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Iraq, Messaggio da Bassora: 'Tirateci fuori di qui'

di Gethin Chamberlain - 02/11/2007



Gethin Chamberlain - a Bassora - riceve un messaggio semplice e diretto da un alto ufficiale britannico in Iraq: 'Abbiamo sbagliato'

E’ stata una ammissione sorprendente come nessuna emersa dalle labbra di un ufficiale britannico nei quattro anni e mezzo da quando i carri armati oltrepassarono il confine iracheno. L’esercito britannico, diceva l’uomo, seduto in una baracca prefabbricata dentro l’ultima base britannica nel Paese, era stanco di combattere.

Non solo: la sua stessa presenza a Bassora era adesso il problema.

"Andavamo laggiù [a Bassora], vestiti come Robocop [il personaggio di un film NdT], sparando alle persone se loro sparavano contro di noi, e a essere feriti erano degli innocenti", diceva. "Non parliamo arabo per spiegare, e i nostri traduttori erano troppo spaventati per lavorare ancora per noi. Quale giovamento stavamo portando a questa gente?"

L’ufficiale - uno dei più alti di grado in Iraq - ha accettato di parlare con il Sunday Telegraph solo alla condizione assai insolita di mantenere l’anonimato, ma ha chiarito che ciò che ha detto riflette un cambiamento importante nelle tattiche britanniche. "Siamo stanchi di sparare alla gente", ha detto. "Preferiremmo trovare un compromesso politico".

Si tratta di un dietrofront spettacolare. Fino a settembre, quando le truppe britanniche si sono ritirate dalla città in quella che Gordon Brown ha definito una mossa "pianificata in precedenza e organizzata", i combattimenti erano violenti come mai da quando era iniziata la guerra nel 2003. Quest’anno, 44 soldati britannici sono morti in conseguenza delle operazioni britanniche in Iraq. Tuttavia, i loro comandanti adesso dicono di avere sbagliato.

Invece di continuare a combattere, essi hanno raggiunto un accordo – o un compromesso, come lo definiscono – con le milizie sciite che dominano la città, promettendo di starne fuori in cambio di assicurazioni che non sarebbero stati attaccati. Da quando si sono ritirati, i britannici non hanno messo piede in città, e devono perfino chiedere il permesso se vogliono costeggiarne i limiti per arrivare al confine iraniano dall’altra parte.

La Gran Bretagna ha sempre detto che consegnerà il controllo della provincia di Bassora alle autorità irachene solo quando le forze irachene saranno capaci di assumerne il controllo. Ma il quadro che sta emergendo dall’interno della città suggerisce che la realtà è ben diversa.

Da quando c’è stato il ritiro, gli attacchi contro le forze britanniche nella regione sono diminuiti improvvisamente di molto, ma il livello di violenza a Bassora rimane alto. Gli iracheni che vivono nella città dicono che adesso è pattugliata da squadroni della morte. Persino i britannici ammettono che i soldati iracheni locali sono restii ad affrontare le milizie sciite. Quanto alla polizia — come altrove in Iraq — essa continua a essere inefficace, ed è pesantemente infiltrata dai membri delle milizie.

"L’esercito qui a Bassora non va bene", ammette il capitano Allah Muthfer Abdullah, il cui battaglione corazzato è stato portato giù da Baghdad tre mesi fa per fare da appoggio alle forze locali. "Non ci fidiamo di loro. Qui l’esercito di notte va con le milizie e di giorno torna da noi. Abbiamo bisogno di altri soldati da Baghdad o dal nord — o di una brigata dell’esercito Usa".

Incolpa l’Iran di armare e appoggiare le milizie di Bassora, sostenendo che la città ora è più pericolosa della capitale irachena.

Un comandante locale ammette che i suoi uomini hanno bisogno di molto più tempo prima di poter garantire la sicurezza. "I soldati di Bassora non sono in grado di combattere contro le milizie", dice il capitano Ali Modar, della nuova 14a Divisione irachena, che ha assunto la responsabilità della sicurezza nella città. "E’ difficile sconfiggerle. Abbiamo bisogno di gente che venga da altre parti dell’Iraq. I soldati di Bassora sanno che se arrestano chiunque verranno uccisi, o saranno le loro famiglie a essere uccise".

Un ex interprete dell’esercito britannico in città, di cui sarebbe troppo pericoloso fare il nome, dice che la gente non ha fiducia nell’esercito iracheno. Le tribù e le milizie hanno preso il controllo, dice. “Qui non è sicuro. Io devo dormire con un fucile sotto il letto. Il fatto che l’esercito britannico se ne vada è una cosa negativa".

I britannici sembrano basare la loro nuova strategia su una fede pressoché totale in un uomo, il generale Mohan al-Furayji, che è venuto giù da Baghdad per assumere la responsabilità della sicurezza, promettendo di mettere a posto la città. Il generale, uno sciita sulla cinquantina che ha trascorso del tempo nel famigerato carcere di Abu Ghraib a Baghdad dopo aver litigato con Saddam Hussein negli anni ‘90, risponde solo a Nuri al-Maliki, il Primo Ministro iracheno.

I britannici sono talmente convinti che sia la risposta ai problemi di Bassora che stanno facendo piani per trattare con lui, invece che col governatore eletto della provincia, Mohammed al-Waily, che un funzionario liquida come "un problema".

Ma fare affidamento su un solo uomo è una strategia ad alto rischio, e la sua fragilità è stata dimostrata mercoledì scorso, quando alcuni uomini armati hanno tentato di uccidere il capo della polizia, generale Abdul-Jalil Khalaf, in un mercato assai frequentato della città. Lui è sopravvissuto al tentativo di assassinio, il quarto, ma questo è avvenuto dopo pesanti combattimenti il giorno precedente tra le forze del generale Mohan e i sostenitori dell’esponente religioso sciita Muqtada al-Sadr. Proprio mentre ufficiali britannici stavano decantando le capacità delle nuove forze di sicurezza, l’Esercito del Mahdi di al-Sadr stava sopraffacendo le forze di sicurezza irachene per liberare uno dei suoi uomini dalla principale centrale di polizia della città.

Senza alcuna presenza nella città, le forze britanniche hanno problemi a tenersi al corrente di quello che succede. Dicono di ricevere le loro informazioni dai giornali locali e dall’esercito iracheno, anche se un battaglione di questa forza è isolato all’interno della città, e l’altro è fuori in addestramento. I britannici hanno già incontrato in gran parte lo stesso problema nella provincia confinante di Maysan, a nord-est, che hanno consegnato in aprile.

"Lì c’è un vuoto di informazione", dice un ufficiale, ammettendo che il confine con l’Iran è poroso. I soldati riferiscono che le bombe collocate sul ciglio della strada di fabbricazione iraniana introdotte di contrabbando stanno venendo fuori in modo più regolare attorno alla base britannica a Bassora, anche se nessuna è stata ancora fatta esplodere con successo.

Invece di entrare a Bassora, i soldati britannici adesso pattugliano la loro base all’aeroporto e fanno incursioni fino al confine per cercare di impedire il contrabbando e mostrare alla gente di essere ancora in giro. Molti sono scoraggiati dalla mancanza di sostegno pubblico per la guerra in patria. I soldati del 2° Battaglione, il Royal Welsh (il Reggimento Reale del Galles), che guidano i loro veicoli blindati Warrior nel deserto attorno ai giacimenti petroliferi di Rumaila, vedono poche ragioni di continuare a combattere.

"Se andassimo in città ogni sera, fra 10 anni staremmo ancora facendo la stessa cosa", dice il capitano John Kestin, 26 anni. "Non c’è più niente che le forze armate possano fare senza il sostegno dei politici, e nessun politico vuole avere a che fare con l’Iraq, in nessuna circostanza. Avere qui le forze armate senza sostegno politico è inutile".

Il comandante della sua compagnia, maggiore Sid Welham, dice che la forza armata di tutto punto ha ordini di stare alla larga dalle zone nelle quali potrebbe scontrarsi con gli insorti. "Stiamo evitando le zone in cui sappiamo che potrebbero esserci problemi, più o meno come a Bassora", dice.

Ma fino al ritiro dalla città di sei settimane fa, i Royal Welsh erano nel pieno della battaglia. Il capitano Kester e il soldato scelto Thomas McAlister, 25 anni, che guida i Warrior, descrivono missioni a Bassora talmente impegnative che avevano dovuto fare intervenire i Tornado per attaccare le posizioni del nemico, missioni nelle quali sono stati uccisi loro colleghi, e scontri a fuoco durati ore, mentre cercavano di portare fuori pericolo quelli che erano stati feriti o uccisi.

Contemporaneamente, i soldati nella base all’aeroporto di Bassora subivano una raffica di missili quotidiana. In Gran Bretagna molti non erano a conoscenza dell’entità vera e propria degli attacchi. A un certo punto, sul campo piovevano 300 missili al mese. Il capitano Sarah Heyhoe, 26 anni, un ufficiale medico assegnata al 2 Royal Welsh, descrive come i dottori avevano continuato a curare i pazienti persino quando era stato colpito l’ospedale, nonostante fosse andata via la luce e le stanze si fossero riempite di fumo. "Non si può interrompere un’operazione", spiega, con fare timido.

Non si sa in che modo le forze irachene potranno fronteggiare una opposizione così forte.

“Nessuno sta facendo finta che queste siano forze di prima classe", dice un alto ufficiale britannico. La speranza è che le truppe locali saranno sufficienti, ma gran parte della forza destinata a proteggere Bassora non è ancora formata. Delle quattro divisioni previste, ne esiste soltanto una e mezza all’incirca, e la metà dei suoi uomini sono contemporaneamente in congedo.

Il tenente colonnello Derek Plews, portavoce delle forze armate britanniche, dice che c’è molto lavoro da fare, in particolare nel fare arrivare rifornimenti da Baghdad. "La mentalità araba è veramente pessima sul lato amministrativo delle cose", dice. "Pensano solo alla parte divertente, come sparare i proiettili".

Gli uomini delle Irish Guards che stanno addestrando la nascente forza nell’ex base britannica a Shaibah dicono che alcune delle reclute sembrano promettenti, altre meno. Ma adesso è troppo tardi per preoccuparsi di questo.

L’esercito è in procinto di consegnare il controllo alle autorità irachene prima di Natale. Entro la primavera prossima, la Gran Bretagna resterà con soli 2.500 soldati fuori Bassora, circa la metà del livello attuale. A cinque anni dall’invasione, l’esercito britannico tornerà nella posizione in cui si trovava prima che si impadronisse della città, accampato al suo limite occidentale, dando un’occhiata al di là del fiume. Allora almeno era in grado di affrontare quelli che stavano dentro.

Per la Gran Bretagna, nel sud dell’Iraq, è quasi finita. Ha provato a usare la forza, e alla fine ha dovuto ammettere che la forza ha fallito. Dal marzo 2003, nella guerra hanno perso la vita 171 britannici, fra uomini e donne. I comandanti possono solo sperare che gli iracheni abbiano più fortuna. Ma se, come recita adesso il mantra britannico, la risposta è "una soluzione irachena a un problema iracheno", la domanda che ora deve essere fatta è perché ci sia voluto tanto per arrivare a questa conclusione, e se essa non avrebbe dovuto essere raggiunta molto prima, con un costo in vite umane britanniche assai minore.

The Sunday Telegraph,

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)