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I bambini di Betlemme e la forza della vita

di Filippo Fortunato Pilato - 04/11/2007

Fonte: jerusalem-holy-land

 
 Testimonianze dal Caritas Baby Hospital
 
PREAMBOLO STORICO:
Betlemme: vigilia di Natale 1952. Padre Ernst Schydrig sta andando alla Messa nella Basilica della Natività, quando, nei pressi di un campo profughi palestinese, scorge un uomo. E' un padre, disperato, che sta seppellendo il proprio figlio nella palude. Come festeggiare la nascita di Gesù mentre nel luogo in cui è nato ci sono bambini che soffrono? Al quesito risponde fondando il Caritas Baby Hospital. Il suo testamento è ancor oggi molto vivo: aiutare i più poveri, sempre e dove possibile, senza mai chiedere nazionalità o religione.
 
 
 
 
 
Se non ti volti per guardare cosa c'è alle tue spalle, se guardi diritto, ti sembrerà di essere arrivato alla reception di una moderna clinica privata europea.
Tutto pulitissimo ed in ordine, con persone che tranquillamente siedono in un salottino allestito all'ingresso, attendendo di essere visitate.
 
Se non ti volti per guardare cosa c'è alle tue spalle.
 
Perchè se ti volti, il tuo sguardo sbatte contro quel muro grigio di cemento armato alto otto metri, con in mezzo la torretta di controllo, con in cima guardie armate, monitor e fari di profondità.
Sei entrato in quella galera che si chiama Betlemme, con le sue mura, i suoi secondini, il filo spinato, ed hai varcato la soglia dell'unico ospedale attrezzato per curare i bambini di tutta la Cisgiordania e Striscia di Gaza.
Benvenuto nella Palestina libera.
 
Una giornata tranquilla oggi, con poco traffico sulla strada che da Gerusalemme conduce a Betlemme.
 
È finito il Ramadan ieri sera e la maggioranza della popolazione di confessione islamica se ne sta in famiglia a festeggiare.
Poche formalità al check-point ed al portale d'ingresso per varcare il Muro ed entrare nella cittadina palestinese: sono in compagnia del frate guardiano della Natività, che i militari israeliani di presidio conoscono bene, e mi basta alzare e mostrare il mio passaporto della Comunità Europea per ottenere il nulla osta.
Poche centinaia di metri e ci troviamo nel piazzale di fronte al Caritas Baby Hospital. I frati, che mi hanno gentilmente dato un passaggio da Gerusalemme, continuano verso le loro occupazioni, ed io mi incammino verso la guardiola della security, preposta al cancello d'ingresso.
 
Sono solo, in quei pochi metri compresi tra il Muro ed il cancello dell'ospedale, ma sento di portare con me tutti quelli che tra voi hanno manifestato solidarietà e vicinanza con quest'istituzione di carità nei confronti dei bambini e di molte famiglie di Palestina. I vostri pensieri gentili, le vostre preghiere, le vostre offerte, sono con me ed io ne sento il peso della responsabilità. Lo confesso, sono emozionato, e percepisco ora più che mai il vostro incoraggiamento, la vostra fiducia, la vostra speranza che io possa rendervi partecipi, perchè impossibilitati al momento, di quest'atto d'amore e di testimonianza di fraternità e carità cristiane.
È questa una consapevolezza che mi onora e mi imbarazza allo stesso tempo: mi sento così piccolo ed inadeguato di fronte a tutto ciò.
 
Oltrepasso con un "sciùcran", "grazie", la security al cancello ed entro nel recinto dell'ospedale.
A metà strada, nel mezzo del cortile, mi fermo per osservare meglio: alle spalle il Muro; di fronte, oltre l'edificio, un po' verso destra, sulla collina di fronte e a ridosso, l'insediamento dei coloni costruito negli anni più recenti su terreni espropriati (sarebbe più semplice dire "rubati") alla cristianità. Terreni sui quali era già stato progettato di costruire case per le famiglie più in difficoltà ed a maggior rischio d'esodo. Esodo che invece si cerca di sollecitare in ogni modo. Non è un segreto che sia pratica ordinaria per l'autorità israeliana cercare di costruire gli insediamenti di coloni ebraici a ridosso dei villaggi arabi, soffocandone ed impedendone così l'espansione. È così ovunque, da Nazareth in giù. Betlemme non fa eccezione.
 
Mi resi perciò conto che quest'ospedale era quindi stretto tra due "muri".
 
Nella "Sala d'Attesa", dopo una mia richiesta all'Accettazione, mi sedetti tra quelle persone che aspettano, con i loro bambini, il loro turno di visita.
I bambini ti sorridono e ti sgranano i loro occhioni grandi e neri. Le mamme, sommessamente, sorridono cortesemente anche loro, anche se alcune lacrime tradiscono l'apprensione per quel che sarà dei loro piccoli. Cerchi di confortarle, di rassicurarle che sono nel posto giusto. Esse annuiscono e ti ringraziano.
E tu ti senti allora ancora più piccolo. Perchè sei tu che dovresti ringraziarle per il loro esempio di coraggio e di fede nella grandezza e misericordia divine. 
 
Suor Donatella, la responsabile per le pubbliche relazioni, mi viene incontro dopo pochi minuti, sorridente e spedita.
Una suorina piccola, ma con un incedere che dimostra da subito molta forza e determinazione.
Spiegato brevemente il motivo della mia visita, vengo quindi condotto nei loro uffici, attraverso i reparti dell'ospedale, dove mi viene presentata un'altra consorella ed alcuni membri del personale al momento in servizio.
Ottengo l'autorizzazione a scattare alcune istantanee, per meglio documentare a tutti voi questa parte della nostra missione di ottobre in Terra Santa. Nella missione precedente, ai primi di gennaio di quest'anno, in compagnia di Padre Pio, ci fu solo il tempo per un rapido passaggio di mano delle buste contenenti le offerte, perchè incappammo in un momento di massima attività.
Ovviamente consegno anche in quest'occasione la busta contenente una parte delle offerte raccolte recentemente e da destinarsi al Caritas Baby Hospital, come parte è stata devoluta ad alcune famiglie in difficoltà e parte è andata a rifinanziare l'artigianato di Betlemme, con cui sosteniamo diverse iniziative, oltre alle famiglie che lo producono.
 
Da un lato mi sembra di disturbare, di penetrare in situazioni intime di famiglie e di drammi che forse sarebbe meglio lasciare in pace.
Ma per un altro verso sento il dovere di documentare, sia queste situazioni di dolore, che lo splendido lavoro compiuto dal personale del Caritas Baby Hospital, religiose e laici.
Dolore, nel quale non si possono lasciare soli i nostri amici di Palestina, prigionieri e vittime di un'ingiustizia assurda.
Lavoro, nel quale neppure non possiamo non far sentire il nostro sostegno, per piccolo ed inadeguato che sia. Tanti piccoli uomini e donne possono a volte fare molto meglio di molti "grandi e potenti" che sprecano le loro doti ed energie solo per azioni inique: a danno dei propri simili, a loro onta e vergogna.
 
Scatto quindi le mie foto, accompagnato da suor Donatella che mi spiega i vari problemi di ogni bambino.
Non crediate che sia facile mantenersi distaccati e freddi in una situazione del genere. La mia commozione è forte. Mi accorgo della mia debolezza e del groppo alla gola che mi toglie la parola. Ma assolutamente non è concesso lasciarsi andare. Bisogna stringere i denti, alzare il mento e lo sguardo a novanta gradi, sorridere ai parenti dei bambini nei lettini, mentre si continuano a scattare le foto.
Perchè queste immagini devono oltrepassare i "muri", perchè il mondo deve sapere, sia del dramma che della speranza.
 
Alcuni piccoli hanno il conforto della presenza dei loro genitori, altri non ce l'hanno. Sono bambini i cui genitori non possono sempre ottenere i permessi per oltrepassare il "muro", oppure le condizioni di lavoro non glielo concedono con frequenza, specie quando si tratta di bambini con un genitore solo. E sono già fortunati ad averlo. Perchè per molti altri non c'è neppure quello. Talvolta vengono abbandonati dove capita, o vengono portati per compassione all'ospedale e poi lasciati con la promessa di ritornare presto a riprenderli, campando mille scuse e facendosi registrare con generalità false e numeri di telefono di fantasia.
Diventano così i figli di tutti, delle suore e delle infermiere, dei dottori e del personale di servizio. Si cerca di rintracciarne i genitori e se fortunati a volte ci si riesce.
Ci si trova così di fronte a storie di degrado, di disagio, di forti problematiche familiari, che le suore ed il personale medico e paramedico cercano di risolvere ed alleviare nelle loro angoscie, per quanto più possibile. A volte i genitori non ci sono più, cancellati da violenze di fazione o imprigionati.
Qualche volta si riesce a superare ostacoli che parevano insormontabili, dando maggiore fiducia e responsabilizzando i genitori. Sono situazioni che vanno poi seguite anche fuori dall'ospedale, per opera volontaria delle suore, o delle infermiere e degli psicologi e assistenti sociali.
Altre volte non si riesce a venirne a capo ed i bambini restano in balia di eventi più grandi di loro.
Dopo un certo periodo trascorso in corsia, ed una volta curate le patologie, intervengono altre organizzazioni che lavorano in collaborazione con il Baby Hospital e che si fanno poi carico di questi orfanelli/e, cercando le famiglie più idonne, possibilmente all'interno della stessa etnia, per l'adozione.
 
Situazioni del genere capitano ovunque, potrà dire qualcuno, anche nelle nostre civilizzate democrazie. Ma quaggiù il tasso di degrado e abbandono è altissimo: troppo alto per una cittadina di poche decine di migliaia di abitanti, con pochissime alternative e limitazioni fisiche enormi.
 
A sovrastare questi drammi è lo stato di segregazione, di impedimento al movimento, al lavoro, provocato dall'assedio permanente dello stato sionista, che toglie energia e speranza ad una popolazione allo stremo delle forze, provata da decenni di angherie e prepotenze.
 
Paradossalmente possiamo però dire che gli abitanti di Betlemme sono fortunati, privilegiati nei confronti dei loro fratelli di altre enclavi palestinesi quali Jenin, Hebron, Nablus, Ramallah, per non parlare di Gaza ed altri piccoli villaggi del West Bank e Cisgiordania, racchiusi da filo spinato, muraglie, blocchi di cemento, check-point, e bande di coloni che vessano in ogni modo la popolazione araba contadina, per spingerla ad abbandonare case e villaggi, bestiame e coltivazioni.
 
Ne abbiamo raccolto le testimonianze dirette, e ne abbiamo ricevuto anche molte altre tramite l'opera di soccorso e solidarietà di diversi amici, laici e religiosi, dei quali vi abbiamo già inviato e vi invieremo ancora i resoconti. Alcuni saranno firmati, altri no, data la delicata posizione che gli autori ricoprono in Terra Santa. Hanno già i loro seri problemi, non procuriamogliene altri...
 
Qualcun altro potrà anche osservare che ci sono molte altre situazioni di degrado in giro per il pianeta, in Africa, in Asia, in Sud-America. Verissimo, sacrosanto.
Permettetemi però di puntualizzare che il livello di conflittualità e scontro che registriamo in Terra Santa, e Medioriente in generale, è il più elevato in assoluto e pone l'umanità intera più a rischio che mai. C'è chi tira in ballo fantomatici "scontri di civiltà", chi attribuisce all'Islam fondamentalista e terrorista, talibano e jiadista, le colpe di tutto, chi legge tutto solo addossando le responsabilità ai grossi interessi economici e petroliferi in ballo nell'area, chi da tutta la colpa alla politica imperialista americana e chi invece al desiderio di egemonia su scala mondiale degli stati arabi più ricchi.
Geopolitica, teocrazie, interessi spaventosi, follie ideologiche, disperazione, fame, bombardamenti: ce n'è per tutti i gusti. 
A mio parere forse c'è un pizzico di verità in ognuna di queste spiegazioni, ma nessuna di queste, se non prende in considerazione il progetto coloniale sionista, non va al cuore del problema e non lo sviscera del tutto.
Pochi sono purtroppo coloro che hanno chiaramente visto, in tutta la sua cruda realtà geopolitica, le linee essenziali di tale progetto pseudo-messianico, che si è attuato e si attua nel tempo tramite piani a tappe troppo ben congeniate, anche se apparentemente scollegate tra loro, godendo del pieno appoggio e complicità dei governi che più contano sullo scacchiere internazionale.
 
Gli enormi mezzi a disposizione, il quasi assoluto controllo della propaganda mediatica internazionale, l'assenza di una reale coscienza a livello mondiale di quel che sta realmente accadendo, lo scollegamento e talvolta l'inimicizia tra le varie forze antagoniste che si oppongono allo scempio in atto nell'area mediorientale, il fanatismo religioso portato alle estreme conseguenze, tanto quello islamico quanto quello giudaico, e peggio ancora quello cristiano-sionista, permettono alla macchina bellica di continuare nel suo piano omicida ed egemone, senza trovare grandi opposizioni ed ostacoli. Uno stuolo di penne, in buona come, soprattutto, in cattiva fede, riescono a distorcere la verità e a ribaltare i termini del confronto e dell'analisi.
 
Perchè si può dire tutto ed il contrario di tutto, ma quando provate ad accostarvi al nocciolo della questione, quando toccate il nervo scoperto del vero problema che impedisce un progresso per la risoluzione seria dei problemi sul campo, quando tirate in ballo il colonialismo sionista, allora vedrete tutte le vespe del favo saltarvi addosso per impedirvi di mettere a nudo la verità.
E la verità è che sin quando ci sarà uno stato esclusivista, colonialista e razzista come quello sionista, non ci potrà essere giustizia e pace, ma solo disperazione, morte e conflittualità. Se Israele non comprende che deve modificare i termini di governo, tutti i negoziati di pace saranno destinati al fallimento.
 
O si permette una seria costituzione di uno stato palestinese indipendente, con tutte le frontiere antecedenti al '67, l'abbattimento dei muri, la redislocazione degli insediamenti coloniali giudaici su territorio israeliano, il permesso al ritorno dei profughi, la liberazione dei prigionieri politici che non si siano macchiati di atti di terrorismo, l'indennizzo dei danni subiti ingiustamente dai contadini, o si modifica radicalmente la struttura politica dello Stato d'Israele, trasformandolo da totalitarista ebraico in una più moderna ed accettabile democrazia multietnica, dove ogni componente veda rispettate le proprie necessità ed esigenze di lavoro, di abitazione, di movimento, di culto, politiche e civili. Quando c'è la buona volontà i dettagli tecnici si risolvono. Ma la buona volontà dov'è?
 
Unica eccezione, e salvezza dallo sterminio, è quel forte senso identitario arabo-palestinese, perlopiù inconscio, che nel bel mezzo di una campagna genocida, benedetta da tutte le superpotenze mondiali e nazioni assservite, trova il modo di continuare a riprodursi, a fare figli.
 
Perchè al di là delle battaglie portate avanti dal popolo palestinese, per rivendicare i suoi diritti alla vita ed alla terra, violente o non-violente che siano, giuste o sbagliate, la cosa più eroica, più forte, giusta ed inarrestabile, è quella di continuare a procreare, a sperare, a credere che la vita trionferà sulla morte.
 
E anche la vita dell'ultimo dei suoi figli è importante per dare un senso maggiore alla speranza di tutti, per rafforzare i legami d'amicizia e responsabile collaborazione tra le diverse famiglie, confessioni ed etnie, per coltivare e conservare quella memoria della vita, che ha sconfitto morte e malattia. Memoria che resterà impressa fortemente nella mente di chi ha visto i propri figli salvati da piccole suorine con piccole croci sul petto: petto nel quale alberga però una gran fede ed un grande amore per il prossimo.
 
Questi ed altri pensieri mi passavano per la testa mentre continuavo a fotografare e stringere mani.
Pensavo che questa opera, unitamente alle scuole francescane, nelle quali si offre una buona educazione ed istruzione a tutti, dovrebbe aiutare a svelenire gli animi, ad abituarli alla convivenza al di là dell'appartenenza confessionale e culturale. Almeno tra cristiani e musulmani che patiscono le stesse ingiustizie. Ed in parte è così.
 
Ma sapevo anche che l'ingiustizia fomenta l'odio, il quale apre varchi a rivalità inesistenti. E poi c'è sempre chi soffia sul fuoco, per invidia, per interessi personali e di fazione, o per ignoranza. La fame e la mancanza di libertà e di spazio creano poi l'humus per miscele esplosive. Facile immaginare chi ne possa trarre vantaggio. 
 
In queste condizioni di vita, da carcerati a regime di pane ed acqua, è comprensibile che molti tra noi (eccetto quelli che decidessero di fronteggiare in armi il proprio nemico) cercherebbe di evadere, di fuggire a mille miglia lontano, per riuscire ad offrire alla propria famiglia e a se stessi un avvenire migliore, con prospettive più interessanti, per il futuro dei propri figli almeno.
Ed invece il personale del Caritas Baby Hospital, tutto il personale, medico, paramedico, di servizio e complementare, tutti di origine palestinese, ha fatto una scelta di grande generosità d'animo nei confronti della propria gente, di grande responsabilità civile nei confronti di tutta la comunità, di grande amore per tutti i bambini di Betlemme e di Palestina: sono rimasti tutti/e fermi al loro posto di combattimento, a lavorare per una paga incerta e di gran lunga inferiore a quella che potrebbero ricevere in un qualsiasi ospedale occidentale.
Quattro medici pediatri di lungo corso, più otto neolaureati in medicina, oltre a parecchie infermiere qualificate e specializzate, agli assitenti sociali, agli insegnanti dei corsi per giovani infermiere del luogo, al personale di servizio per cucine e pulizie generali, agli impiegati e addette agli uffici, ed ovviamente alle suore elisabettine, hanno fatto la scelta più eroica che si potesse fare in un luogo del genere: restare in trincea e lavorare per il bene della propria gente.
Ognuno di loro ha rinunciato a prospettive di carriera e di denaro allettanti, data la professionalità ed esperienza acquisite sul campo, e ad ognuno di loro vanno la nostra massima stima e indiscusso rispetto, accompagnati da tutta quella disponibilità e solidarietà possibili.
 
Un'infermiera, betlemita, molto emozionata ma determinata, mi disse che per nessuna paga al mondo avrebbe mai lasciato il suo lavoro in favore dei bambini della sua terra. Come darle torto? I risultati erano splendidi. La gestione delle attività avveniva nella più completa armonia ed affiatamento.
Perchè per loro non è un semplice, seppur rispettabile, lavoro, per portare a casa a fine mese una paga: per loro quella è una missione umanitaria e la porterebbero a termine comunque e quantunque. Non c'è muro che tenga.
Mi sentii fiero ed onorato di essere lì con loro in quel momento, per poter testimoniare del loro impegno e altruismo.
Anime belle, fiori rari cresciuti tra le avversità e le intemperie, dal fusto robusto e che non si spezza, perchè deve portare i propri semi nel vento, per far germogliare altri fiori rari. Fiori di speranze per un futuro dove i bambini non debbano morire ad un check-point o per mancanza di cibo e di cure, ma, crescendo, portare nella storia del proprio popolo una testimonianza d'amore senza condizioni.
Grazie a voi tutte, che ci date quest'esempio di nobiltà d'animo.
Voi state costruendo la vita, là dove altri seminano morte.
Non ci dimenticheremo di voi, saremo sempre al vostro fianco.
 
Filippo Fortunato Pilato
a nome e per conto degli amici di www.jerusalem-holy-land.org
 
 
P.S.= Si ringraziano ancora tutti coloro che hanno sostenuto e reso possibile questa missione, garantendo che non sarà l'ultima, perchè supportare il lavoro del Caritas Baby Hospital è negli impegni costanti di lavoro degli amici di questo sito. Stiamo anche già organizzando il prossimo viaggio in Terra Santa, a cui può partecipare chiunque ne abbia la possibilità e il desiderio, nella condivisione degli intenti e dello spirito. Lavoriamo affinchè sia possibile realizzare il programma d'itinerario per la prossima primavera. Seguiranno altri comunicati in merito, visionabili anche sul nostro sito www.jerusalem-holy-land.org