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Israele non vuole la pace

di Gideon Levy - 04/11/2007




Nelle interviste di Passover, Olmer ci dirà “I palestinesi si trovano in un momento cruciale, di fronte ad una decisione storica,” ma la gente ha smesso di prenderlo sul serio da molto tempo. La decisione storica è la nostra, e noi stiamo scappando da questo momento cruciale e da queste iniziative come dalla morte.


Il momento della verità è arrivato e va detto: Israele non vuole la pace. La riserva di scuse è esaurita e il refrain del rifiuto israeliano risuona già cupamente. Fino a poco tempo fa era possibile accettare il refrain israeliano del “non ci sono partner” per la pace e del “non è il momento adatto” per trattare con i nostri nemici. Oggi, la nuova realtà che sta davanti ai nostri occhi non lascia adito a dubbi e lo stanco ritornello “Israele vuole la pace” è andato in pezzi.

Difficile capire quando si è arrivati a questo punto di rottura. E’ stato il completo rigetto dell’iniziativa saudita? Il rifiuto di riconoscere l’iniziativa siriana? Le interviste di Passover (Pasqua ebraica NDT) del primo ministro Ehud Olmert ? Il disgusto manifestato per le dichiarazioni di Nancy Pelosi, il portavoce della Camera dei Rappresentanti americana, a Damasco, che sosteneva che Israele era pronto a rinnovare i colloqui di pace con la Siria? Chi lo avrebbe creduto ? Un funzionario americano di alto livello dichiara che Israele è pronto a riprendere i colloqui di pace e immediatamente il suo presidente nega “duramente” la veridicità delle sue parole. Ma le sente Israele queste voci ? Stiamo assimilando il significato di queste espressioni a favore della pace? Sette milioni di cittadini israeliani apatici dimostrano di no. Intere generazioni di persone cresciute qui si sono abituate all’auto-inganno e diffidano della possibilità di raggiungere la pace con i nostri vicini. Nei primi tempi, David Ben-Gurion ci diceva che se fosse solo stato in grado di incontrare i capi arabi, avrebbe potuto portarci pace. Israele ha chiesto negoziati diretti per una questione di principio e gli israeliani hanno tratto un gran motivo di orgoglio dal fatto che la loro attenzione quotidiana accentrata sulla “pace” ha nascosto le grandi ambizioni del loro stato. Ci hanno sempre detto che non ci sono partner con cui fare la pace, che la più grande ambizione degli arabi è di provocare la nostra distruzione. Noi bruciavamo i ritratti del “tiranno egiziano” nei nostri falò di Lag Ba’omer (festività ebraica NdT) ed eravamo convinti che tutta la colpa per la mancanza della pace fosse dei nostri nemici.

Dopo c’è stata l’occupazione, seguita dal terrorismo, Yassir Arafat, il fallimento del secondo Summit di Camp David e l’ascesa di Hamas al potere, e noi eravamo sicuri, sempre sicuri che la colpa fosse loro. Neanche nei nostri sogni più ottimistici avremmo potuto credere che sarebbe arrivato il giorno in cui l’intero mondo arabo ci avrebbe teso la mano in segno di pace e che Israele avrebbe rifiutato il gesto. Sarebbe stato ancora più insensato immaginare che questo rifiuto di Israele sarebbe stato motivato con il non voler far infuriare l’opinione pubblica interna. Il mondo si è capovolto ed è Israele che sta nella posizione di avanguardia per il rifiuto. La politica del rifiuto di una minoranza radicale adesso è diventata la politica ufficiale di Gerusalemme. Nelle interviste di Passover, Olmer ci dirà “I palestinesi si trovano in un momento cruciale, di fronte ad una decisione storica,” ma la gente ha smesso di prenderlo sul serio da molto tempo. La decisione storica è la nostra, e noi stiamo scappando da questo momento cruciale e da queste iniziative come dalla morte.

Il terrorismo, usato come scusa estrema del rifiuto israeliano serve solo a far sì che Olmert continui a dire fino alla nausea “Se loro ([i palestinesi] non cambiano, non combattono il terrorismo e non adempiono ai loro impegni non potranno mai liberarsi dal loro continuo caos.” Come se i palestinesi non avessero preso provvedimenti contro il terrorismo, come se non fosse Israele l’unico a determinare quali siano i loro impegni, come se non fosse di Israele la colpa dell’interminabile caos che i palestinesi soffrono sotto l’occupazione Israele considera importante stabilire delle condizioni e crede di avere il diritto esclusivo di farlo. Ma molte volte Israele elude i più basilari prerequisiti di una giusta pace – la fine dell’occupazione. Fra tutte le domande rivolte ad Olmert durante le interviste di Passover, nessuno si è preoccupato di chiedergli perché non ha reagito con entusiasmo alle recenti iniziative arabe, senza prerequisiti ? La risposta: i beni immobili. I beni immobili dei coloni. Non è solo Olmert a procedere di malavoglia. Un personaggio di spicco del Labor Party ha dichiarato la scorsa settimana: “ci vorranno dai cinque ai 10 anni per riprenderci dal trauma.” La pace adesso non è altro che la minaccia di una ferita, senza che nessuno parli ancora degli enormi benefici sociali che farebbe sviluppare: la sicurezza, la libertà di movimento nel territorio e l’istituzione di una società più giusta.

Come una piccola Svizzera in questi giorni ci stiamo concentrando di più sul tasso di cambio del dollaro e sulle accuse di appropriazione indebita dirette contro il Ministero delle Finanze che su di un’occasione fatidica che sta svanendo sotto i nostri occhi.

Un’occasione come questa non capita tutti i giorni e nemmeno in ogni generazione. Anche se non è certo che queste iniziative siano totalmente solide e credibili, o se siano basate sull’inganno, nessuno si è fatto avanti per verificarle o per riconoscerle. Quando Olmert sarà nonno che cosa dirà ai suoi nipoti? Che ha fatto di tutto per avere la pace? Che non c’era altra scelta? Che cosa diranno i suoi nipoti?

da Ha’aretz