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Una colata di cemento riscalda il Pianeta

di Marina Forti - 02/11/2007

 

L'industria del cemento è tra i grandi responsabili del riscaldamento del clima: produce circa il 5% del totale delle emissioni globali di anidride carbonica (CO2), uno dei principali gas «di serra» che contribuiscono a riscaldare il pianeta. Finora però i tentativi di rendere meno inquinante questa industria hanno dato risultati molto scarsi, e in ogni caso vanificati dalla crescita mondiale del consumo di cemento.
In preparazione al prossimo ciclo di negoziati sul clima dunque anche il cemento entra in gioco: la produzione e il consumo di energia restano il punto chiave di ogni strategia per ridurre le emissioni di gas «di serra», così pure il settore delle foreste e della deforestazione (che pesa per il 20% delle emissioni totali di CO2); ma è impossibile ignorare un'industria così inquinante. Anche perché è un'industria in crescita: dall'Europa orientale all'Asia, l'espansione economica significa più case, strade, nuovi quartieri urbani, e dunque più cemento. L'80% del cemento prodotto nel mondo è usato nelle «economie emergenti», la sola Cina fabbrica e usa il 45% della produzione mondiale, ricorda un recente articolo del New York Times, che indaga sulla possibilità di «ripulire» questa industria. E ne conclude che è molto difficile.
Il cemento è prodotto dall'aggregato di sabbia, ghiaia macinata e acqua, e il 60% delle emissioni di CO2 attribuibili al cemento sono dovute alla reazione chimica che avviene durante la fabbricazione. Il resto è dovuto all'energia usata, cioè ai combustibili fossili. Se è pensabile usare tecnologie meno energivore e quindi diminuire le emissioni su questo lato, è molto difficile a rendere più inquinante il cemento in sé: non esiste un cemento «sostenibile».
Il cemento inoltre non è riciclabile: ogni nuova casa o strada significa rpodurne di nuovo, non è possibile usare quello recuperato da demolizioni precedenti. Insomma: allo stato attuale i possibili miglioramenti tecnologici permettono di tagliare le emissioni di anidride carbonica dovute al cemento al massimo del 20%.
Il caso europeo (indagato dal giornale newyorkese) è indicativo. L'Unione europea non pone limiti quantitativi alla produzione di cemento, ma assegna all'industria cementiera un limite alle emissioni consentite (le quote sono definite paese per paese). Come per ogni altro settore industriale, anche i cementieri possono comprare o vendere quote di emissioni «ammesse», e possono ottenere quote supplementari finanziando progetti per produzioni più «pulite» altrove. E lo stanno facendo: l'industria del cemento europeo-occidentale sta investendo milioni di dollari in programmi «puliti» in Europa orientale. Ad esempio Lafarge, azienda globale con base a Parigi, è riuscita a migliorare l'efficenza delle sue fabbriche e ridurre l'anidride carbonica emessa per tonnellata di cemento da 346 chili a 297 chili; conta di riuscire a scendere ancora un po', ma non sotto i 276 chili per tonnellata di cemento. Lafarge, che ha comprato nel 2005 17 fabbriche di cemento in Cina e ne possiede decine in europa orientale e Russia, e riconosce però che le emissioni totali aumentano di anno in anno .
In generale, la possibilità di guadagnare quote di emissione extra ha reso molto appetibile per le industrie dell'Unione europea investire a est. Le fabbriche Podilsky in Ucraina, ad esempio, sono state ristrutturate con tecnologie più efficenti dalla irlandese Crh (cosa che diminuirà le emissioni per tonnellata del 53%, pare). A Budapest è nata un'azienda, la Global Carbon, per intermediare simili investimenti in Ucraina, Russia e Bulgaria. Il valore dei «crediti di carbonio» guadagnati dall'investitore dell'Unione europea è tale che il profitto prevedibile dal ristrutturare una fabbrica di cemento in Ucraina sia salito al 12%, da circa 8,8%.
Tutto questo però non rende meno inquinante l'industria del cemento nel suo insieme: perché le emissioni per tonnellata calano leggermente, ma le tonnellate prodotte continuano ad aumentare.