Francesco Giuseppe (recensione)
di redazionale - 01/11/2007
Franco Cardini
FRANCESCO GIUSEPPE
150 pp. Sellerio, euro 12
Una celebre immagine di Francesco
Giuseppe lo ritrae seduto in trono,
con l’uniforme dell’imperial-regio esercito
e le insegne del potere, la testa appoggiata
su una mano, mentre sogna i suoi
morti, dalla cugina Matilde bruciata viva
al fratello Massimiliano fucilato in Messico,
dal figlio Rodolfo morto suicida nel
1889 alla cognata Sofia di Wittelbach
scomparsa in un incendio nel ’96, per finire
con la moglie Elisabetta, la popolare
Sissi uccisa da un anarchico nel 1898. Alla
triste lista si potrebbe accostare quella
delle guerre che non avrebbe voluto combattere
e che regolarmente perse; non le
avrebbe volute combattere forse perché
sapeva che le avrebbe perdute, forse per
fedeltà all’antico motto del ca-sato, “bella
gerant alii; tu, felix Austria, nube”: da secoli
agli Asburgo avevano allargato i propri
domini con accorte politiche matrimoniali,
e combattuto solo quando era
strettamente necessario per difendere i
propri possedimenti minacciati.
Ma nei 68 anni in cui rimase al potere
l’imperatore che desiderava la pace fu
spesso in guerra. Salito al trono durante
le convulsioni del Quarantotto, negli anni
successivi tentò una politica di alleanza
con Napoleone III per contenere l’espansionismo
del re di Prussia; ma l’imperatore
dei francesi preferì appoggiare le ambizioni
dei Savoia, e nel ’59 si combatté
quella che gli italiani chiamano Seconda
guerra d’indipendenza. Il massacro di Solferino,
che l’imperatore vide con i propri
occhi, gli resterà sempre in mente come
monito contro la crudeltà della guerra.
Nel ’66 l’esercito austriaco cercò di opporsi
a quello del Kaiser; ma a Sadowa i
nuovissimi fucili Dreyer a retrocarica,
gioiello dell’industria tedesca, sbaragliarono
la fanteria avversaria armata dei
vecchi Lorenz ad avancarica. L’anno seguente
è un punto di svolta. Per tener
buoni i nobili ungheresi, ringalluzziti da
Sadowa, rende al loro paese tutte le sue
tradizionali autonomie, mantenendone
solo la corona: nasce così l’Austria-Ungheria
dei nostri ricordi scolastici. Su richiesta
dei conservatori messicani, in lotta
contro i massoni anticlericali, spedisce
nel Nuovo Mondo il fratello Massimiliano,
che finirà davanti a un plotone d’esecuzione,
senza che il presidente degli Stati
Uniti, arbitro della vicenda, muova un dito
per salvarlo: l’America agli americani,
please. Ma più di tutto il sovrano è impressionato
dalla morte della cugina Matilde,
bruciata viva nel rogo del suo abito
di tulle che ha preso fuoco, per una scintilla
della sigaretta che fumava, come a
un’aristocratica proprio non si conveniva:
come un segno del mondo antico che va in
fumo sotto la spinta della modernità. Nei
decenni successivi, tenta di tenere il suo
paese ai margini della corsa alle colonie
e di risolvere le tensioni nei Balcani al tavolo
delle trattative. E nel 1914, quando i
generali e i ministri gli mettono sotto il
naso la dichiarazione di guerra alla Serbia,
prova inutilmente a non firmarla:
“Voi non sapete cos’è la guerra. Io sì, io
sono stato a Solferino”.
Nei nostri libri di scuola l’Impero
asburgico, odiato nemico del Risorgimento,
è sinonimo di conservatorismo reazionario.
Era invece “un mondo in cui l’autoritarismo
si era ampiamente aperto ai
valori costituzionali, dove le opposizioni
venivano profondamente rispettate”. Solo,
era fieramente avverso alle rivendicazioni
di indipendenza nazionale. Non soltanto
però per interesse; bensì perché
Francesco Giuseppe – come il suo maestro,
il principe Metternich – prevedeva
che i nazionalismi avrebbero distrutto
l’Europa. Il Novecento gli ha tragicamente
dato ragione; il nostro secolo, in cerca
di autorità che possano armonizzare gli
interessi nazionali con quelli comuni, può
tornare a guardare alla sua opera con
sguardo più libero.