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La fiducia in un intervento ONU in Darfur è mal riposta

di Stephen Gowans - 02/11/2007

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1 novembre 2007

Molti attivisti occidentali si sono mobilitati a favore di richieste di sanzioni contro il Sudan e di un intervento ONU nel Darfur. Ma uno sguardo sui recenti interventi occidentali nei "punti caldi" del mondo suggerisce che questa fiducia è mal riposta. Mentre gli Stati Uniti e i loro alleati, e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, indicano nobili scopi come fondamento ai loro interventi, gli obiettivi reali sono invariabilmente conformati agli interessi economici delle compagnie multi-nazionali e delle banche di investimento che dominano le politiche dei paesi occidentali. Peggio ancora, l’intervento ha tipicamente portato al deterioramento delle crisi umanitarie, e non al loro miglioramento.

Il conflitto come pretesto

Gli Stati Uniti e altre potenze imperialiste cercano, o provocano, il conflitto in paesi che non dominano politicamente. Essi utilizzano questi conflitti come pretesti per intervenire in altri paesi in diversi modi: militarmente, tramite "mandatari" (che possono includere l’ONU), finanziando un’opposizione interna, o attraverso una combinazione di questi mezzi. L’obiettivo è quello di sfruttare questi paesi economicamente. Il controllo politico, tramite un dittatore o un governo fantoccio, permette ai grandi paesi di proteggere ed espandere gli investimenti delle proprie compagnie e banche multi-nazionali, nonchè di aprire le porte alle proprie esportazioni. Ossia, gli Stati Uniti e altre potenze imperialiste sono impegnate in un’inesorabile ricerca di dominio politico su paesi che al momento non controllano, al fine di sfruttarne le risorse, il patrimonio e i mercati, creando o determinando conflitti che forniscano pretesti al loro intervento.

In Yugoslavia, gli Stati Uniti, la Germania e la Gran Bretagna incoraggiarono i secessionisti a dichiarare unilateralmente l’indipendenza dalla Federazione Yugoslava ed aiutarono i Kosovari albanesi ad intraprendere una lotta di guerriglia per rendere il Kosovo un paese indipendente. I conflitti che ne seguirono con il governo federale furono presi a pretesto dalla NATO per intervenire militarmente e porre un freno al conflitto. I governi secessionisti e le guerriglie del KLA (Kosovo Liberation Army) furono dipinti dai media occidentali come le vittime, mentre il governo federale, che stava reagendo alle provocazioni, fu descritto come un istigatore. Il risultato fu che la Yugoslavia venne ri-balcanizzata e portata sotto il controllo di Stati Uniti e Germania, che da allora hanno imposto una tirannia neo-liberale e le cui compagnie, banche e ricchi investitori hanno potuto rilevare il patrimonio federale in precedenza di proprietà pubblica o sociale. (1)

In Iraq gli Stati Uniti utilizzano il conflitto tra Sunniti, Sciiti e Kurdi come pretesto per rimanere nel paese come forza occupante. Se i soldati fossero ritirati troppo presto, ci viene detto che ne risulterebbe una guerra civile generale (come se una guerra totale, sostenuta dalle forze statunitensi e britanniche, non esistesse già). Similmente, ci viene assicurato che, se i soldati fossero ritirati dall’Afghanistan, Al-Qaeda tornerebbe ad utilizzare il paese come base delle sue operazioni, conducendo ad una sequenza di nuovi 11/9. Più di un decennio fa gli Stati Uniti provocarono un conflitto nel Golfo - o almeno permisero che uno continuasse - quando l’Iraq non venne fermato dall’ambasciatore americano, April Gillespie, dopo che chiese l’autorizzazione di invadere il Kuwait. L’Iraq fu dunque intrappolato nell’intraprendere un’invasione che Washington utilizzò come pretesto per lanciare la guerra del Golfo. L’effetto fu quello di avviare il processo di portare l’Iraq, e le sue considerevoli risorse petrolifere, sotto il controllo degli Stati Uniti. (2)

Il Sudan oggi non è sotto il controllo politico statunitense e, come l’Iraq, è una fonte immensa di riserve petrolifere e il candidato per fornire profitti giganteschi che vengano raccolti da compagnie petrolifere straniere. L’amministrazione Bush si lamenta del fatto che il governo del Sudan interferisce nelle industrie petrolifera e petro-chimica sudanesi. Khartoum non è dunque un sostenitore delle tre libertà che più stanno a cuore a Washington: il libero commercio, la libera impresa e il libero mercato. Questo, dal punto di vista di Washington, rappresenta una minaccia agli interesi della politica estera (cioè delle grandi compagnie) statunitense. Se la politica sudanese impedisce alle compagnie petrolifere statunitensi di sfruttare le risorse del paese, il Sudan rappresenta una minaccia algi interessi della politica estera degli Stati Uniti. Di conseguenza, deve essere trattato come un nemico. E in effetti è un nemico - ma solo un nemico della classe dei membri dei consigli di amministrazione, delle famiglie capitaliste ereditarie e dei banchieri investitori, nel cui interesse il libero commercio, la libera impresa e il libero mercato sono promossi e rafforzati. Il Sudan, il suo popolo, e le politiche economicamente nazionaliste del suo governo non sono, in ogni caso, nemici delle gran parte degli Americani. (3)

Esistono conflitti in corso nel Darfur che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno utilizzato per discutere dell’intervento occidentale. Esiste un conflitto per l’acqua e la terra tra le popolazioni sedentarie e quelle nomadi, reso più aspro dalla desertificazione. Esiste un conflitto tra gruppi ribelli, che hanno attaccato installazioni governative, e il governo stesso. Ed esiste un conflitto tra i vari gruppi ribelli. Questi conflitti sono utilizzati dagli Stati Uniti e dai loro alleati come pretesti per imporre sanzioni ed argomentare a favore dell’intervento. Ma gli Stati Uniti non sono più interessati alla soluzione di questi conflitti più di quanto lo fossero alla soluzione di quelli in Yugoslavia. Essi sono interessati al dominio politico del Sudan, così che le compagnie petrolifere di Stati Uniti e Gran Bretagna possano accumulare enormi profitti dalle grandi riserve di petrolio del Sudan.

Il primato dell’inganno

Non c’era nessun genocidio in Kosovo. Quando i patologi legali andarono a cercare i resti di migliaia di corpi che la NATO sosteneva essere nascosti per tutto il Kosovo, essi ne trovarono duemila - un numero coerente con una guerriglia di piccola scala, non con una campagna di genocidio. Ma dopo che la NATO intervenne militarmente con una campagna di bombardamenti di 78 giorni, migliaia di persone fuggirono, ponti, fabbriche scuole ed ospedali furono distrutti e centinaia, se non migliaia, di civili rimasero uccisi. Ciò che era una guerriglia a bassa intensità fu trasformato in una crisi umanitaria dalla NATO. (4)

Non c’erano armi di distruzione di massa in Iraq. Ma dopo che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo invasero, circa 600.000 Iracheni morirono in conseguenza della violenza provocata dall’invasione, quattro milioni fuggirono dalle loro case, la povertà divenne dilagante e le infrastrutture distrutte dai bombardamenti statunitensi e britannici si trovarono in rovina. Un paese un tempo moderno che usava i guadagni da petrolio per sviluppare se stesso economicamente e per costruire un robusto sistema di stato sociale fu trasformato da Stati Uniti e Gran Bretagna in un disastro umanitario quasi senza pari. (5)

Secondo la commissione ONU delegata di investigare sulle accuse di Washington secondo cui il governo sudanese stia perseguendo una politica di genocidio, queste accuse non hanno fondamento. É’ vero, stabilì la commissione, che Khartoum abbia risposto in modo sproporzionato agli attacchi alle forze governative da parte dei gruppi ribelli, ed è vero che Khartoum sia implicata in crimini di guerra, ma la commissione non trovò alcuna prova che il governo sudanese sia coinvolto nel progetto di tentare di eliminare un gruppo identificabile, caratteristica fondamentale di una politica di genocidio. Per come avvengono i disastri umanitari, il disatro in Iraq è di gran lunga peggiore. Perciò chi si fiderebbe di chi commette quel disastro - chi, dopo che tutti mentirono sul genocidio in Kosovo e sulle armi vietate in Iraq - per intervenire in Darfur e risolvere quella crisi umanitaria? Sarebbe come consegnare le chiavi della propria auto ad un noto ladro e bugiardo patologico. (6)

Ignorare i conflitti

L’altro lato della medaglia è che ci sono paesi che gli Stati Uniti già dominano in cui avvengono terribili disastri umanitari e violazioni dei diritti umani, ma di cui molto poco viene raccontato. Quando scoppiano conflitti in questi paesi, tali conflitti sono ignorati dai media occidentali, poichè non sono necessari come pretesti per interventi da parte dei governi occidentali. In effetti, è nell’interesse di Washington che questi conflitti non siano portati all’attenzione dell’opinione pubblica.

In Etiopia, per esempio, migliaia di membri dell’opposizione furono imprigionati dopo che si svolserole elezioni. Recentemente, il governo ha minacciato di giustiziare dozzine di capi di opposizione con accusa di tradimento. Giornalisti stranieri e gruppi in difesa dei diritti umani sono stati espulsi dal paese. Poichè l’Etiopia è politicamente dominata dagli Stati Uniti, non c’è ragione per portare il suo deplorevole primato all’attenzione del pubblico. Non c’è bisogno di creare un caso per un intervento. L’Etiopia è già sotto il tallone degli Stati Uniti. Di conseguenza, poche persone sanno qualcosa di ciò che succede nel paese dal momento che l’Etiopia è fuori dallo schermo radar della demonizzazione dei media occidentali. Ma è probabile che si conosca Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, che molti credono aver commesso tutti i crimini che Meles Zenawi, primo ministro dell’Etiopia, ha commesso. Tranne che Mugabe non ha arrestato migliaia di membri di opposizione o minacciato di giustiziare i leader di opposizione. La differenza tra Zenawi e Mugabe è che Zenawi è un fantoccio degli Stati Uniti e Mugabe non lo è. Per opporsi alle ingerenze imperialiste in Africa meridionale e cercare di nazionalizzare l’economia dello Zimbabwe, Mugabe è nel pieno centro dello schermo radar della demonizzazione occidentale. (7)

Ci sono circa mezzo milione di persone rifugiate in Somalia in conseguenza dell’invasione da parte dell’Etiopia, intrapresa agli ordini del governo degli Stati Uniti. Questo è un disastro umanitario creato da un "mandatario" statunitense. Non esiste una "Campagna per la Salvezza della Somalia". (8)

Nella Repubblica Democratica del Congo esiste un conflitto provocato dai precedenti "mandatari" degli Stati Uniti, Rwanda e Uganda, che ha condotto alla morte di quattro milioni di persone dal 1997. I 200.000 morti del Darfur (80 percento per inedia e malattie, 20 percento per violenze) sono ben poca cosa rispetto ai milioni di morti del Congo. Ma mentre esiste una "Campagna per la Salvezza del Darfur", non c’è nessuna "Campagna per la Salvezza del Congo". (9)

La soluzione per il Darfur

Se l’intervento ONU in Darfur non è una soluzione - e non lo è - che cos’è? Sebbene talvolta sembri che le Nazioni Unite siano un corpo neutrale che democraticamente decide come risolvere i conflitti, ciò non è quello che l’ONU è veramente. Le Nazioni Unite, su tutte le questioni rilevanti, sono il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, un ristretto gruppo di forze principalmente imperialiste che fanno ciò che i paesi imperialisti fanno: provano a spartirsi il mondo tra di esse. Gli Stati Uniti, membro dominante del Consiglio di Sicurezza, non hanno interesse nella soluzione del conflitto in Darfur. Essi sono interessati alla instaurazione di una presenza militare permanente per estorcere al governo sudanese il controllo sul petrolio del Sudan. Se gli Stati Uniti possono indurre altri paesi ad impegnare i soldati per raggiungere i loro obiettivi, tanto meglio. Impantanati in Iraq e Afghanistan, una missione militare ONU per assicurare lo scopo statunitense di portare il Sudan sotto il dominio statunitense è uno sviluppo ben accettato a Washington.

Dovrebbe essere chiaro che il risultato degli interventi ONU e NATO è quello di rendere piccoli conflitti disastri umanitari. Gordon Brown, primo ministro britannico, sostiene che il Darfur sia il maggiore disastro umanitario del mondo. Ci sono 200.000 morti in Darfur, ma ce ne sono circa 600.000 in Iraq. Ci sono quattro milioni di rifugiati in Iraq, e molti meno in Darfur. (10)

Intellettuali liberal come Michael Ignatieff, il precedente professore di Harvard e oggi aspirante alla carica di primo ministro canadese, disse che una guerra doveva essere mossa in Iraq a causa di ciò che Saddam fece ai Kurdi. L’intervento militare statunitense sotto l’autorizzazione dell’ONU fu ritenuto portatore di pace, prosperità, diritti umani e democrazia tra le sponde del Tigri e dell’Eufrate. Ciò che portò fu invece qualcosa di molto peggiore di ciò in cui Saddam Hussein era coinvolto. (11)

La soluzione per il Darfur è fermare la pressione sull’amministrazione USA per l’intervento in Sudan e cominciare a fare pressione sull’unico gruppo ribelle che non firmerà un accordo di pace affinchè lo faccia. Khartoum si è seduta al tavolo con i gruppi ribelli per elaborare un accordo di pace ed un unico gruppo ha rifiutato anche solo di partecipare agli incontri. I conflitti non possono essere risolti se una delle parti non è interessata alla pace. Nè possono essere risolti se forze potenti stanno usando i conflitti come pretesti per invadere ed imporre sanzioni.

Se si impone una pressione sugli strenui ribelli per giungere alla pace con Khartoum, e la pace ne consegue, cosa avverrà dopo? Gli attivisti che protestavano a favore dell’intervento occidentale in Darfur volgeranno il loro sguardo per salvare il Congo dalla sua crisi umanitaria? La pressione popolare sarà rivolta ad indurre l’Etiopia a ritirarsi dalla Somalia? E cosa, riguardo all’Iraq? Le stesse persone che si scandalizzarono con profondo risentimento morale per il Darfur, chiederanno l’immediato ritiro dei soldati stranieri dall’Iraq? Non dovrebbero forse chiedere questo, come prima cosa? Dopo tutto, le dimensioni del disastro iracheno sono peggiori di quello in Darfur, e sono gli stessi governi degli attivisti ad aver commesso il disastro maggiore.Si potrebbe pensare che i popoli statunitense ed inglese darebbero priorità ad azioni per l’immediato ritiro dei soldati dall’Iraq, piuttosto che incanalare le loro energie per spingere i governi che mentirono e determinarono tragedie in Yugoslavia e Iraq ad intervenire in un altro paese ricco di petrolio. Gli attivisti hanno l’obbligo di capire i modelli istituzionali di comportamento dei loro stessi governi, di indagare le forze che determinano quei modelli, e di evitare che l’emozione comprometta la ragione e la capacità di analisi. Non è bene che si permetta ai nostri stessi governi e mezzi di informazione di mobilitare le nostre energie al fine di agire per conto di finalità imperialiste, distraendoci nel contempo da progetti che siano legittimamente nell’interesse della maggior parte dell’umanità intera.

Note:

(1) Michael Parenti, To Kill a Nation [Uccidere una nazione, ndt], Verso, 2002; Elise Hugus, "Eight Years After NATO’s 'Humanitarian War’: Serbia’s new 'third way’" ["Otto anni dopo la 'guerra umanitaria’ della NATO: la nuova 'terza via’ della Serbia", ndt], Z Magazine, April 2007, Volume 20, Number 4.

(2) David Harvey, The New Imperialism [Il nuovo imperialismo, ndt], Oxford University Press, 2005.

(3) Nativdad Carrera, "U.S. imperialists increase efforts to recolonize Sudan" ["Gli imperialisti USA aumentano gli sforzi per ri-colonizzare il Sudan", ndt], Party for Socialism and Liberation, November 3, 2006, http://www.pslweb.org/site/News2?page=NewsArticle&id=5949

(4) Parenti; Stephen Gowans, "Genocide or Veracicide: Will NATO’s Lying Ever Stop?" ["Genocidio o Vericidio: finirà mai la NATO di mentire?", ndt] Swans, July 23, 2001, http://www.swans.com/library/art7/gowans02.html

(5) Stephen Gowans, "The Unacknowledged Humanitarian Disaster" ["Il disastro umanitario non riconosciuto", ndt] What’s Left, August 1, 2007, http://gowans.wordpress.com/2007/08/01/the-unacknowledged-humanitarian-disaster/

(6) Stephen Gowans, "Ethiopia, Zimbabwe, and the Politics of Naming" ["Etiopia, Zimbabwe, e la politica dei nomi", ndt] What’s Left, July 9, 2007, http://gowans.wordpress.com/2007/07/09/ethiopia-zimbabwe-and-the-politics-of-naming/

(7) Ibid.

(8) Ibid.

(9) Ibid.

(10) The Unacknowledged Humanitarian Disaster

(11) Stephen Gowans, "Ignatieff’s Mea Culpa" ["Il mea culpa di Ignatieff", ndt] What’s Left, August 5, 2007, http://gowans.wordpress.com/2007/08/05/ignatieff%e2%80%99s-mea-culpa/


Stephen Gowans
Fonte: http://gowans.wordpress.com/
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07.08.2007