Ecco un bel libro, sulla vecchiaia, e la morte nello sfondo: Ragazzo. Storia di una vecchiaia, di Massimo Fini (Marsilio 2007, pag. 111, E. 13). Un libro che dimostra, tra l’altro, come la riflessione autentica sull’ultima fase della vita dell’uomo, porti con sé una profondità che la semplice adesione all’esistenza non possiede.
Massimo Fini è ottimo giornalista ed originale scrittore, ma i suoi saggi precedenti, molto notevoli nel panorama italiano per vivacità di idee e ricchezza argomentativa, non possedevano l’incisività, e forse anche la verità (certo sempre personale, soggettiva) di questo. Le opinioni sono comuni come le more, dice Falstaff, ma la verità dell’esperienza personale, soprattutto quando il ciclo della prima metà della vita è passato, e si incomincia a vedere la destinazione della parabola discendente, quella è unica, e va accolta con attenzione e rispetto. Tanto maggiore quando, come in questo libro, l’autore vede e descrive la sconfitta del suo eroe prediletto, il Puer presente in ognuno di noi, l’amato “ragazzo” cui Fini dedica il libro, e amaramente descrive la vittoria dell’archetipo a lui opposto, il Senex, amministratore del tempo rimanente prima della morte.
Raccontare la disfatta che la vecchiaia infligge all’archetipo più vezzeggiato dalla modernità occidentale, quello del Puer, con la sua onnipotenza immaginata e la sua reale fragilità, è oggi estremamente impopolare, perché urta contro uno dei pilastri su cui si regge (con le disfunzionalità a tutti visibili) il nostro modello culturale dell’adolescenza perpetua.
Questo libro è stato, infatti, criticato ancor prima di essere distribuito (ho visto finora da Giampiero Mughini e Giordano Bruno Guerri, ma altri seguiranno certamente), per il suo non tacere il destino funesto del Puer (anche se l’autore è lontano dal criticarne gli eccessi, ma onestamente rimpiange di non poterli continuare). I critici dell’autore sembrano invece sia sperare nella possibilità di aiutare il Fanciullo, già sconfitto dentro di noi dallo scorrere del tempo, a continuare nel suo stile onnipotente anche nella vecchiaia, sia credere in una senilità piacevole e vitale, cui Fini (che non smette di essere unilaterale neppure in questo libro, anche se la vis polemica del Fanciullo onnipotente è contenuta dal riconoscimento del piano di realtà), contesta qualsiasi possibilità e autenticità.
E’ psicologicamente di grande rilievo, che questo libro dimostri come la vecchiaia osservata senza narcisismi consolatori, e sottratta sia agli imbonimenti pseudo scientifici degli annunciatori di una vita interminabile grazie a cloni e a chimere, sia alle banalità delle psicologie del benessere, aiuti a dire verità che la stessa psicologia spesso dimentica. Per esempio l’incapacità del Puer di pensare il vecchio e la sua condizione: «Quando ero ragazzo guardavo gli uomini della mia età e pensavo: Ma come fa quello ad accettare di avere sessant’anni? E’ inconcepibile. A me non capiterà mai».
L’onnipotenza lascia qui il passo alla registrazione della realtà. «Perché non possiamo metterci insieme? – mi chiede una graziosa ragazza trentenne. – Perché tu stai entrando nella vita e io ne sto uscendo. Non possiamo ignorare il tempo». A questo, anche, serve riflettere crudamente sulla vecchiaia. Ad uscire dalla follia, seppur collettiva.

da “Liberal”