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E' possibile ammansire anche un leone con la sola forza della preghiera

di Francesco Lamendola - 01/11/2007

 

 

 

Lo studioso romano Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia (Torino, Einaudi, 1983, 5 voll., II, pp. 174-75), riporta un fatto che può apparire talmente straordinario, che abbiamo ritenuto di accompagnarlo con la versione originale latina, affinché il lettore possa meglio valutarne il grado di attendibilità.

 

"Fra le fiere solo il leone prova clemenza verso chi lo supplica; risparmia chi si prostra davanti a lui e, quando incrudelisce ,infuria contro gli uomini piuttosto che contro le donne, e contro i bambini solo se ha tanta fame. In Libia si crede che essi riescano a comprendere il senso delle preghiere. Io stesso certo ho sentito una prigioniera reduce dalla Getulia dire che in un bosco era stato da lei respinto l'attacco di molti leoni, grazie al discorso che essa aveva osato fare, affermando di essere una donna, fuggiasca, malandata, supplice nei confronti dell'animale più forte di tutti e che su tutti dominava, ,una preda indegna della sua gloria."

 

"Leoni tantum ex feris clementia in supplices. Prostratis parcit et, ubi saevit, in viros potius quam in feminas fremit, in infantes non nisi magna fame. Credit Libya pervenire intellectum ad eos precum; captivam certe Getuliae reducem audivi multorum in silvis impetum a se mitigatum adloquio ausae dicere, se feminam, profugam, infirmam, supplicem animalis omnium generosissimi ceterisque imperitantis, indignam eius gloria praedam." (traduzione di Elena Giannarelli).

 

Certo, padronissimi di credere che i Romani, poco inclini allo studio sperimentale della natura, eccedessero in credulità e che, anche in questo caso, abbiano mostrato scarso senso critico nel maneggiare i materiali messi a loro disposizione non dallo studio diretto delle abitudini degli animali, ma dalla letteratura. E, se con ciò si vuole evidenziare che non ci risulta sia esistito un Konrad Lorenz dell'antichità, la cosa è senz'altro vera; tanto più che l'etologia nasce solo nel secolo da poco trascorso e, quindi, i contemporanei di Francesco Bacone, Cartesio e Newton ne sapevano più meno quanto quelli di Aristotele; semmai - saremmo portati a credere - qualche cosa di meno. Forse è per questo che Cartesio poteva affermare che un cane, percosso con un bastone, non soffre veramente, perché la res extensa non è suscettibile di sensazioni; e che, pertanto, i suoi guaiti non sono lamenti di dolore, ma puri suoni meccanici emessi dal suo corpo.

Sia come sia, ci sia concesso qualche dubbio circa il fatto che la scienza naturale degli antichi, anzi, la loro filosofia naturale, come preferivano chiamarla, fosse solo una congerie disordinata di aneddoti e curiosità legati insieme con lo spago di una fervida immaginazione. E quanto all'osservazione diretta della natura, cavallo di battaglia della pretesa superiorità dello spirito scientifico dei moderni, sarà appena il caso di ricordare che, ad esempio, proprio quel Plinio il Vecchio che abbiamo testé citato, diede la vita per poterla effettuare, anche nelle condizioni più difficili, quali erano quelle verificatesi con l'eruzione del Vesuvio nel 79 d. C., la stessa che spense ogni forma di vita nelle città di Pompei, Ercolano e Stabia.

Ma torniamo ai leoni e alla loro propensione alla virtù della clementia, come  nel caso della donna getula che chiese e ottenne grazia da un branco di leoni dell'Atlante, che l'avevano circondata in una boscaglia, sola e indifesa. Certo, i Romani erano particolarmente sensibili al concetto del parcere subiectos (l'altra faccia della medaglia dell'imperialista debellare superbos), eternato da Virgilio nei famosi versi del VI libro dell'Eneide. Ma tale loro specifica sensibilità può bastare a spiegare il fatto narrato da Plinio, in termini di semplice trasfigurazione antropomorfica del re degli animali, in chiave didattico-politica?

In realtà, esistono molti indizi del fatto che la preghiera ha effettivamente un potere straordinario, quando è particolarmente fervida e intensa. Esistono parecchi casi documentati di regressione spontanea del cancro in soggetti che hanno pregato intensamente per la propria guarigione; e, anche se la scienza accademica preferisce girare la testa dall'altra parte per non essere costretta a prenderne atto, sappiamo che tali fatti accadono (cfr., ad es., il classico testo di Larry Dossey Il potere curativo della preghiera, Milano, CDE, 1993). Quanto al fatto che un animale selvaggio, che conosce l'uomo come il suo più pericoloso nemico, ascolti la preghiera di una povera donna inerme e le risparmi la vita, la cosa non dovrebbe stupire oltremodo se si pone mente a molti altri racconti, come quello di san Francesco e il lupo di Gubbio, che starebbero a indicare che è possibile, a determinate condizioni, mettersi sulla stessa lunghezza d'onda emotiva degli animali, comunicare con essi e influenzarne il comportamento, mediante una disposizione dell'animo fatta di umiltà, benevolenza e mansuetudine.

 

"Al tempo, che Santo Francesco dimorava nella città d'Agobio, nel contado d'Agobio, - troviamo scritto nei Fioretti di San Francesco di autore anonimo, al capitolo XXI - apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini; intantoché tutti i cittadini istavano in gran paura, perocchè spesse volte s'appressava alla cittade. E andavano armati quando uscivano ella cittadella, come se eglino andassono a combattere; e contuttociò non si poteano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo; e per paura di questo lupo e' vennono a tanto, che nessuno era ardito d'uscire fuori della erra.

"Per la qual cosa, avendo compassione Santo Francesco agli uomini della terra, si volle uscire fuori a questo lupo; benché i cittadini al tutto ne lo sconsigliavano. E facendosi il segno della santa croce, uscì fuori della terra egli co' i suoi compagni, tutta la sua confidenza ponendo in Dio.

"E dubitando gli altri d'andare più oltre, Santo Francesco prese il cammino inverso il luogo dov'era il lupo. Ed ecco che, vedendo molti cittadini, li quali erano venuti a vedere questo miracolo, il detto lupo si fa incontro a Santo Francesco colla bocca aperta, e appressandosi a lui, Santo Francesco gli fa il segno della santissima croce, e chiamalo a sé, e dice così: -Vieni qui, frate lupo. Io ti comando dalla parte di Cristo, che tu non facci male né a me né a persona. - Mirabile cosa! Immantinente che Santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca, e ristette di correre; e fatto il comandamento, venne mansuetamente, come un agnello, e gittossi alli piedi di  Santo Francesco a giacere. E allora santo Francesco gli parlò così: - Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, ed hai fatto grandi maleficj, guastando e uccidendo le creature di Dio senza sua licenza, e non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardimento d'uccidere e guastare gli uomini, atti alla immagine di Dio, per la qual cosa tu se' degno delle forche, come ladro e omicida pessimo; e ogni gente grida e mormora di te, e tutta questa terra t'è nemica. Ma io voglio, frate lupo, far pace fra tee costoro; sicché tu non offenda più, ed eglino ti perdonino ogni passata offesa, e né uomini né cani ti perseguitino più.

"Dette queste parole, il lupo, con atti di corpo e di coda e di orecchi e con inchinare di capo, mostrava di accettare ciò che Santo Francesco  dicea, e di volerlo osservare. Allora santo Francesco disse. - Frate lupo, dappoiché ti piace di fare e di tenere questa pace, io ti prometto ch'io ti farò dare le spese continuamente, mentre che tu viverai, dagli uomini di questa terra, sicché tu non patirai più fame; imperocché  io lo so bene che tu perla fame hai fatto ogni male. Ma poi ch'io t'accatto questa grazia, io voglio, rate lupo, che tu mi imprometta, che tu non nuocerai  mai a nessuna persona umana né ad animale: promettimi tu questo? -. E  il lupo con inchinare di capo fece evidente segnale che il prometteva. E Santo Francesco sì dice: - Frate lupo, io voglio che tu mi facci fede d questa promessa, acciocch'io mene ossa bene fidare. - E distendendo la mano Santo Francesco, per ricevere la sua fede, il lupo levò su il pie' ritto dinanzi e dimesticamente lo puose sulla mano di Santo Francesco, dandogli quello segnale di fede, ch'egli potea."

 

Il profeta Daniele venne gettato nella fossa dei leoni, e vi rimase un giorno e una notte; ma le belve non gli fecero alcun male. Eppure erano affamate: lo prova il fatto che, non appena vennero gettati nella fossa gli accusatori di Daniele, si gettarono su di essi e li divorarono in pochi istanti. Non era dunque perché fossero sazi, che i leoni rimasero docili in presenza di Daniele: ma perché avevano sentito in lui qualche cosa di puro, di innocente e di santo. Certo, è possibile interpretare questo episodio, come del resto quello del lupo di Gubbio, in senso puramente allegorico; anzi, possiamo dire che questa è l'occupazione preferita non solo dei seguaci di uno scientismo preconcetto e petulante, impegnato nella "santa" crociata contro oscurantismo e superstizione, ma perfino di quei teologi che hanno introiettato la visione laica e immanentistica, secondo la quale le religioni devono essere liberate dalle incrostazioni mitologiche che le rendono inintelligibili agli uomini d'oggi (cfr. il nostro articolo Rudolf Bultmann, la religione e l'immagine mitica del mondo). È possibile, ripetiamo; ma non è indispensabile.

Anche facendo astrazione dal fatto che la Bibbia è un testo religioso, non si vede per quale ragione  tutto quel che in esso viene riferito come storico debba essere sistematicamente allegorizzato, solo perché non si accorda con i nostri preconcetti su ciò che è possibile e ciò che è impossibile nel regno della natura. Ecco come l'autore del Libro di Daniele (vissuto all'incirca fra il 620 e il 536 a. C. alla corte di Babilonia, con il nome di Baltassar), racconta l'episodio: si noterà la voluta semplicità del tono, come si trattasse di un fatto certamente straordinario, per non dire miracoloso, ma che non era necessario riportare con enfasi, perché l'opera di Dio - di per sé straordinaria - non ne ha bisogno (Daniele, VI, 17-25).

 

"Allora Dario ordinò che Daniele fosse preso e gettato nella fossa dei leoni. Il re disse a Daniele: «Il tuo Dio, che servi con tanta costanza, ti salverà». Poi fu portata una pietra e posta all'imboccatura della fossa e il re la sigillò col suo anello e con quelli dei suoi dignitari, affinché non si potesse mutare nulla di quanto riguardava la causa di Daniele. Quindi il re se ne tornò al suo palazzo re passò la notte in digiuno, senza far venire a lui nessuna concubina e il sonno fuggì dai suoi occhi.

"Or, verso l'aurora, il re, alzatosi, si recò in gran fretta alla fossa dei leoni, e quando vi fu vicino chiamò Daniele con voce angosciata, gridando: «Daniele, servo del Dio vivo, il tuo Dio, che servi con tanta fedeltà, ha potuto liberarti dai leoni?». E Daniele gli rispose: «O re, vivi in eterno! Il mio Dio ha mandato il suo Angelo che ha chiuso la bocca dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male, poiché davanti a lui io sono innocente, e anche davanti a te, o re, io non ho fatto alcun male».  Il re si rallegrò grandemente e ordinò di trarre Daniele fuori dalla fossa. Daniele fu tratto fuori dalla fossa e fu trovato indenne, poiché aveva avuto fiducia nel suo Dio. Allora il re dette ordine e furono presi quelli che avevano diffamato Daniele, e vennero gettai nella fosa dei leoni, essi, le loro mogli e i loro figli. Non avevano ancora toccato il fondo della fossa, che i leoni si lanciarono su di loro e stritolarono tutte le loro ossa."

 

Raccapricciante l'ultimo particolare, specie per quanto riguarda le mogli e i figli di quei disgraziati (peraltro perfettamente in linea con la logica giuridica del tempo): ma esso esula dall'ambito della presente riflessione, per cui non ci soffermeremo su di esso. Noteremo, piuttosto, che vi è una differenza sostanziale fra la preghiera della donna africana, riferita da Plinio nella sua Naturalis Historia, e quelle di san Francesco davanti al lupo e del profeta Daniele davanti ai leoni. Nel primo caso, l'essere umano si rivolge come un supplice direttamente alle bestie feroci; mentre,  negli altri due, l'essere umano prega Dio affinché le belve siano ammansite. In tutti e tre i casi, però, le belve ascoltano la preghiera e risparmiano gli umani.

Ciò che non fecero le belve umane, ad esempio, durante il massacro della villa di Ber Air, quando una mamma incinta, prossima ormai al parto, le supplicava di risparmiarle la vita; ciò che non fecero e non fanno le belve umane in innumerevoli altri casi.

Pensiamo vi sia di che riflettere, e molto seriamente, su tali differenze.