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La resurrezione di Sri Yukteswar

di Francesco Lamendola - 04/11/2007

 

 

 

 

Swami Sri Yukteswar Giri, il maestro di Paramahansa Yogananda, era stato, a sua volta, discepolo del grande saggio Lahiri Mahasaya, detto "il devoto estatico" di Benares, dal quale era stato introdotto ai misteri del Kriya Yoga e alla realizzazione del Sé supremo. Uomo forte e dall'aspetto molto virile e, al tempo stesso, molto aristocratico, Yukteswar era nato a Serampore nel 1855 e morì nel 1936, dopo aver meritato l'appellativo onorifico di Jnanavatar, vale a dire "incarnazione della Saggezza". Yogananda nutriva per lui un affetto filiale sconfinato, fatto di assoluta fiducia, gratitudine e tenerezza così come Yukteswar nutriva per lui un amore paterno: cementati, l'uno e l'altro,  attraverso anni di straordinario discepolato.

Yogananda era ancora un ragazzo quando, con l'animo straziato dal dolore, aveva abbandonato la sua famiglia, i suoi genitori e i suoi fratelli che lo pregavano di restare; chiesta e ottenuta la benedizione paterna, si era messo alla ricerca guru che già gli era apparso, più volte, in visione.  Da Calcutta si era recato a Benares, la città sulle rive del sacro Gange.. Ecco come egli stesso ha descritto il suo primo incontro con la potente, carismatica figura di Sri Yukteswar (nella Autobiografia di uno Yoghi, Roma, casa Editrice Astrolabio, 1962, pp. 98- 99):

 

"Un uomo simile al Cristo, nella veste color ocra degli swami, stava immobile al limite di quel vicolo. Istantaneamente mi parve di riconoscerlo, di averlo conosciuto da sempre; per un attimo il mio sguardo si nutrì avidamente di lui. (…)

"«O mia creatura, sei venuto a me!» Il mio Guru non si stancava di ripetere queste parole in bengali, con voce tremante di gioia. «Quanti anni ti ho atteso!».

"Entrammo in una profonda unione, nel silenzio; ogni parola sembrava estremamente superflua. L'eloquenza sgorgava in un cantico senza suono dal cuore, andava dal Maestro al discepolo. Come attraverso un'antenna di indubitabile vista interiore, percepivo che il mio Guru conosceva Iddio e che mi avrebbe condotto a Lui. Le oscure ombre della mia vita scomparvero in una fragile alba di prenatali memorie. Tempo drammatico! Il passato, il presente, il futuro sono le sue cicliche scene: questo non era il primo sole che mi vedeva prostrato davanti a quei piedi divini!

"Con la mia mano nella sua, il Guru mi condusse alla sua temporanea abitazione, sita nel quartiere Rana Mahal, della città. La sua atletica figura camminava a passo fermo. Alto, diritto, aveva circa cinquantacinque anni a quell'epoca; era attivo e pieno di vigore come un giovanotto. Aveva grandi occhi scuri, bellissimi e pieni d'infinita saggezza. Il suo viso, che esprimeva un potere impressionante, era addolcito da capelli leggermente ricciuti. La forza si fondeva sottilmente alla gentilezza."

 

Nel 1920, Yukteswar investì della sua autorità spirituale Paramahansa Yogananda, che era il suo discepolo spiritualmente più avanzato,  e gli conferì la grande responsabilità di introdurre  la scienza divina del Kriya Yoga in Occidente; cosa che Yogananda fece, trasferendosi in California e fondando, a Los Angeles, la Self-Realization Fellowship, da cui si sarebbe irradiata la saggezza della spiritualità indiana in tutta l'America e l'Europa. Yukteswar, infatti, era fermamente convinto che Dio essendo uno, tutte le religioni non sono che tentativi di avvicinarlo in differenti maniere, ma con un unico scopo; e, per questa sua visione cosmica e senza pregiudizi del fatto religioso, era veramente un'anima molto in anticipo rispetto al suo tempo, sia in Asia che in Occidente.

Nel suo libro La sacra scienza (ci siamo servirti dell'edizione francese, La Science Sacrée, Self-Realization Fellowship, 1993, p. 7; la traduzione è nostra), afferma infatti sin dall'inizio e con estrema decisione:

 

"Il proponimento di questo libro è quello di mostrare, nel modo più chiaro possibile, che esiste in tutte le religioni una verità essenziale; che le verità insegnate dalle differenti confessioni non sono per nulla differenti; che il mondo, sia dal punto di vista esteriore che interiore, si è evoluto da una sola maniera; e che tutte le Scritture non ammettono per l'uomo che un solo Bene supremo.(…)

"L'obiettivo di questo libro è di mostrare l'armonia fondamentale delle differenti religioni e di aiutare così a riunificarle."

 

Egli era un uomo certamente all'altezza di portare avanti un compito che - non se lo nascondeva affatto - era tutt'altro che semplice. Le sue qualità umane era pari alla sua immensa saggezza e alla sua sconfinata benevolenza nei confronti dell'umanità sofferente e alla ricerca della verità. Di lui ha testimoniato Yogananda (La Science Sacrée, cit., presentazione; traduzione nostra) che

 

"Alla sola vista del mio Guru, una calma meravigliosa scendeva sul mio essere. Ogni giorno passato con lui mi riempiva di una gioia sempre rinnovata, di pace e di saggezza… Benché egli fosse mortale come tutti gli altri esseri umani, Sri Yukteswar aveva perfezionato la sua unione con il Maestro Supremo del tempo e dello spazio."

 

Sri Yukteswar chiuse gli occhi alla vita mortale nel marzo del 1936. Lo stesso Yogananda, che in quel momento era assente, rientrò in fretta per dirigere personalmente i sacri riti, delle esequie, ai quali  parteciparono molti discepoli e pellegrini venuti da ogni parte dell'India; dopo di che, il corpo del grande guru venne sepolto, secondo il rituale degli swami, nel giardino del suo eremitaggio di Puri.

Tre mesi dopo Yogananda, che aveva dovuto rinviare il suo viaggio in Occidente per un ultimo giro di conferenze in varie località e per un estremo viaggio di commiato a Calcutta e a Puri, si trovava nella sua stanza d'albergo a Bombay, quando ebbe un'esperienza molto simile a quella narrata nei Vangeli quando i discepoli di Cristo, dopo la morte del loro Maestro, se ne stavano pieni di timore, a porte chiuse, nella casa del cenacolo, in Gerusalemme (da Autobiografia di uno Yogi, cit., pp. 405-406).

 

"Seduto sul mio letto nell'albergo di Bombay, alle tre del pomeriggio del 19 giugno 1936, una settimana dopo la visione di Krishna,  fui strappato alla mia meditazione dall'apparire  di una lue divina. Dinanzi ai miei occhi  aperti e stupiti tutta la stanza si era trasformata  in un mondo strano e la luce del sole  in un superno splendore. Ondate di rapimento  mi sommersero quando vidi dinanzi  a me in carne ed ossa la figura di Sri Yukteswar!

"«Figlio mio!».Il Maestro parlava con tenerezza e il suo volto  era soffuso di un sorriso da incantare gli angeli.

"Per la prima volta in vita mia  non m'inginocchiai ai suoi piedi  per salutarlo, ma mi slanciai istantaneamente  verso di lui per accoglierlo bramosamente fra le mie braccia. Momento indicibile! Tutta l'angoscia dei mesi passati era ripagata e cancellata dal torrente di felicità che si riversava ora su di me.

"«Maestro mio, amato del mio cuore,  perché mi avete lasciato?». L'eccesso del mio core mi rendeva incoerente.  «Perché mi lasciaste andare alla Kumbha mela? Quanto amaramente mi sono rimproverato di essere andato via!».

"«Non volevo guastare la gioia del tuo progetto di vedere il luogo di pellegrinaggio  dove per la prima volta incontrai Babaji. Ti ho lasciato solo per un poco! Non sono ancora con te?».

"«Ma siete proprio voi, Maestro, proprio il Leone di Dio? Avete ancora un corpo come quello che seppellii sotto le crudeli sabbie di Puri?».

"«Sì, figlio mio, sono lo stesso.  Questo è un corpo di carne e ossa. Sebbene io lo veda etereo, alla tua vista esso è fisico. Dagli atomi cosmici ho creato un corpo completamente nuovo, esattamente uguale a quel corpo fisico del cosmico sogno  che tu ponesti sotto le sabbie di sogno  a Puri nel tuo mondo di sogno. Sono in verità risorto; non sulla terra, ma su di un pianeta strale, i cui abitanti possono, meglio degli uomini, porsi al mio livello spirituale.  Là, un giorno, tu e i grandi spiriti che ami, verrete con me".

 

All'apparizione e alle prime, affettuose parole, segue una lunga conversazione nella quale il maestro rispose a tutte le domande del discepolo relative alla condizione di esistenza delle anime nei regni astrali, così come è espresso nella dottrina della Bhagavad-gita.  Poco prima del commiato, Yukteswar spiegò al suo discepolo prediletto (op. cit. p. 418) che

 

Quando un'anima è uscita dal bozzolo dei tre involucri corporei, essa si sottrae per sempre alla legge della relatività  e diviene l'ineffabile Sempre-Esistente.  Oh! Mira la farfalla dell'Onnipresenza  con le ali bordate di stelle,  di lune e di soli! L'anima che si è perduta  nello Spirito resta sola nella regione  della luce senza luce, dell'ombra senza ombra, nel pensiero senza pensiero, ebbra della sua estasi di gioia nel sogno divino della creazione cosmica.»

"«Un'anima libera!» balbettai con riverente rispetto. 

"«Quando alla fine un'anima si svincola dai tre involucri  delle illusioni corporee - continuò il Maestro - diviene tutt'uno con l'Infinito, senza perdere  la sua individualità. Il Cristo aveva ottenuto questa finale liberazione anche prima di nascere col nome di Gesù.  In tre stadi del suo passato, simbolizzati nella sua vita terrena  dai tre giorni della sua morte e resurrezione, Egli aveva raggiunto pienamente il potere di elevarsi nello Spirito."

 

Poi, prima di sparire allo sguardo di Yogananda, Yukteswar lo benedisse e gli assicurò che sarebbe tornato ogni qualvolta questi lo avesse chiamato.

Che dire di questa pagina del libro più famoso di Paramahansa Yogananda, una delle maggiori figure spirituali del secolo appena trascorso? È possibile che un cristiano ne resti sconcertato, perché egli è abituato a considerare la resurrezione di Cristo come un evento assolutamente unico ed eccezionale, prova e testimonianza del fatto che Egli era effettivamente il Figlio di Dio. Tale, ad esempio, la posizione del teologo cattolico Romano Guardini,  uno dei più insigni pensatori cristiani del Novecento (in A.A. V.V., La morte e l'Aldilà, Vicenza, Edizioni Paoline, 1956, p. 90):

 

"Con la morte del Cristo e la sua resurrezione, qualcosa è dunque avvenuto alla morte: ha cessato d'essere la morte senz'altro, il semplice compimento della giustizia di Dio, la morte brutale oltre la quale non resta che una 'indistruttibilità' dell'anima… La morte di Cristo ha dato un altro carattere alla morte, restituendole non la forma ma il senso della fine che avrebbe dovuto essere quella del primo uomo. la transizione ad una vita nuova, eterna ed umana a un tempo."

 

E tuttavia, riflettendo senza preconcetti, si può arrivare ad immaginare che tutti i santi delle diverse religioni, nella misura in cui abbiano saputo realizzare, già nella vita presente, l'unione con il divino, sono stati e sono in grado di riportare quella decisiva vittoria sulla morte che invece, per la massa degli uomini comuni, si presenta come un passaggio involontario, come una crisi rispetto alla quale non possiedono alcuna padronanza, per cui la affrontano timidi e spauriti.

Lo scrittore Graham Greene ebbe a scrivere che noi scegliamo la nostra morte, più o meno come scegliamo il nostro mestiere; poiché essa nasce dai nostri atti e dalle nostre evasioni, dalle nostre paure e dai nostri momenti di coraggio.

Perché non ammettere che, per la vita dopo la morte, valgano esattamente gli stessi presupposti? Se così fosse, la resurrezione di personaggi straordinari, che hanno saputo attingere la sfera del divino già durante la loro vita terrena, cesserebbe di apparirci come un concetto strano e inatteso ma, al contrario, ci si mostrerebbe come la prova del fatto che una vita capace di compiere il salto coraggioso dal piano del relativo a quello dell'Assoluto è una vita che non può non risorgere, circondata di gloria e di splendore, per offrire consolazione e infondere fiducia nell'anima di coloro che avanzano con fatica, come  viandanti smarriti e dai piedi feriti, lungo le strade impervie del mondo.