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La decisione del Congresso americano: un commonwealth settario sotto la leadership di Israele

di Saleh al-Qilab - 02/11/2007

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1 novembre 2007

Nient’altro avrebbe potuto ulteriormente screditare l’immagine degli USA, già di per sé odiosa, come quest’ultima risoluzione presa dal Congresso americano, che certamente non invita a rendere l’Iraq uno stato federale, bensì a farlo a pezzi. La cosa sconcertante è che ogni volta che è emerso un barlume di speranza che questa immagine potesse lasciare il posto ad un’immagine migliore, Washington ha commesso una nuova sciocchezza.

Perfino l’Iran, che ha basato le sue strategie vecchie e nuove sulla necessità di dividere e fare a pezzi questo paese per premunirsi contro il "male" proveniente da esso, non ha potuto accettare questa decisione del Congresso, perfino i capi delle milizie confessionali irachene – i quali non smettono di chiedere la trasformazione dell’Iraq in entità settarie ed etniche separate fra loro – sono stati costretti a conformarsi ai sentimenti del popolo iracheno ed a condannare questa risoluzione, se non altro per salvare la faccia.

Tutte le forze irachene, reali o presunte, fra cui l’esercito del Mahdi, gli squadroni "Badr", e naturalmente il partito "Fadila", hanno rifiutato la risoluzione del Congresso americano, non potendo sopportarne la sfrontatezza. Per questo possiamo dire che non tutto il male vien per nuocere, infatti il buono di questa risoluzione – che i suoi promotori hanno definito "non vincolante" – sta nel fatto che essa ha ricompattato le file ed i sentimenti degli iracheni, sebbene questi ultimi non abbiano ancora unito le proprie armi, i propri orientamenti, e le proprie posizioni politiche.

A questo punto, la domanda che ci poniamo è la seguente: chissà perché il Congresso ha commesso una simile sciocchezza, adottando questa risoluzione sconsiderata proprio mentre l’amministrazione americana, dopo tutti gli errori mortali commessi sia in Iraq che altrove, era impegnata nel tentativo di migliorare l’immagine dell’America.

Qualcuno potrebbe ritenere che il Congresso abbia fatto ciò che ha fatto nello sforzo di rendere la vita difficile al presidente Bush, ben sapendo che questa risoluzione non è vincolante per l’amministrazione americana. Dunque, tutta la questione sarebbe soltanto il risultato dello scontro infuocato in corso tra repubblicani e democratici, e della necessità di promuovere i rispettivi programmi elettorali alla vigilia delle elezioni presidenziali ormai all’orizzonte.

Tuttavia questa valutazione, che può sembrare plausibile, non tarda a perdere la sua fondatezza nel momento in cui ci ricordiamo del fatto che la spartizione, non solo dell’Iraq, ma dell’intera regione, era un vecchio obiettivo sia degli israeliani che degli americani. D’altro canto, è certo che la costituzione irachena – la quale doveva realizzare questo obiettivo, e che determinò la cattiva reputazione del governatore americano dell’Iraq, Paul Bremer – fu emanata in un momento in cui vennero scossi gli equilibri regionali proprio in vista di questo obiettivo, per soddisfare le ambizioni degli opportunisti a spese dei popoli della regione.

A questo punto è necessario ribadire che questa costituzione – e tutto ciò che essa contiene in termini di articoli pericolosi e dannosi per l’Iraq e per la sua unità – non fu promulgata a causa della peculiare situazione dei curdi nella regione del Kurdistan iracheno. Infatti la maggior parte degli iracheni, sia sunniti che sciiti, riconosce l’urgenza storica di conferire ai curdi quello statuto speciale che meritano, così come riconosce la necessità di limitare il "federalismo" a costoro ed agli arabi, considerati come due comunità sorelle che condividono in egual misura la patria irachena.

Per questa ragione, quando si parla dei piani vecchi e nuovi di spartizione dell’Iraq e della regione, è necessario chiarire che l’obiettivo di questi piani non sono in alcun modo i curdi, i quali sono una nazione che è stata oppressa nel corso di tutta la storia della regione, e che ha diritto, come gli arabi, i persiani, i turchi, ed ogni altra nazione del mondo, ad avere il proprio stato nazionale ed indipendente. Questa nazione ha il diritto di rifiutare la formulazione settaria e confessionale del "federalismo" proposto in Iraq, e di insistere su una formulazione etnica e nazionale, affinché questo "federalismo sia un federalismo arabo-curdo e basta.

Per tali motivi, a dispetto di alcune dichiarazioni affrettate la posizione reale dei curdi rispetto all’infelice risoluzione del Congresso americano è quella che ritroviamo nelle dichiarazioni del ministro degli esteri iracheno Hoshyar Zebari, il quale ha espresso un rifiuto chiaro e netto di questa risoluzione, ed ha insistito sull’unità dell’Iraq e sul rifiuto della spartizione del paese, secondo la considerazione in base alla quale la spartizione è una cosa, ed il federalismo su base nazionale, arabo-curda, è un’altra.

Gli iracheni non hanno nessun problema ad accordarsi sul fatto che i rapporti fra arabi e curdi siano regolati secondo una forma "federale". E’ noto che nei primi anni ’70 del secolo scorso fu sancito un accordo molto progredito fra Saddam Hussein ed il leader storico dei curdi, Mulla Mustafa al-Barzani, che conferiva uno statuto speciale alla regione del Kurdistan iracheno. Tale accordo avrebbe potuto fare da modello per risolvere il problema curdo in tutta la regione, se l’ex presidente iracheno non lo avesse successivamente disconosciuto preferendo ad esso i massacri indiscriminati che hanno annientato decine di migliaia di figli del popolo curdo.

Il problema alla base della risoluzione del Congresso americano sta nel fatto che essa ha riportato alla mente degli arabi il ricordo dei piani di cui si parlava negli anni ’70 del secolo scorso, in base ai quali si voleva smembrare la regione su base etnica e confessionale al fine di creare un "commonwealth" settario e confessionale, all’interno del quale Israele potesse giocare lo stesso ruolo di leadership che la Gran Bretagna aveva nel Commonwealth britannico.

Agli inizi degli anni ’70, mentre la guerra civile libanese cominciava ad insinuarsi nelle città, nei villaggi, e nei quartieri dividendoli su base confessionale tra cristiani e musulmani, era prevalente l’impressione che Israele fosse interessato a smembrare non soltanto il Libano, ma l’intera regione su base religiosa e settaria, in modo da creare delle entità deboli, che sarebbe stato facile riunire nell’ambito di un raggruppamento all’interno del quale lo stato ebraico avrebbe assunto un ruolo guida, sulla falsariga della posizione che occupa la Gran Bretagna all’interno del Commonwealth britannico. In quel periodo il fenomeno del nazionalismo panarabo, che era andato crescendo negli anni ’50 e ’60, aveva cominciato a declinare in conseguenza del colpo durissimo che esso aveva ricevuto con la tremenda sconfitta subita dagli arabi nella guerra del giugno 1967. In quel periodo cominciò ad affermarsi la tendenza alla divisione su base etnica, confessionale, e settaria in diversi punti della regione araba: il fenomeno degli "amazighiyya" (le popolazioni di lingua tamazight, appartenente al ceppo berbero (N.d.T.) ) in Algeria ed in Marocco, i copti in Egitto, gli alawiti in Siria, gli sciiti in Iraq.

Tutto ciò incoraggiò Israele, che assisteva con sollievo al divampare della guerra civile in Libano, a fare un passo ulteriore prendendo seriamente in esame l’idea di "libanizzare" tutta la regione araba, attraverso la formazione di staterelli simili ai "Regni delle Taifas" che presero il posto dello stato omayyade in Spagna. Sarebbe stato facile riunire questi staterelli nell’ambito di un commonwealth confessionale e settario all’interno del quale lo stato ebraico avrebbe acquisito il ruolo che la Gran Bretagna aveva nel Commonwealth che riunisce gli stati fondati dopo la partenza degli inglesi dalle loro antiche colonie.

E’ certamente vero che questa idea israeliana – che sembra essere stata presa seriamente in considerazione in passato e sembra essere considerata seriamente tuttora, nonostante le continue smentite da parte israeliana – abbia ricevuto nuovo impulso nel momento in cui il progetto iracheno, che gli americani avevano proposto come modello per la democratizzazione dell’intera regione, si è trasformato in un progetto settario e confessionale che ha come obiettivo quello di distruggere lo stato iracheno smembrandolo in deboli entità confessionali, sotto lo slogan del federalismo.

E’ certamente un grande passo in avanti quello di sbarazzarsi, sia nella regione araba che nel mondo intero, delle forme di governo eccessivamente centralizzate in favore di un sistema federale così come è avvento in Germania, in Belgio, in Svizzera, negli Stati Uniti, negli Emirati Arabi Uniti, in India, ed in altri paesi, ma a condizione che lo stato interessato sia uno stato forte che non stia attraversando la fase di spaventosa frantumazione che sta attualmente vivendo lo stato iracheno. La fuga da una guerra civile in atto su base religiosa ed etnica, in direzione di uno statuto "federale", è la soluzione peggiore, ed essa porterà inevitabilmente all’emergere di entità settarie che continueranno a combattersi reciprocamente all’infinito per la definizione dei confini e per aggiudicarsi l’eredità del dissolto stato centrale. Queste entità statali si "mangeranno" l’un l’altra alla maniera delle cellule tumorali.

Non vi è dubbio che l’idea di sbarazzarsi del centralismo eccessivo dando competenze amministrative più ampie alle province ed ai governatorati è un’idea progredita e lodevole, ma a patto che ciò non avvenga mentre lo stato è in una condizione di debolezza, ed a patto che le componenti confessionali e settarie di questo stato non siano schierate l’una contro l’altra, e non scatenino l’una contro l’altra guerre di pulizia etnica e confessionale così come sta avvenendo oggi in diverse regioni dell’Iraq.

Saleh al-Qilab è un editorialista giordano; è stato in passato ministro del Regno di Giordania, e direttore del canale satellitare al-Arabiyya
Titolo originale:

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