Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Kosovo : crisi in arrivo

Kosovo : crisi in arrivo

di Stefano Vernole * - 04/11/2007



Con l’intervento dell’attuale presidente albanese, Bamir Topi, che ha confermato il suo appoggio all’indipendenza del Kosovo anche senza una soluzione condivisa, è iniziata la “guerra sotterranea” per il riassetto dell’area balcanica.

Una dichiarazione d’indipendenza unilaterale, che già era stata minacciata dal governo di Pristina per il 28 novembre (anniversario dell’indipendenza albanese) ma che potrebbe slittare alla metà di dicembre, viene oggi ad essere ipotizzata dallo stesso Paese delle Aquile, vicino “interessato” delle vicende kosovare.

Le dichiarazioni di Tirana giungono attese, dopo che nei giorni scorsi è scoppiata inevitabilmente la crisi bosniaca.
Quest’ultima è frutto dell’accelerazione impressa dall’Alto rappresentante della Comunità Internazionale, lo slovacco Miroslav Lajcak, che nell’imporre misure volte a rafforzare le istituzioni della Bosnia Erzegovina, vorrebbe in realtà procedere all’unificazione della polizia del Paese, una riforma che comprometterebbe la posizione di autonomia conquistata dalla componente serba.

Così, dopo che lo scorso 30 ottobre il Parlamento serbo-bosniaco ha votato con 71 voti a favore e soli 6 contrari una dichiarazione nella quale si chiede al Pic (Comitato per l’implementazione della pace) l’abolizione dei poteri dell’Alto rappresentante, che in Bosnia può legiferare e destituire funzionari pubblici (capi di governo compresi), l’1 di novembre il premier in carica nel governo centrale della Bosnia, il serbo Nikola Spiric, ha presentato le sue dimissioni.

Contrariamente al passato, stavolta anche il governo di Belgrado ha assicurato un pieno appoggio alle istanze dei fratelli serbi di Bosnia, che hanno minacciato di ritirarsi da tutte le istituzioni tripartite.

Il premier della Serbia, Vojislav Kostunica, ha auspicato la cacciata di Lajcak, addossando le colpe della grave crisi bosniaca alla sua intempestività; come sulla questione del Kosovo, la comunità internazionale si è spaccata in due: Stati Uniti ed Unione Europea sostengono l’Alto rappresentante slovacco, la Russia condivide le preoccupazioni di Belgrado.

Gli animi si stanno ovviamente surriscaldando in vista delle prossime elezioni che si terranno separatamente in Kosovo e Serbia; le prime, indette dall’attuale governo di Pristina, saranno boicottate dalla minoranza serba su invito esplicito dello stesso Kostunica, le seconde verranno ovviamente snobbate dalla minoranza albanese.

Le consultazioni in Serbia dovrebbero essere annunciate nei prossimi giorni, in quanto il presidente filo-atlantico Tadic vorrebbe riottenere un mandato prima che sia dato il via al processo d’indipendenza del Kosovo.
A questo proposito ci sarebbe in atto un accordo fra il mediatore statunitense Frank Wismer e lo stesso Tadic, sulla possibilità di posticipare la decisione sullo status della Provincia serba a gennaio, anziché al 10 dicembre come convenuto precedentemente.

Il suo unico possibile avversario, l’attuale leader del Partito Radicale serbo, Tomislav Nikolic, sta dunque decidendo se lanciare una candidatura alternativa a quella dell’attuale presidente della Serbia o se boicottare le elezioni.

Se invece le consultazioni presidenziali dovessero svolgersi dopo l’avvenuta indipendenza del Kosovo, un eventuale candidato nazionalista potrebbe affermarsi senza difficoltà.
Sopra queste lotte interne continuano le indebite pressioni della stessa Unione Europea, che ha sottolineato come l’accordo per l’Associazione e Stabilizzazione con la Serbia continui ad essere rimandato per il fatto che il governo di Belgrado non ha ottemperato pienamente ai suoi obblighi verso il Tribunale Penale Internazionale che giudica i crimini di guerra.

La stessa durezza non venne certo praticata dal Tribunale dell’Aja nei confronti dell’Alleanza Atlantica, che nel 1999 si rifiutò di consegnare i suoi piloti colpevoli di bombardamenti deliberati sui civili durante l’aggressione della NATO alla Serbia.
D’altronde la situazione d’instabilità dei Balcani, progettata a tavolino dai teorici statunitensi del management of crisis, consentirà alla NATO di continuare a rimanere per diversi anni nella ex Jugoslavia, così come confermato dal suo segretario generale Jaap de Hoop Scheffer, che afferma di voler mantenere in Kosovo gli attuali 16.000 soldati allo scopo di “proteggere le minoranze”.

Peccato che le numerose truppe dell’Alleanza Atlantica in questi 8 anni di occupazione non abbiano fatto nulla per tutelare i vari popoli del Kosovo e Metohija contro la pulizia etnica perpetrata dai miliziani dell’UCK, addestrati in passato dalla CIA e dai servizi segreti tedeschi.
Il piano stilato a Washington è estremamente chiaro: sfruttare le velleità indipendentiste di una parte degli Albanesi del Kosovo per creare uno sorta di narco-Stato nei Balcani, affidato per procura alla mafia di Pristina ma protetto in realtà dai soldati della NATO, che avranno lo scopo di limitarne la sovranità e vigilare sui percorsi degli oleodotti petroliferi.
Intanto continuano le opposte manovre in vista di un prossimo regolamento dei conti.
L’esercito statunitense ha ristrutturato nelle scorse settimane una strada fangosa al fine di collegare il villaggio di Tanusevci, ai confini meridionali del Kosovo, a quello di Debelde, in Macedonia.

Quest’area, fortemente contrassegnata dai traffici criminali della mafia albanese, permetterebbe ora rifornimenti più rapidi nel caso dovesse scoppiare un nuovo conflitto regionale.
La Serbia, che ha recentemente varato un piano biennale da 436 milioni di euro, garantito dai finanziamenti dei principali organismi finanziari internazionali, per la costruzione e l’ammodernamento delle sue principali infrastrutture, ha indicato come priorità il completamento del Corridoio numero 10, che riguarda il raccordo anulare di Belgrado e soprattutto il tratto autostradale Leskovac-Presevo.
Proprio quest’ultima opera, cui sono destinati 250 milioni di euro, dimostra come anche un’eventuale nuovo piano di spartizione del Kosovo, sembri ormai fuori tempo massimo.
La valle di Presevo a forte maggioranza albanese, insieme alle municipalità di Bujanovac e Medvedevo nel sud della Serbia, rappresentava una delle possibili monete di scambio con il governo di Pristina, che in cambio avrebbe dovuto concedere la sovranità di Belgrado sul nord del Kosovo.
La fine di un ipotetico progetto spartitorio, lascia quindi intravedere la possibilità di un altro conflitto generalizzato, che inaugurato dall’indipendenza del Kosovo, si allargherebbe poi inevitabilmente alla Bosnia (con la secessione della Republika Srpska), alla Macedonia, al Montenegro e forse alla stessa Grecia (abitate da agguerrite minoranze albanesi).
Bisogna infatti ricordare come oltre al Corridoio numero 10, che va da Salisburgo ad Atene passando per Belgrado, il territorio serbo sia attraversato dal Corridoio di trasporto numero 7, la via d’acqua che lungo il Danubio collega la Germania con il Mar Nero; la Serbia, poi, dovrebbe essere unita attraverso bretelle anche ai Corridoi numero 4 (asse intermodale Turchia-Germania), 8 (Albania-Bulgaria) e 5 (asse Venezia-Kiev).
Come ai tempi di Milosevic, l’obiettivo degli Stati Uniti rimane allora quello di una destabilizzazione permanente della Serbia, chiave dell’equilibrio geopolitico dei Balcani e Stato perno degli interessi russi nella regione.
Come giustamente rilevato nei giorni scorsi dall’uomo forte del Cremlino Vladimir Putin, “E’ paradossale che nella questione del Kosovo sia la Russia a dover difendere gli interessi europei … contro l’Europa stessa”.





* Giornalista pubblicista, redattore di “Eurasia”, osservatore e analista dei “conflitti congelati”, esperto di questioni balcaniche è coautore e curatore del recente “La lotta per il Kosovo”, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2007.