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«Mirate al Duomo»: Milano come Dresda (recensione)

di Bucci Stefano - 04/11/2007

 

Milano come Dresda: la Madonnina come la Turmkreuz, il Duomo gioiello del gotico internazionale come la Frauenkirchen con il suo stile in bilico tra barocco e neoclassicismo. È la tesi proposta da Marco Gioannini e Giulio Massobrio nel loro Bombardate l' Italia. Storia della guerra di distruzione aerea 1940-1945: un libro-documento che si propone di svelare (oltre alle strategie, alle tattiche, alle finalità, alle premesse ideologiche) anche il tabù di quella «distruzione sistematica delle città italiane voluta da Churchill per fiaccare il regime fascista». Per farlo Gioannini e Massobrio usano spesso carte inedite, tratte dagli archivi alleati, come quella che appunto descrive il Duomo di Milano come «punto di mira» per il bombardamento della Raf del 24 ottobre 1942 (135 tonnellate di bombe dirompenti e incendiarie, tra i 150 e 171 morti, 441 grandi edifici distrutti). Un «punto di mira» inusuale che non verrà colpito ma che in qualche modo serve a stabilire un ideale collegamento tra il bombardamento di Milano e quello di Dresda (rasa al suolo nella notte tra il 13 e il 14 febbraio 1945) con la sua «chiesa-teatro». La lettera (finora mai pubblicata) viene inviata l' 11 dicembre 1942, in seguito alla pubblica denuncia di un ufficiale, dal comandante della Raf, sir Charles Portal, a sir Arthur Harris, capo del comando bombardieri nonché suo sottoposto: «Non ho visto la mappa degli obiettivi di Milano, ma mi rifiuto di credere che il Duomo fosse l' unico punto di mira possibile. So bene che si potrebbe sostenere che è assai improbabile che il punto di mira designato venga poi effettivamente colpito, ma una simile difesa apparirebbe debole a chiunque. Spero dunque che per il futuro tu voglia assicurarti che edifici storici non vengano più scelti come punti di mira». Prosegue ancora sir Charles nel suo documento (attualmente conservato nei National Archives britannici): «Sono convinto che il responsabile di tale scelta abbia in tal modo messo pesantemente e senza necessità a dura prova la lealtà di qualsiasi ufficiale che abbia a cuore la sorte dei tesori artistici e la reputazione della Raf al cospetto del mondo civilizzato e del giudizio dei posteri». La conclusione è chiara: «Mi auguro che farai del tuo meglio per evitare in futuro di mettere nelle mani del nemico e dei nostri oppositori argomenti polemici così efficaci». Non risulta che Arthur Harris fosse poi rimasto molto colpito da questa aspra reprimenda: la sua filosofia, spiegano gli autori, «era di portare l' attacco alle città alle estreme conseguenze non rinunciando ad alcuna occasione per aggravarne le conseguenze». Nello stesso documento Portal accenna anche alle restrizioni «che impediscono di bombardare Venezia, Firenze e Roma senza previa autorizzazione da parte del ministero». La spiegazione delle restrizioni è sorprendente: «Non si tratta di evitare di distruggere obiettivi di valore militare per il timore che si possano distruggere anche tesori d' arte e d' architettura» piuttosto di impedire «ripercussioni politiche che possono rivelarsi estremamente gravi». Sempre a proposito di capolavori nel mirino degli alleati Gioannini e Massobrio citano un elenco di città italiane, datato 7 aprile 1944, che suddivide le stesse in tre categorie in base alla loro importanza storico-artistica. Prima categoria: Roma, Fiesole, Firenze, Venezia, Torcello («non vanno in alcun modo bombardate senza autorizzazione di questo Quartier generale»). Seconda categoria: Ravenna, Assisi, Parma, Montepulciano, Ascoli Piceno («il loro bombardamento, se possibile, deve essere evitato»). Terza categoria: Pistoia, Modena, Orvieto, Rimini, Perugia («possono essere bombardate ma ogni danno deve essere accertato»). Un elenco che sembra davvero tratto dal più classico di Baedeker: niente di nuovo visto che Hitler, volendo scegliere i luoghi da bombardare della Gran Bretagna, avrebbe appunto consultato la famosa guida turistica tedesca del XIX secolo. Nel libro sono tanti gli spunti possibili: il numero delle vittime civili mai effettivamente calcolate (tra i 70 e i 100mila); le differenze tra il «bombing» inglese, notturno e poco preciso, e quello Usa, diurno e teoricamente più preciso (per gli americani è preciso ogni bombardamento in cui almeno il 50% delle bombe cada entro circa i 300 metri dall' obiettivo, ma a 300 metri dallo scalo ferroviario di San Lorenzo a Roma c' è comunque il quartiere popolare di San Lorenzo); la presunta questione meridionale (le città del Meridione non furono meno colpite di quelle del Nord, anzi, dopo i primi due anni di guerra, furono addirittura bombardate con maggiore intensità come testimoniano i casi di Napoli, Messina e Foggia). Ma dai documenti esaminati da Gioannini e Massobrio emerge anche un dettaglio sull' atteggiamento tenuto dagli alleati verso le nostre città: «In Italia non ci sarebbero state le terribili tempeste di fuoco come ad Amburgo e Dresda non tanto perché gli alleati volessero riservarci un trattamento di favore - scrivono -, ma piuttosto perché la struttura urbanistica delle nostre città era più robusta di quelle tedesche e meno vulnerabile alla formazione di incendi». E dunque se Milano non diventò come Dresda fu davvero soltanto per un caso. Il libro: Marco Gioannini e Giulio Massobrio, «Bombardate l' Italia», Rizzoli storica, pp. 576, 24 * * * LA RICOSTRUZIONE Occasione mancata per una nuova città Le distruzioni della guerra rappresentarono anche «una delle ragioni e dell' accelerazione e della modernizzazione del sistema economico nazionale, consentendo di eliminarne le componenti più arretrate». Già nei mesi successivi «i più avvertiti degli italiani» vennero così contagiati «da un nuovo clima di ottimismo che solo in parte riuscirà però a realizzarsi». Un episodio per tutti (riportato nel libro di Gioannini e Massobrio): gennaio 1946, in casa di Giorgio Bergamasso, su un tavolo c' è una pianta di Milano: «un terzo completamente distrutto, un terzo danneggiato, un terzo salvo». Attorno a quel tavolo ci sono gli architetti Gardella, Belgiojoso, Gigi Caccia Dominioni e Porro con Luchino Visconti e lo scrittore Corrado Corradi. Tutti sembrano concordare: «Questa è un' occasione unica nei secoli, possiamo fare un piano per fare Milano nuova, bellissima, efficiente e moderna». Non lo sarà per l' opposizione dei proprietari dei terreni che «non vollero un piano unico generale, ma ognuno volle rifare a modo proprio il proprio pezzo». (St.B.)