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Manipolazione e complottismo

di Miguel Martinez - 02/11/2007

 

Il sociologo rivoluzionario Giulio Salierno, nel 1980, scrisse una profonda opera di riflessione, La violenza in Italia. A dimostrazione di quanto siano cambiati i tempi, a pubblicarglielo fu la Arnoldo Mondadori. Il libro si presenta con una frase di Baruch Spinoza:

"Le azioni umane non doebbono essere derise, né compiante, né odiate, ma capite".

Il libro è una miniera di riflessioni, alcune datate (erano gli anni di Prima Linea e non si pensava proprio alle migrazioni dei popoli), altre sempre attuali.

Salierno dedica alcune pagine alle reazioni della sinistra, "storica e nuova", alla violenza diffusa (non solo politica) di quegli anni; e all'uso successivo di capri espiatori, prima anarchici e poi fascisti, per le stragi.

Viene fuori un brano un po' lungo, anche tagliando qua e là, ma non è importante che lo leggiate tutto. Voglio che resti però a disposizione, in futuro, qui su Internet.

Ascoltiamo, quindi Giulio Salierno (La violenza in Italia, Arnoldo Mondadori 1980, pp. 49 ss. e 278 ss).

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"[Di fronte all']insorgere della violenza politica manifesta, la sinistra italiana, storica e nuova, fatte salve alcune individualità [...] ha balbettato spiegazioni che non spiegano nulla, si è rifugiata nella metafisica dei complotti, ha etichettato tutti quelli che sparavano come fascisti, ha lasciato che tra i suoi militanti e/o simpatizzanti circolassero le più inverosimili, incredibili storielle [...].

L'interpretazione luciferina dei fenomeno sociali [...] risponde, certo, alla necessità per la propaganda (in qusto caso di settori della sinistra, ma il discorso è generale), di trasformare gli avversari, situati in campi opposti tra loro, in un nemico unico, facilmente identificabile e demonizzabile. Ha quindi, per i partiti che l'adottano, funzioni di sbarramento e contenimento nei confronti del nemico demonizzato, ma anche di mobilitazione e controllo - rese posibili propro da questo tipo di propaganda - della propria base.

Svolge, inoltre, per gli stessi, un ruolo di attacco e disorientamento nei riguardi di tutto coloro - singoli, partiti o movimenti - che siano tentati o tentino di occupare, con idee e comportamenti contrapposti (che la propaganda s'incaricherà di assimilare a quelli dell'avversario-Belzebù), quegli spazi politico-sociali considerati propri.

Ma la "complottomania", negli ultimi dieci anni, è andata molto al di là delle stesse esigenze della propaganda.[...]

L'avere, infatti, per circa un decennio, attribuito, con un martellamento propagandistico senza pari, ogni attentato o violenza politica e persino i disordini negli stadi durante le partite di pallone, a un disegno strategico promosso e perseguito da un unico "cervello" (le cui capacità maligne dovrebbero destare l'invidia del Principe delle tenebre) ha provocato, forse, addirittura un mutamento nel clima culturale del paese. Che, infatti, reagisce, di fronte a ogni evento che a torto o a ragione gli sembri strano, cercando, per l'appunto, di spiegarselo in chiave di complotto. [...]

E ciò, nello specifico dell'emarginazione, della violenza politica come di quella comune, delle Br come della guerriglia diffusa, ha prodotto guasti profondi, pressoché irreparabili nel breve periodo. Infatti, le interpretazioni irrazionali dei fatti che accadevano in Italia e all'estero, hanno concorso a causare un lento, progressivo imbarbarimento  culturale e civile, prima che politico, contribuendo a far dimenticare, o a non far capire, che il nazismo o il fascismo non nascono nella testa di Hitler o di Mussolini.

Che le Gallie non sono acquisite a Roma da Cesare, ma suo tramite.

Che il governo di Salvador Allende non cade grazie o solo grazie a una congiura della CIA, ma soprattutto ed essenzialmente per l'esplodere di contraddizioni nel tessuto sociale, economico, politico del Cile. [...]

Che tutti gli elementi ideologici e culturali (libri, riviste, psicologia, slogan, critiche, etica, religione, leninismo, ecc.), di volta in volta accusati o chiamati a spiegare l'origine di questo o di quell'attentato, di questa o quella violenza, non significano praticamente nulla se non vengono inquadrati in un discorso strutturale e sovrastrutturale che vada al di là del nostreo stesso paese, e che si proietti nel divenire storico.

[pagina 278 ss in riferimento alla strage di Brescia del 1974] A livello politico, infatti, non è più sostenibile la tesi degli opposti estremisti, e, contemporaneamente, si può presumere che esplodano le contraddizioni tra esecutori degli attentati e settori degli apparati istituzionali, quelle interne ai servizi di sicurezza e tra quest'ultimi e il potere politico; a sua volta, probabilmente, lacerato da gesuitiche e pur feroci lotte intestine.

[...] Il potere può puntare così, trasformando gli attentatori fascisti in esseri diversi, in distrazioni sociali, a proiettare sui "folli" il male generato dal sistema capitalistico stesso. Il terrorista nero, alienato e reificato, diventa, cioè, assieme alle bombe, nei primi anni '70, uno degli elementi di trasferimento e di scarico necessari a chi gestisce il dominio per far dimenticare, rimuovere, ignorare lo sfruttamento, il privilegio, la morte generati dalla macchina economica capitalistica.

Per la classe egenome è facile, attraverso i canali del consenso, condannare le "disfunzioni" di questo o quell'apparato istituzionale, chiedere la rimozione di "singoli" funzionari, presentare gli attentati come un tentativo di rivincita degli epigoni del fascismo e della Repubblica di Salò, o di sparuti gruppetti nazisti, e proiettare sui leaders di estrema destra di turno, in connessione con "soggettive" deviazioni di di organi pubblici, il sadismo, la xenofobia, la violenza generati dall'intera struttura sociale.

L'assetto di potere ottiene così, in larghi strati di cittadini, l'interiorizzazione della negazione di una parte del reale, mediante l'annullamento di ciò che nel presente appare spiacevole. E il processo di decolpevolizzazione  si ritualizza nelle cerimonie liturgico-acritiche contro il fascismo, nel corso delle quali il potere proietta le proprie tendenze autoritarie e si serve della violenza fascista come capro espiatorio delle proprie responsabilità sociali, culturali, religiose, economiche, politiche e storiche.

Stragi e neofascismo sono, cioè, le valenze attraverso cui chi gestisce il dominio, in quegli anni, manipola o tenta di manipolare la coscienza delle classi subalterne offrendo loro in cambio del pericolo sventato e pubblicamente denunciato solo alcune gratificazioni potenziali: la preservazione degli istituti di democrazia delegata.

Nulla più di quanto i dominati stessi avevano conquistato o ritenuto di avere conquistato con la Resistenza e che, prima delle stragi, consideravano come garantito. E così attentati indiscriminati e feroci, sovente contraddittori e inintelligenti, offrono al potere il pretesto per preparare l'opinione pubblica alla successiva accettazione avalutativa di leggi e provvedimenti limitatrici delle stesse libertà borghesi.