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Congiuntura: il rilancio della crescita Usa è targato Bce

di Marzio Paolo Rotondò - 04/11/2007

 

Congiuntura: il rilancio della crescita Usa è targato Bce


La crisi dei subprime sta avendo meno ripercussioni del previsto sull’economia Usa. Nonostante le difficoltà del settore immobiliare e gli altri effetti a catena del caos dei mutui pericolosi sull’economia reale, l’espansione del prodotto interno lordo statunitense, almeno per il momento, sembra reggere. Secondo le stime del dipartimento per il Commercio Usa, nel terzo trimestre dell’anno le cifre provvisorie mostrano infatti una crescita del 3,8%, sostanzialmente maggiore rispetto al 3,1% previsto qualche giorno fa. Nonostante questo, la Fed taglia ancora i tassi dello 0,25% divergendo ancora dalle decisioni della Bce.
Malgrado la fiducia degli americani sia al livello più basso degli ultimi due anni, i consumi delle famiglie e le esportazioni, oltre che un livello del dollaro ai minimi storici, hanno letteralmente trainato la ripresa dell’economia a stelle e strisce. I consumi interni sono infatti rimbalzati nel terzo trimestre, passando da una crescita in affanno al 1,4% ad una più sostenuta al 3,0%. Inoltre, il suo contributo di questo dato nell’espansione economica americana rappresenta oggi 2,1 punti percentuali, ovvero due volte di più del secondo trimestre. Sul fronte delle vendite dei prodotti statunitensi all’estero, la tendenza al rialzo è stata ancora più sensibile: le esportazioni sono infatti passate da un ritmo di crescita nel secondo trimestre del 7,5% ad uno del 16,2%. Il dato ha contribuito per 1,8 punti alla crescita del pil.
Le importazioni verso gli Stati Uniti, al contrario, dopo un rallentamento al 2,7% del trimestre scorso, sono tornate a crescere ad un ritmo del 5,2%, aumentando il loro peso sulla bilancia commerciale. Stessa tendenza negativa per gli investimenti residenziali, che hanno a loro volta gravato sui conti nazionali: per il settimo trimestre consecutivo, infatti, il settore ha fatto segnare un dato negativo che nel terzo trimestre del 2007 ha toccato un -20,1%, sfiorando la sua peggiore evoluzione dal 2006.
Il conto della crisi dei mutui sembra quindi essere meno salato del previsto per gli Stati Uniti. Indubbiamente, a dare ossigeno all’economia a stelle e strisce è stato il doppio taglio di settembre, pari allo 0,50%, e quello di ieri dello 0,25% apportato dalla Federal Reserve al costo del biglietto verde. Così facendo la Fed ha evitato non solo il collasso del sistema creditizio d’Oltreoceano, grazie anche alle iniezioni di denaro, ma ha ridato soprattutto slancio all’economia reale per via del rilancio dei consumi. L’indebolimento del dollaro, provocato dal comportamento divergente fra il massimo istituto di emissioni monetario statunitense e quello europeo, ha inoltre fatto la sua parte. Le merci Usa, più convenienti di quelle europee a causa del cambio, hanno così potuto ridare vita all’agonizzante crescita a stelle e strisce. È però ancora presto per fare bilanci finali: la crisi dei mutui subprime e le conseguenze sull’economia Usa sono ancora difficilmente contabilizzabili.
È però un dato di fatto che il conto della crisi, al momento, sta pesando più sulle tasche degli europei che su quelle degli americani. Se oggi gli Stati Uniti stanno resuscitando è grazie alla Banca centrale europea e, soprattutto, ai diktat della Banca internazionale dei regolamenti che indirizza le decisioni delle banche centrali internazionali. Un favore di grandi dimensioni, quello fatto da Francoforte a Washington, pagato però a caro prezzo dai Paesi dell’Eurozona, dalle loro crescite nazionali, dalle loro imprese e, soprattutto, dalle centinaia di milioni di cittadini che hanno un mutuo a tasso variabile presso le banche: un costo che non dà più respiro all’intera economia continentale.