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Scalfari è diventato berlusconiano

di redazionale - 01/11/2007

Prendendo spunto da una lettera di

Barbara Spinelli che esprimeva disagio

per le posizioni del direttore del

suo giornale, la Stampa, Eugenio Scalfari

si lancia in un’inedita glorificazione

della sovranità popolare. Il popolo

ha votato, dice, un mandato di cinque

anni al premier, e quindi chiederne le

dimissioni sarebbe un “improprio” sequestro

della volontà elettorale. Sembrano

frasi tratte dai discorsi di Berlusconi

a Palazzo Chigi. Eppure ci ricordiamo

come Scalfari commentò lo scavallamento

del primo Berlusconi e il

conseguente ribaltone parlamentare.

Quel mandato popolare non valeva?

Aggiunge poi che l’opposizione dovrebbe

presentare proposte costruttive

da discutere in Parlamento, non cercare

di buttar giù l’esecutivo. Era la stessa

pretesa un po’ semplicistica del Berlusconi

governante, non particolarmente

apprezzata, all’epoca, dal fondatore

di Repubblica, che esaltava a

quei tempi la forma parlamentare dello

stato. Basta rileggere i suoi commenti

alla riforma costituzionale del

centrodestra, condannata proprio perché

privilegiava il mandato popolare

sulla conferma parlamentare. Infine se

la prende con i “settori della maggioranza

che… mirano a riposizionarsi e

cospirano anch’essi a confiscare il diritto

costituzionalmente riconosciuto

del corpo elettorale”. Ma non gli piaceva

tanto Marco Follini?

Gli argomenti di Scalfari imitano

quelli del peggior Berlusconi, con l’intenzione

un po’ paradossale di rendere

“intoccabile” un governo che perde

pezzi da tutte le parti. L’elettorato ha,

secondo lui, tutti i diritti meno uno,

quello di essere chiamato a giudicare

col voto quando questo si rende palesemente

necessario. La colpa di Giulio

Anselmi sarebbe quella di non pensarla

così. Ma forse nella premessa che

Scalfari ha dedicato alla responsabilità

dei direttori nei confronti della redazione

c’è il vero succo dell’articolo.

Più che a evitare il licenziamento di

Prodi, si può sospettare che il fondatore

miri a suggerire di licenziare qualche

direttore, e non soltanto a Torino.