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Mondialismo: la "Shock therapy" di Naomi Klein

di Umberto Bianchi - 04/11/2007

 

Mondialismo: la
Naomi Klein

Giovedì 24 Ottobre, presso la libreria Feltrinelli di Viale Libia si è svolta la presentazione del libro “Shock Economy” scritto da Naomi Klein (nella foto), giornalista ed icona del movimento No Global, presso cui ha precedentemente ottenuto notorietà con il suo “No Logo”, oramai divenuto uno dei testi sacri di quel movimento accanto all’ “Impero” di negriana memoria.
Alla presentazione era presente l’autrice, il che ha reso l’evento ancor più interessante e denso di significato. Tesi principale del libro è che tutti i tipi di eventi catastrofici verificatisi negli ultimi anni, abbiano rappresentato l’occasione d’oro per permettere al neoliberismo di imporsi in modo ancor più virulento nel contesto preso in considerazione. Nel fare questo, la Klein passa in rassegna una serie di eventi alla base dei quali sta un’impostazione mutuata dagli studi sul condizionamento psicologico coercitivo che trova la sua più appropriata applicazione con l’elettroshock. Dai primi studi alle applicazioni della CIA negli interrogatori, è tutto un procedere attraverso una serie di terapie d’urto il cui campo d’applicazione va sempre più estendendosi all’ambito della politica economica delle varie nazioni che, al pari di un malato psichiatrico, in seguito ad uno “shock” di tipo politico, militare o naturale vedono sostituire quello che è il modello di sviluppo più confacente con le proprie tradizioni con il neoliberismo. Dal Cile dei famigerati “Chicago Boys” di Milton Freidman, all’Iraq invaso ed occupato, passando per l’11 Settembre, sino al più recente tsunami del 2004 ed all’uragano Katrina e la distruzione di New Orleans, ovunque ci si rivolga la morale è sempre la stessa: il Mondialismo non esita a farsi scudo di questi eventi per privatizzare, speculare, alienare, impoverire, senza alcuna pietà né compassione per i popoli soggetti alla “shock terapy”. La Klein descrive con dovizia di particolari come il neoliberismo non abbia esitato in Sri Lanka, all’indomani del disastroso tsunami, a cacciare i locali pescatori dalle coste e ad iniziare un’intensa opera di edificazione a fini speculativi, alla faccia dei risultati elettorali che avevano dato per vincente una coalizione di centro-sinistra, ufficialmente ammantata di anti liberismo. O le indegne speculazioni ai danni dei più poveri di New Orleans, cacciati e respinti dalle proprie zone di residenza, per far posto ad appartamenti di lusso. O la privatizzazione delle strutture economiche dell’Iraq, imposta attraverso bombardamenti, saccheggi e guerra civile. O quale indegno atteggiamento abbia tenuto l’amministrazione Bush in occasione della tragedia dell’11 Settembre, rifiutando di analizzare le radici profonde di quell’evento, ritenendo anzi una cosa simile un vero e proprio atto di ostilità nei confronti della nazione.
Qualunque tipo di analisi critica rappresentando comunque un insostenibile affronto, in quanto larvata forma di arretramento nei riguardi di posizioni di indiscutibile supremazia geopolitica considerate, dall’amministrazione USA, inviolabili. A detta della Klein, quindi, il Globalismo per imporsi necessita di quella violenza che si manifesta attraverso tutta una serie di eventi “shock”, in grado di traumatizzare e riprogrammare le menti dei popoli, in direzione di un modello di sviluppo neoliberista. Nel soffermarsi lungamente nella descrizione degli eventi, la Klein sembra tralasciare o passare in secondo piano la natura multiforme del fenomeno globale. Laddove questo si impone con uno shock finisce per provocare rivolte e proteste che, in qualunque modo, ne possono mettere in discussione la supremazia, come accade in Iraq, America Latina ed altri contesti mentre, laddove si imponga in modo più subdolo e latente, attraverso parole d’ordine, segnali, immagini, così come oggidì succede in molta parte del contesto cosiddetto “occidentale”, il successo è più duraturo. In questo forse Naomi Klein risente di un’impostazione spettacolarizzante, tipica di certa cultura americana; qui si bada più alle immagini ad effetto e non alle cause prime. Che la violenza sia (talvolta) il mezzo con cui produrre quella rottura talora necessaria tra un vecchio ordine restio a farsi soppiantare da un nuovo e più alienante ordine, questo è sicuro. Ma di un mezzo contingente pur sempre si tratta, visto che il problema risente di un vizio d’origine intimamente connesso con la cultura occidentale in sé e pertanto non affrontabile con i mezzi tradizionali di cui l’agire politico dispone.
A prova di quanto detto, la stasi e le difficoltà che i movimenti antagonisti in genere trovano nel confrontarsi con un pensiero ed un modello, quale quello Tecno Economico, la cui sintesi è sinora risultata vincente su tutte le opzioni ideologiche novecentesche. Di fronte all’insufficienza delle nostre categorie di pensiero non rimane altro che addivenire a nuove sintesi di pensiero, varcando la grande soglia del definitivo superamento della sinistra e della destra, oggidì sempre più riconducibili a categorie archetipiche del nostro pensiero, ma non più fruibili nei termini di un confronto senza quartiere con una Tecno Economia la cui irresistibile avanzata, ci ha lasciato e ci lascia tuttora sconcertati, senza riposte efficaci a portata di mano.
Il riconoscere determinati limiti deve costituire uno stimolo per fare meglio e di più, partendo proprio da noi stessi, dalle nostre individualità che, attraverso nuove idee, soluzioni innovative, all’insegna della più totale originalità, potranno ergersi al ruolo di protagoniste nel grande confronto tra “Umanità” e Tecno Economia che sta già caratterizzando questo nuovo, travagliato, millennio.