di Soraya Fernandez J. - 01/11/2007

Per via della sua importanza riproduciamo per esteso l’intervista concessa dal dott. Miguel Dabdoub alla Rappresentante Manager dell’IBCE di La Paz, Avv. Soraya Fernández J., in occasione della sua partecipazione al Foro “Energia, Biocombustibili e Industrializzazione degli Idrocarburi. Analisi e Prospettive”, la cui organizzazione è stata appoggiata dall’IBCE. Miguel Dabdoub, di nazionalità boliviana, risiede in Brasile da oltre 25 anni, ed è una vera autorità in materia di biocombustibili a livello internazionale. A lui, la nostra riconoscenza istituzionale per la gentilezza dimostrata nel concedere l’intervista.

Soraya Fernández (SF): La ringrazio per l’intervista concessa dott. Dabdoub, le diamo il più cordiale benvenuto istituzionale alla città di La Paz, in nome dell’Instituto Boliviano de Comercio Exterior (IBCE) e dalla Cámara de Industria, Comercio, Servicios y Turismo de Santa Cruz (CAINCO) Enti che stanno portando avanti una campagna nazionale a favore della produzione ed esportazione dei biocombustibili, nel senso che Bolivia potrebbe approfittare al massimo i diversi interessi produttivi di cui dispone, tanto in funzione dell’etanolo, a partire dalla canna da zucchero e dal biodiesel, che dalla soia, mentre si sviluppano altre coltivazioni di materie prime energetiche più vantaggiose come la palma olearia, jatropha (piñón), macororó (ricino) ed altre.
IBCE e CAINCO guardano con preoccupazione il fatto che a livello governativo persistano ancora alcuni miti che impediscono di avanzare con investimenti nel settore dei biocombustibili, dovuto all’influenza di certi paesi che – dopo l’incontro Bush-Lula nel marzo del 2007 – si sono trincerati in un discorso anti biocombustibili. Per questa ragione, per noi costituisce un privilegio parlare oggi con lei, per via dell’autorevolezza dei suoi ragionamenti nel campo delle bioenergie riconosciuti a livello internazionale; ci auguriamo che i suoi concetti illustrino con maggiore chiarezza questa tematica e aiutino ad abbattere alcuni miti presenti nel paese, affinché si possano prendere decisioni più vantaggiose in funzione della creazione di posti di lavoro.
Miguel Dabdoub (MD): Sono lusingato per l’intervista che mi si concede.
SF: In primo luogo, parliamo di lei. Chi è Miguel Dabdoub, quale è la sua formazione, la sua specialità e da quanto tempo vive in Brasile e cosa l’ha spinto a farlo?
MD: Sono chimico industriale. Ho fatto un Master in Chimica Organica e dopo ho conseguito il mio dottorato (PhD) in un’Università americana e nell’Università di São Paulo. Vivo in Brasile dal 1980, da ormai 27 anni. Alcuni periodi li ho trascorsi negli Stati Uniti e dal 1989 sono cattedratico-ricercatore dell’Università di São Paulo, in una città che si trova a circa 300 chilometri, a Riberão Preto. Nel 1997 mi sono trasferito negli Stati Uniti, dove ho esercitato come professore in visita nell’Università di Michigan fino al 2000.
Successivamente sono tornato in Brasile e mi sono fermato all’Università di São Paulo, e da quindici anni sto lavorando nel campo dei biocombustibili, per una ragione molto semplice: abito nel maggiore polo produttore di etanolo del mondo, che è la città di Riberão Preto, circondata da 26 ingenios zuccherieri e distillerie di alcol, le quali oltre a produrre etanolo producono anche bioelettricità, biofertilizzanti e cibo per il bestiame, tutto quanto come derivato della canna da zucchero. In altre parole, in Brasile si è riuscito a creare un “modello ottimizzato” che va verso il perfezionamento con l’obiettivo di sfruttare in termini energetici tutti i prodotti della canna da zucchero ed è in funzione di quel lavoro che facciamo con l’industria della canna da zucchero e dell’alcol che da 14 anni ci dedichiamo allo studio del biodiesel dal punto di vista tecnico – a livello di produzione e di consumo – e abbiamo anche lavorato nella parte politica, per “l’introduzione del biodiesel come Programma Statale del Brasile”.
S.F: il suo lavoro è molto vincolato con il governo del Brasile?
MD: Sì. Attualmente copro la carica di presidente della Camera dei Biocombustibili dello Stato di São Paulo e formo parte del Gruppo Interministeriale per appoggiare la produzione e l’utilizzo dei biocombustibili del Governo Federale; di questo Gruppo Interministeriale partecipano 14 ministeri del Governo Federale, con il quale abbiamo lavorato per l’implementazione della Legge, per la Regolamentazione e per i Programmi che delineano le politiche dei prezzi, di commercializzazione, di finanziamento e di incentivi a determinati settori del ramo produttivo “per inserire a determinati cittadini che sono esclusi dai benefici economici”. Ciò ha portato dei grossi vantaggi al Programma Biodiesel, cioè, l’integrazione del piccolo e del medio produttore si è consolidata e ciò ha consentito che il produttore di grosse capacità lo inserisca nella produzione di biodiesel su grande scala.
SF: Cosa ne pensa della Bolivia dalla prospettiva di un paese che attraversa grandi cambiamenti?
MD: Dunque, quando lei mi interpella sul paese, mi piacerebbe affrontare la parte energetica; io vedo che la Bolivia possiede un grosso potenziale energetico, ma non possiamo stare tranquilli pensando che il gas naturale risolverà tutti i nostri problemi; ci sta portando dei benefici e ne porterà di più se esistono gli investimenti necessari per espandere le riserve che possediamo e per garantire le provviste future del mercato estero e di quello interno, ma il gas non risolverà tutti i problemi energetici.
Bolivia deve fare un’analisi molto dettagliata e approfondita del settore dell’elettricità ed energetico, ad esempio, di quello dei combustibili liquidi. Tradizionalmente la Bolivia ha goduto di una sovrapproduzione di benzina, in questo momento questi volumi di produzione di benzina si equilibrano con il consumo interno e con una parte del combustibile diretta verso i paesi confinanti; Bolivia deve sottoporre ad analisi il fatto che è in deficit per quanto concerne la produzione di diesel e il paese si muove con questo combustibile. Il 60% dei combustibili liquidi consumati in Bolivia hanno a che fare con il diesel, praticamente il doppio della produzione della benzina e per tale motivo la Bolivia si vede costretta a importare diesel: importa il 40% dei 720-780 milioni di litri che consuma ogni anno, ciò significa che una grande quantità di divise si trasferiscono in altri paesi, generando ricchezza ed impiego; inoltre, il programma sul diesel gode di un sussidio significativo che rappresenta intorno i 120-160 milioni l’anno; il sussidio offerto dalla Bolivia per mantenere i prezzi correnti, per questioni di carattere sociale ed economico, mi sembra che sia molto difficile che si cancelli, almeno nel breve e medio termine.
Allora, l’alternativa che abbiamo in vista è quella dell’introduzione di fonti alternative per avere una produzione interna che generi impiego nel paese, fermando così quelle divise che vanno verso l’estero di modo che ci siano degli investimenti nel paese, sviluppando, ad esempio, l’agricoltura, l’investimento industriale e, cosa più importante, intravedere la possibilità di trasformare la Bolivia in un paese autosufficiente in materia di combustibili per motori diesel; quando parlo di combustibili per il motore diesel vuole dire che potremmo aumentare la capacità di raffinazione del petrolio di cui non disponiamo, per produrre diesel; significa che noi potremmo introdurre biocombustibili come il biodiesel che richiede livelli di investimento inferiori a quelli richiesti per la costruzione delle raffinerie; l’altra possibilità che si discute da 30 anni a questa parte è quella che il GTL (miscela di carburanti sintetici ottenuti da petrolio e gas liquido) richiede un investimento considerevole, ma costituisce un’alternativa interessante; allora, qualunque di quei combustibili o la combinazione di essi può trasformare la Bolivia in un paese autosufficiente; quando si parla di esportare biocombustibili è necessario fare un’analisi più avveduto e scrupoloso.
SF: Senza dubbio, sotto quella prospettiva la sua costituisce un’opinione molto interessante. Visto che il paese possiede un grosso potenziale per la produzione di biocombustibili, lei tornerebbe in Bolivia per contribuire al suo sviluppo, con la sua conoscenza professionale?
MD: Io vengo di continuo in Bolivia, i miei legami non li ho mai abbandonati, è un legame intenso, ho degli impegni con la mia famiglia qui in Bolivia, faccio parte del sistema produttivo boliviano, generando impiego per la Bolivia e per i boliviani che si trovano fuori dal paese. Noi stiamo lavorando nella costruzione di una fabbrica di biodiesel, con ingenios boliviani, con operai boliviani e anche con professionisti boliviani, brasiliani e di altre nazionalità. Di recente abbiamo costruito e consegnato negli Stati Uniti 2 fabbriche di grande portata per la produzione di biodiesel, la prima situata nella città di Gilman, nello stato dell’illinois, per la produzione di 110 milioni di litri l’anno; l’altra, nello stato di Oklahoma, nella città di Duran. È un fatto molto importante, perché la tecnologia è stata sviluppata nell’America meridionale e viene impiegata negli Stati Uniti; nel secondo impianto, sotto un punto di vista molto interessante per quanto concerne la tematica del biodiesel, ogniqualvolta che l’azienda, oltre alla produzione, ha interesse di divulgare questo concetto, ha coinvolto a tre celebrità come l’attore Morgan Friedman, il cantore Willie Nelson e l’attrice Julia Roberts, per i quali abbiamo costruito questa seconda fabbrica. In Europa abbiamo fatto la stessa cosa, noi sin dagli inizi degli anni ’90 abbiamo lavorato con una ditta austriaca che ha per nome ENERGEA, localizzata a Vienna e con la quale abbiamo costruito 4 fabbriche: una per l’Austria, un’altra per il Regno Unito e due per l’Australia, oltre ai lavori svolti in Brasile e che continuiamo a svolgere per la produzione di biodiesel.
Esiste la volontà di voler sviluppare questo settore nel paese ed occorre che ci sia in Bolivia l’investimento necessario, perché in questo paese vediamo un grosso potenziale per la produzione di biodiesel, e in questo senso ho lavorato collaborando con il paese, nella redazione, nell’implementazione e nella lotta per far approvare la Legge 3207 per l’introduzione del biodiesel nel piano energetico; quella legge è stata approvata nel settembre 2005 e dovrebbe entrare in vigore il 30 settembre 2007.
Cosa dice la Legge? Che a partire da ottobre, ossia, precisamente da questo mese, questa settimana, la Bolivia dovrebbe miscelare il 2,5% di biodiesel in tutto il diesel che si trova sul territorio nazionale con l’osservanza di una scala che prevede il raggiungimento della miscela al 20% entro il 2015. Ciò è stato fatto sulla base di studi e di possibilità, quello che manca è regolamentare la Legge. Il Regolamento è stato analizzato e preparato, ma non è stato mai approvato, allora sotto questo aspetto, quale sarebbe la collaborazione che possiamo offrire al paese? È quella di ridiscutere la regolamentazione e prima – se necessario – dimostrare alla società che i biocombustibili portano dei benefici e un impatto positivo nel settore economico, agricolo e ambientale.
Sono molti gli impatti positivi che devono essere presi in considerazione e principalmente dobbiamo convincere a determinati settori, contrari ai biocombustibili, difensori di concetti del tutto errati, ad esempio: “sicurezza alimentare” contro “sicurezza energetica”; con l’introduzione dei biocombustibili la sicurezza alimentare in nessun momento viene compromessa, dobbiamo mettere da parte l’erronea premessa che il modello americano serve da modello per il mondo intero, il modello americano dell’etanolo ricavato dal mais è un modello da non seguire.
Dunque, il modello del Brasile che concerne la produzione di etanolo a partire dalla canna da zucchero è stato provato che è altamente efficiente, altamente generatore d’impiego; si è dimostrato tramite una curva di learning di 30 anni che è possibile produrre in totale concordanza con i benefici ambientali, con il medio ambiente; quando gli ecologisti parlano di impatti ecologici ambientali negativi, quelle argomentazioni, sono facilmente discutibili.
Per quanto concerne la sicurezza alimentare, la mia teoria si basa sul fatto che i biocombustibili invece di produrre scarsezza alimentare ci consentirebbero d’incrementare l’offerta alimentare e, per raggiungere ciò, l’ideale è scegliere quelle specie che possono essere impiegate come alimenti; un esempio: se nell’Altipiano boliviano – in Oruro e in Potosí – incentivassimo il coltivo della quinua, nelle Ande potremmo favorire non solo la quinua, ma anche l’arachide per estrarre l’olio, dall’arachide si può estrarre il 50%, più che nella soia dove si estrae solo il 18%; dalla quinua si può estrarre il 12% d’olio, eccellente olio per un eccellente biodiesel. Sono dati, questi, ottenuti dalle ricerche realizzate dal mio gruppo di ricerca; se noi realizziamo ciò, ogni volta che produciamo più biocombustibile rimarrà più proteina, più farina, più cibo, perché ogni tonnellata di soia utilizzata per produrre 200 litri di biodiesel, produrrebbe 800 chili di proteina, cosa che aumenterebbe l’offerta; se si usa la quinua, da ogni tonnellata, avanzerebbero 880 chili di proteina da essere esportata e alimentare la popolazione nei mercati, in Europa, negli Stati Uniti o in Giappone, dove già comprano quinua dalla Bolivia. L’arachide è composto dal 50% di proteina, ma potremmo pensare anche alla regione Orientale, nella regione Nord di La Paz, dove possiamo aprire il discorso con le palme del luogo; ho sentito parlare della “palma africana”, la quale è leader nella produzione di olio nel mondo, forse questa costituirebbe una delle opzioni che potrebbe adottare il paese.
Ciò nondimeno, la Bolivia deve meditare sulla sua biodiversità, sulla diversificazione delle oleose e riflettere sulle palme latinoamericane che sono native del nostro ecosistema, implementare foreste agro energetiche e produrre molto più olio, incluso oltrepassando i livelli di quello della palma africana. Un esempio è dato dalla palma latinoamericana con la quale abbiamo lavorato negli ultimi 6 anni, quella palma che in Bolivia è chiamata “Totaí”. Esistono varietà, non sono tra le più produttive quelle che si trovano a Santa Cruz o quelle del Paraguay; sono molto più produttive quelle che si trovano a Pando, nel Beni e nel Chapare ed è una palma che si sviluppa dal Messico fino alla Patagonia, la quale cresce fino ad un’altitudine che oscilla tra i 1200 e i 1600 metri, palme che resistono non solo al caldo e alla siccità, ma anche al clima freddo. Esiste un grande potenziale, quello che è più importante da fare in Bolivia è analizzare l’estensione delle aree che si necessitano per l’auto approvvigionamento, le quali non sono molto grandi per impiegarle nell’esportazione, dobbiamo pensare che Bolivia produca il suo combustibile per i motori diesel.
SF: dal momento che quella attuale costituisce una tendenza mondiale. Perché è sorta con tanta forza la possibilità di sostituire i combustibili fossili con i biocombustibili?
MD: Non possiamo trattarli come dei processi che competono tra di loro, perché sono due cose totalmente diverse tra di loro; l’etanolo sostituisce la benzina o parte di essa; il biodiesel sostituisce il diesel o parte di esso. L’alcol è complementare con la benzina, mentre il biodiesel è complementare con il diesel, ma non si può impiegare solo etanolo in una macchina a diesel, nemmeno biodiesel in una macchina a benzina.
Effettivamente, in termini di combustibile liquido, l’etanolo è molto importante, ma esso deve avere nei confronti dei vari prodotti una maggiore proiezione verso il mercato estero; per l’etanolo esiste quella possibilità, ma intravvedo una maggiore opportunità per la creazione di un mercato estero superiore a quello della benzina, perché? Il modello brasiliano ci mostra che in questo momento dal benzinaio 1 litro di alcol costa 95 centesimi di Real, mentre la benzina costa 2,5 Reales. Allora io le chiedo a lei, crede che il consumatore preferisca la benzina? La risposta è “no”. Sicuramente, preferisce l’etanolo perché è meno costoso, nonostante abbia un potere calorifico del 70%; ciò sta a significare che il consumatore invece di andare a 10 chilometri – come accade con la benzina – si muoverà a 7, ma alla fine dei conti, il risultato numerico nelle nostre tasche è positivo, perché si spende molto di meno, inoltre da un punto di vista ambientale è un combustibile più amichevole, è più pulito. Pertanto, come la Bolivia possiede ancora una produzione di benzina, necessita meno etanolo di quanto necessita di biodiesel; ha bisogno di più biodiesel perché importa e sussidia il diesel che consuma e senza diesel non si possono produrre le merci, non si possono produrre gli alimenti; per tutto quello fin qui esposto, le persone che combattono il biodiesel sostenendo che mancherà il cibo, si sbagliano enormemente.
Un altro punto da porre in rilievo – una ragione molto semplice – riguarda il benessere sociale, umano, quel combustibile proporzionerà benessere se esiste il trasporto, trasporto di merci, produzione di merci, produzione di cibi. Quanto diesel consuma la produzione della canna da zucchero? Quella della quinua? Quella della soia? Quella dei nostri frutti? O esiste la possibilità che possiamo seminare le banane nel Chapare e trasportarle per telepatia?
SF.: In definitiva, è molto importante. Cosa c’è dietro all’opposizione manifestata da Cuba e dal Venezuela nei confronti della produzione di biodiesel?
MD: Esiste un errore di analisi, perché si cammina controcorrente e ci porta a pensare che il Venezuela potrebbe essere contro, perché potrebbe perdere dei mercati per i suoi derivati di petrolio, cosa che non corrisponde al vero. Il mercato dei consumatori di derivati del petrolio è in crescita ed è un mercato globale. Ciò ce l’ha fatto vedere la Cina nelle ultime due decadi e ce lo dimostrerà l’India che crescerà nelle successive due, e il consumo di combustibili aumenterà. I paesi emergenti consumano sempre di più e in futuro ci sarà sempre più bisogno, perché deriva dalla necessità di crescita della popolazione del pianeta, allora si confondono queste cose e molto di più si confonde Cuba, quando in realtà possiede un grosso potenziale di produzione di etanolo per sostituire la benzina che viene dall’estero.
Non siamo contro i derivati del petrolio, al contrario ne abbiamo bisogno, io penso che dobbiamo incentivare la produzione di gas da petrolio e le nostre riserve – per una questione di necessità – non per una questione ambientale, perché da un punto di vista ambientale sono degli inquinanti, cioè causano molti danni all’ecosistema.
A chi afferma che il biocombustibile può causare dei danni all’ecosistema, io gli rispondo che i combustibili fossili provocano danni ancora maggiori, perché hanno un “bilancio del ciclo del carbonio negativo”, li preleviamo dalla terra per emettere dei gas nell’atmosfera, mentre che con i biocombustibili le emissioni sono ridotte, più basse e, in qualunque modo, quell’emissione viene riassorbita dalle piante durante la fotosintesi.
SF: Ma come è stata superata quella suscettibilità?
MD: Quella suscettibilità c’è stata nella decade degli anni ’70 ed è stata totalmente superata. Il Brasile è un paese di 850 milioni di ettari – se escludiamo fiumi, laghi, città e strade, abbiamo ancora 254 milioni di ettari per l’agricoltura – ma la realtà è ancora diversa: dobbiamo conservare l’Amazzonia e il Brasile solamente coltiva 6 milioni di ettari con la canna da zucchero, che sono una nullità; semina 22 milioni di ettari con soia; per tutta la produzione agricola si raggiungono i 49 milioni di ettari e per il foraggio del bestiame abbiamo 150 milioni di ettari; se decidessimo di ridurre l’allevamento del bestiame, potremmo spostare di quei 150 milioni di ettari, almeno 50 milioni di ettari in più e il Brasile potrebbe raddoppiare la produzione.
Tuttavia, la cosa più importante è quella che, se si introducono nuove tecnologie sulla stessa area, nello stesso ettaro, si produce di più, un esempio lo può dare la canna da zucchero: non ha avuto una crescita lineare con quella della produzione di etanolo; è cresciuta più dell’area coltivata, perché adesso si producono 120 tonnellate di canna da zucchero per ettaro, quando 20 o 30 anni fa si producevano tra i 50 e i 70 come è accaduto nella regione Est boliviana; ma in quel luogo si è introdotta la tecnologia e la conoscenza. Per la soia è accaduto lo stesso, si produceva dagli 1.200 agli 1.300 chili per ettaro e adesso si producono dai 2.800 ai 3.000 chili per ettaro, questa è efficienza.
SF: Allora, il discorso che recitava “alimenti o biocombustibili” è un mito del passato?
MD: È un mito che è durato il tempo che è durato il discorso di Fidel castro e di Hugo Chávez, perché noi l’abbiamo dimostrato, e perché al discorso nell’Assemblea delle Nazioni Unite il presidente brasiliano disse esplicitamente ciò che noi abbiamo risposto nei confronti della questione della sicurezza alimentare, dicemmo che: Le persone che muoiono di fame nel mondo, non muoiono per la mancanza di cibo, muoiono per la mancanza di una giusta distribuzione degli ingressi e delle risorse del pianeta, quella è la prima questione. La seconda questione è che man mano che utilizzeremo fonti non alimentari per la produzione di biocombustibili – io sono contro questa posizione – in quel caso, sì che rimpiazzeremo i cibi. Se potessimo integrare queste fonti con quelle alimentari, potremmo aumentare di più la produzione di cibo, è l’esempio della soia: se utilizziamo la soia per produrre biocombustibili, produrremmo 200 litri di biocombustibili per tonnellata di soia e avanzerebbero 800 chili di proteina vegetale (torta di soia); vale a dire che ogniqualvolta che avremmo bisogno di produrre più biocombustibili produrremmo più cibo, in questo modo l’offerta aumenterà e il prezzo si abbasserà, non aumenterà, e per gli affari questo non rappresenta un segnale negativo. Le leggi dell’economia ci mostrano che se si abbattono i prezzi con l’aumento della scala si guadagna molto di più, che non lavorando con una piccola scala a prezzi elevati.
SF: Parlando del mercato mondiale dei biocombustibili, sono questi legati al prezzo del petrolio? Nel caso in cui lo fossero, quale è il limite inferiore della loro redditività?
MD: In ogni caso, nei luoghi in cui dove non si trova legato ai prezzi del petrolio, in un determinato momento verrà associato; qualunque tipo di combustibile che lei utilizzi sarà associato al petrolio, persino il carbone lo sarebbe in un determinato momento. La questione del biodiesel cominciò in Europa come un Programma d’appoggio, di protezione agricola; successivamente con l’avvento del Protocollo di Kyoto si trasformò in un Programma Ambientale; gli ecologisti lo difesero per molto tempo per un fatto molto semplice, per la riduzione delle emissioni di gas causa dell’”effetto serra”, inoltre perché il ciclo del carbonio è positivo, ossia il diossido di carbonio emesso è catturato dalle piante per crescere e se lei pianta degli alberi, delle palme, delle foreste, la cattura o il “sequestro di carbonio” sarà ancora maggiore. Dopo la guerra dell’Iraq, il mondo si diede conto che i prezzi del petrolio non sarebbero stati più quelli di una volta e il programma dei biocombustibili suscitò l’interesse di molti paesi – tra questi l’Unione Europea, il Brasile, gli USA – come un “Programma Energetico” e lì la matrice energetica globale comincia a cambiare: stiamo assistendo alla nascita di una nuova era energetica, dove i biocombustibili s’integrano con i combustibili fossili per allungare la scadenza delle risorse mondiali.
SF: Vale a dire che, nonostante il loro prezzo sia legato al petrolio, la loro redditività è buona?
MD: La redditività dipenderà dalla scala che si raggiungerà nella produzione; l’esempio è l’etanolo del Brasile. Perché il Giappone e gli Stai Uniti guardano al Brasile come un buon esempio ed è l’invidia del mondo in questo momento? Perché il Brasile ha investito in un Programma sull’Etanolo da 20 anni, il quale è stato molto costoso, perché dovette imparare, ma il Brasile rischiò molto per avere un’innovazione tecnologica. Brasile investì 20 mila milioni di dollari nel Programma sull’Etanolo, non è stato solo una questione di ingenios, si investì molto di più, s’investì sotto forma di sussidi, che non consento più che si chiamino così, perché è stato un “investimento”… quei 20 mila milioni di dollari sono stati pagati otto volte, i ricavi ottenuti dal Brasile con l’etanolo sono stati di 160 milioni di dollari, oltre al fatto che ha prodotto lavoro diretto e indiretto, ha sviluppato tecnologia di impianti, di motori automobilistici e il paese ne ha guadagnato; in realtà, il mondo ne ha guadagnato, consiglierei di copiare il modello brasiliano.
Cuba, Bolivia, Colombia, Paraguay, l’America Centrale e l’Africa devono adottare la produzione di etanolo a partire dalla canna da zucchero e non a partire dal mais come fanno gli USA, o a partire dai cereali o dalla barbabietola come fa l’Europa, perché non sono competitivi. Affinché lei se ne faccia un’idea le posso affermare che il costo per produrre un litro di etanolo in Brasile è di 14 centesimi di dollaro; quello americano è di 28 centesimi e l’Europeo di 56 centesimi. Se tutta la produzione s’integrasse come nel caso della canna da zucchero, si approfitterebbe della bagassa per produrre bioelettricità; se s’installa la produzione di zucchero affianco a quella di etanolo si approfitterebbe del biofertilizzante; si applicherebbe la rotazione agraria per evitare la spesa dei fertilizzanti chimici, in questo modo si ha un progetto efficiente da un punto di vista energetico, medio ambientale ed economico.
Per questa ragione in Brasile è fattibile la produzione dell’etanolo che costa il 40% il prezzo della benzina, per tale motivo le dicevo che, secondo il mio punto di vista, Bolivia dovrebbe incentivare la produzione di etanolo affinché s’incoraggi il consumo di questo biocombustibile nel paese e avere più benzina da esportare con i prezzi del mercato internazionale perché, in realtà, noi vendiamo la benzina al prezzo del mercato interno con un “prezzo politico-sociale” che provoca dei danni all’erario nazionale, con danaro che potrebbe essere impiegato allo sviluppo socio-ambientale e industriale del paese.
SF: Quali sono i paesi che capeggiano la produzione dei biocombustibili e quali spiccano nella produzione?
MD: In questo momento i leader della produzione mondiale di etanolo sono gli USA e il Brasile. Difatti, Brasile è stato il maggiore produttore di etanolo durante 30 anni. In termini di energie rinnovabili, il leader indiscutibile è il Brasile, perché oltre all’etanolo, utilizza la bagassa per produrre bioelettricità, inoltre produce energia idroelettrica in forma efficiente e su grande scala. In termini di biodiesel il leader nella produzione e nel consumo è la Germania, il secondo paese è la Francia, per quanto concerne il terzo, c’è una lotta tra gli USA e l’Italia e attualmente con l’entrata in vigore della nuova Legge brasiliana a gennaio del 2008, Brasile passerà a giocare un ruolo molto importante tra i maggiori produttori di biodiesel nel contendere quel terzo o quarto posto.
SF: Il Venezuela si è dichiarata contro i biocombustibili, tuttavia richiama l’attenzione il fatto che nell’ambito degli Accordi di Cooperazione Energetica sottoscritti con il Brasile, abbiano assimilato la tecnologia per produrre etanolo e stavano dialogando con PETROBRAS per produrre biodiesel.
MD: Il Venezuela è stato uno dei primi paesi ad acquistare l’etanolo brasiliano. Il Brasile esporta etanolo verso il Venezuela per miscelarlo con la benzina, perché l’etanolo sostituisce molto bene il piombo contenuto nella benzina, il quale è un contaminante che produce danni alla salute e al medio ambiente e il Venezuela lo fa già da un bel po’ di tempo. Venezuela possiede tutta la conoscenza per analizzare con attenzione questa materia, esistono anche delle trattative con il Brasile. Penso che l’argomento del Venezuela a sfavore dei biocombustibili sia solo una questione di retorica politica, in rapporto con la sua posizione internazionale nei confronti degli Stati Uniti e con il Brasile. Se ricordiamo le dichiarazioni del presidente venezuelano sono molto chiare: il modello americano – e io sono completamente d’accordo con lui – non è un modello efficiente e sostenibile; il modello brasiliano può essere accettato, perché questo modello deve confrontarsi affinché Cuba lo accetti, perché Cuba è un importante giocatore nel mercato internazionale dello zucchero e la sua popolazione ha anche diritto all’energia. Dobbiamo pensare in una forma più globale e spoglia dalle tendenze ideologiche nei confronti dei biocombustibili. Ripeto sempre che è importante alimentare e vestire a un essere umano che preservare un albero, ciò non vuol dire che sono contro la conservazione della foresta o dell’Amazzonia, no, io difendo lo sviluppo sostenibile, intelligente, controllato da regole legali, questa considero che sia la cosa più intelligente.
SF: Ma è vero che il Venezuela stava conversando con PETROBRAS per produrre del biodiesel in 3 anni? Si parlava anche che si sarebbero installati 15 ingenios in 5 anni…
MD: Noi abbiamo ricevuto commissioni venezuelane per analizzare la questione del biodiesel. Venezuela possiede un enorme potenziale che gli consentirà per molto tempo di essere la grande potenza energetica del nostro continente, non solo con il petrolio, ma anche per il suo clima, il suo suolo, la sua geografia, compresa la parte dei biocombustibili e ciò, in un determinato momento, i venezuelani sicuramente lo analizzeranno. Ad esempio, con la produzione della palma africana dove si concentra la “zona rossa”, che è la zona più importante dell’America meridionale per la produzione della palma africana: Colombia, Venezuela, Ecuador, il Nord del Brasile, il Nord della Bolivia; la circoscrizione di Pando è considerata zona rossa; dopo subentrano le circoscrizioni che si trovano a Nord di La Paz, o nel Chapare considerato “zona arancione”, la quale abbiamo contrassegnato durante il mappaggio della produzione mondiale delle palme.
SF: Poc’anzi si accennava al fatto che il Venezuela avrebbe installato 15 ingenios di etanolo nel giro di 5 anni…
MD: Ciò dipenderà dalla politica del momento. Attualmente il Venezuela critica i biocombustibili; in apparenza s’intravvede un cambio di rotta sul tema dei biocombustibili, ma ho l’impressione che sia solo momentaneo, una questione di posizionamento da potenza a potenza che il Venezuela dovrà esaminare, i benefici che potrà ottenere, e ciò accadrà quando perderanno forza i loro argomenti sulla sicurezza alimentare i quali si sono indeboliti molto, perché è evidentemente dimostrato che i biocombustibili portano più benefici che danni alla sicurezza alimentare; dunque, la difesa di determinati governi che hanno perso la forza su quel argomento, deriva dal settore ecologico della salvaguardia degli ecosistemi e nuovamente possiamo aggiungere che ciò non provocherà nessun danno se vengono applicati gli opportuni meccanismi di produzione.
SF: La svolta del Venezuela è avvenuta ad aprile, nell’isola Margarita… si sa che il Venezuela importava etanolo dal Brasile; di recente il Presidente Chávez ha dichiarato di essere disposto a finanziare nell’America centrale fabbriche per la produzione di etanolo. Cosa c’è di vero su tutto questo?
MD: Dunque, questo lo dovremmo chiedere ai funzionari del governo venezuelano, a Chávez. Se ciò dovesse avvenire mi sembra un’idea intelligente, si tratterebbe – come lui dichiara così bene nella sua Rivoluzione Bolivariana – di potenziare le Americhe dal punto di vista energetico; non vedo nulla di errato in tutto ciò, non dobbiamo perderci nella lettura rigo per rigo sui discorsi fatti per un determinato pubblico, interno o esterno che sia, perché su questa questione nessuno è sciocco e sicuramente Chávez non lo è nemmeno, sa bene dove gli stringe la scarpa e sa anche che il maggiore socio economico si chiama USA, è al quale più vende ed è quello che più investe nel suo paese.
SF: Riguardo al finanziamento dei paesi dell’America meridionale?
MD: Non mi sembra che, sotto questo aspetto, qualunque politica che provenga dal Venezuela o da altri paesi sia sbagliata, no lo credo proprio; quest’idea dovremmo incentivarla, spogliati ovviamente dalle questioni ideologiche, sia nell’America centrale che in Africa, questi progetti vanno incentivati. Noi abbiamo lottato e abbiamo raccomandato che il governo brasiliano faccia lo stesso. Brasile deve aiutare ad altri paesi ad adottare la tecnologia che ha sviluppato per il proprio beneficio e per quello degli altri paesi, giacché dobbiamo mettere da parte le ipocrisie, ciò rappresenterebbe un beneficio per tutti quanti noi, compresi i paesi che producono gas e derivati del petrolio.
SF: Il timore del Venezuela è che gli USA sostituiscano l’importazione di petrolio da questo paese per quella di etanolo dal Brasile?
MD: No, in nessuna maniera. Non si potrà produrre etanolo per sostituire la benzina di cui il mondo ha bisogno e molto meno la benzina che le potenze europee, giapponese e americana necessitano. Il programma che esiste tra il Brasile, gli Stati Uniti e altri paesi è quello di arrivare a una sostituzione del 10% della benzina del mondo ma quel 10% continuerà ancora ad essere consumato, perché nel mondo c’è un aumento dei consumi e dello sviluppo dell’industria. Allora, l’etanolo agirebbe da complemento, allo stesso modo che il biodiesel, è un combustibile complementare che non sostituirà il diesel da petrolio, a meno che non siano dei paesi specifici che abbiano il potenziale sufficiente per realizzare tutta quella produzione e che abbiano anche la capacità di esportare verso quei paesi che non posseggono la potenzialità di sostituire il 10 o il 20% del loro diesel di petrolio.
SF: La Bolivia dovrebbe scommettere per i biocombustibili, prendendo in considerazione il notevole impatto nel loro impiego che si sta facendo nel Brasile?
MD: L’impatto in Brasile è importante. Indipendentemente da esso, Bolivia dovrebbe scommettere in qualsiasi nuova fonte energetica. Se Bolivia avesse la capacità d’impiantare il GTL, dovrebbe farlo, nonostante quanto si sa che il GTL proviene da una fonte fossile e inquinerà il medio ambiente, sarà utile per la nostra risorsa energetica e anche per la risorsa energetica mondiale, perché si trovano tutte legate. Ma, ciò non impedisce che vengano incentivati i biocombustibili, perché questi ci aiuteranno ad avere un surplus nella produzione e nell’esportazione, e se non abbiamo dei surplus almeno ci aiuterà ad essere autosufficienti ed evitare le rimesse di valuta che potrebbero rimanere nel paese e investirle in altri settori produttivi.
SF: Che raccomandazioni darebbe ai detrattori dei biocombustibili, a coloro che idolatrano la biodiversità e il medio ambiente e che si preoccupano in eccesso dell’insicurezza alimentare?
MD: “L’opposizione a qualunque buona idea è sempre buona; qualsiasi unanimità, è una burla.” I detrattori dei biocombustibili hanno procurato un grosso vantaggio ai biocombustibili; ma, in ogni caso, quello che raccomanderei ad ogni essere umano e, in particolare, a quei detrattori è che analizzino le cose con più attenzione, che entrino a formar parte di un dibattito dove sono ascoltati, ma che sappiano ascoltare anche perché, in realtà, la sicurezza alimentare in nessuna forma rimane compromessa dall’uso dei biocombustibili e ciò può essere dimostrato. Siamo aperti al confronto. Anche per quanto concerne la questione ambientale i biocombustibili possono portare solo dei benefici, così come in altri settori che ho già accennato, perché possono creare impiego, sviluppo agricolo e consentire all’uomo di restare in campagna, perché quelli sono dei punti importanti. La ricchezza indiretta che genera la produzione di biocombustibili è molto importante, perché per un paese diventa molto costoso avere una migrazione interna proveniente dalle regioni economicamente depresse verso le città opulente, queste ultime, in questo modo, attirano solo povertà.
SF: Per concludere vorrebbe rilasciare altre raccomandazioni, qualche contributo, suggerimento al paese, agli imprenditori o al governo?
MD: La principale raccomandazione – una volta che si è svolto il lavoro di avere una legge - è quella di tentare di lavorare, lavorare nell’insieme, dirimere le asprezze con la parte governativa, con l’Esecutivo, al fine di regolamentare una legge che porta dei benefici a tutti quanti. Bisogna dimostrarlo, bisogna convincere. Non possiamo inimicarci con quello che la pensa diversamente, dobbiamo mostrargli – o che loro ci indichino il pensiero giusto – e su ciò non ho dubbi che il biodisel porterà solo dei benefici alla società boliviana e al governo boliviano, senza ombra di dubbio.
Per gli imprenditori, il mio suggerimento è l’investimento, nonostante si abbia l’impressione che non sia del tutto sicuro, malgrado l’esistenza della Legge… il problema si deve produrre per poter trovare una soluzione perché i benefici, in termini di biocombustibili, sono davvero enormi. Ad esempio, con la produzione agricola la regione Est ha dei problemi di approvvigionamento di diesel durante il periodo della zafra e in altre epoche di crisi di rifornimento del diesel. Perché non investire, al fine di poterlo garantire? Bisogna pensare in termini di competitività reale, con efficienza produttiva.
Allora, uno dei consigli è che le organizzazioni industriali, le associazioni industriali, le Camere di Commercio e gli imprenditori possano riunirsi per portare avanti l’investimento necessario di modo che le loro regioni abbiano il combustibile necessario per far sì che i loro motori diesel funzionino e ciò si può fare con il GTL, con il diesel, sebbene in questo caso il costo dell’investimento risulti essere molto elevato, rendendo incluso difficile il fatto che il nostro governo faccia un investimento del genere.
Per lo tanto, l’opzione che resta è quella dei biocombustibili, perché se mettiamo a confronto la necessità d’investimento per produrre un barile di un derivato del petrolio, dobbiamo costruire una raffineria che ci costerebbe intorno ai 60 o 70 dollari per barile equivalente di petrolio, ciò per quanto concerne la parte di produzione e di raffinazione. Se pensiamo in tutta la catena produttiva, vale a dire, dalla parte agricola – coltivazione, concime-fertilizzazione, irrigazione, semina, trasporto, trasformazione in olio – tutta quella catena produttiva assorbe, in termini di biodiesel, intorno ai 350$ d’investimento per ogni barile equivalente di petrolio, qualunque sia la sua materia prima.
SF: Grazie per l’intervista concessa, l’IBCE è sempre attento e stimolando la produzione dei biocombustibili, lavoro che realizza insieme alla CAINCO. Qualche commento, forse, sull’attività di queste istituzioni?
MD: I miei auguri all’IBCE e alla CAINCO, per la motivazione dimostrata su ciò e il mio suggerimento è che se noi vogliamo coinvolgere al grande imprenditore in questo progetto, dobbiamo pensare anche all’inserimento del piccolo produttore, del cittadino al che spesso ci si dimentica, questa è la forma in cui trasformeremo la questione del biodiesel in una vicenda unanime. Dobbiamo pensare che prima di discutere, per lo meno, sulla produzione su grande scala di biodiesel a partire dalla soia, o dell’etanolo a partire dalla canna da zucchero, sarebbe interessante discutere con tutti i settori della società sul potenziale che possiede la regione dell’Altipiano per produrre a cominciare dall’arachide o dalla quinua; infine, tutte le regioni del paese, perché se lavoriamo per l’inclusione sociale, staremo in questo modo lavorando per lo sviluppo industriale su grande scala.
Principalmente, gli imprenditori devono trovare un accordo su questi aspetti in modo da riuscire a regolamentare la Legge, questa è una questione e l’altra è quella dell’investimento. L’investimento si fa attendere in funzione del fatto che si è in attesa di avere l’approvazione da parte del governo per avere competitività, forse mediante il sussidio che attualmente si concede al diesel, ma si deve tenere presente che il settore agricolo e zootecnico, il settore produttivo, ha bisogno di biodiesel. Se solo si producesse biodiesel da impiegare nei momenti di crisi di fronte alla mancanza di rifornimento di diesel, la classe imprenditoriale avrebbe un guadagno enorme.

Fonte: IBCE, 16/10/07
(traduzione dallo spagnolo di V. Paglione)