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Gli altri Pil e le solite vecchie ricette per rincorrere la crescita

di Alessandro Farulli - 04/11/2007

Si intitola «La dittatura del Pil. Schiavi di un numero che frena lo sviluppo» ed è l’ultima fatica dell’economista Pierangelo Dacrema. Non si tratta certo della prima critica mossa al “Grande contabile” e non sarà neppure l’ultima. Già Bob Kennedy – come ricorda il Corriere della Sera presentando i libro di Dacrema, ma anche come cita spesso un altro detrattore del Pil come Ermete Realacci – metteva in discussione il prodotto interno lordo sostenendo infatti che “misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”. Riflessione giusta e condivisibile, a patto che ci si metta d’accordo su quali siano ‘per tutti’ le cose misurabili che rendono la vita degna appunto di essere vissuta, cosa assai complessa. Ma prima di approfondire questo aspetto, va sottolineato che già esistono altri indicatori alternativi nel mondo, come il noto Indice di sviluppo umano, elaborato ormai quasi vent’anni fa da Mahbub ul Haq, economista pakistano, che considera ad esempio il reddito medio pro capite a parità di valore d’acquisto, l’aspettativa di vita, il grado di istruzione. Un altro esempio di ‘contabilità’ è quello noto dell’impronta ecologica. C’è poi il Piq, il prodotto interno di qualità proposto da Realacci e qualche altro modello numerico certamente interessante.

Il primo punto da osservare è che, di questi indicatori, l’unico che è ossessivamente monitorato e a cui tutti fanno riferimento è però soltanto il Pil. Il libro di Dacrema – scrive Mariotti sul Corriere – non è tanto un’invettiva contro il Pil (entità riprovevole solo se gli si permette di trasformarsi in ossessione) quanto la critica di un discorso economico e politico che del Pil si è fatto schiavo. Le scelte dei governi infatti vengono fatte sulla base di quanto riescono ad incidere sulla crescita - quale che sia - di questo Pil. Un Pil appunto che non solo non misura “quello per cui vale la pena vivere”, ma soprattutto quello che potrebbe rendere l’economia più sostenibile ambientalmente e socialmente. Non è quindi un problema di misurare la felicità. Perché questa davvero non è misurabile. Mentre invece – come sostiene l’economista Marco Missaglia - «I danni che l’aumento del Pil produce sull’ambiente dipendono (e quindi in qualche modo sarebbero già misurabili se solo si volesse, ndr) dalla composizione dell’aumento di Pil».

E come in Italia lo si vuole far crescere ancora di più questo Pil? Attraverso l’aumento dei consumi. Tanto che il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha detto venerdì – con ragione – che i salari italiani sono i più bassi in Europa aggiungendo però che c’è bisogno di rilanciare produttività e consumi. Quindi si cresce producendo e acquistando (consumando) di più.
Ma con questo paradigma, ammesso che si possa perseguire la sostenibilità sociale, quella ambientale davvero è irraggiungibile. Anche perché tornando sul concetto del ‘per che cosa vale la pena vivere’, il problema di quale impatto abbia sulle risorse del pianeta e sui rifiuti e quindi sulla qualità della vita ciò che si acquista-consuma - ci spiega in qualche modo Giampaolo Fabris su Affari & Finanza – non sembra interessare a nessuno. «E’ ormai anacronistico – sostiene Fabris – parlare di prodotti di necessità: al primo posto c’è la ‘doverosità sociale’ che niente ha a che fare con la ricerca di status o con il conformismo, la eterodirezione». Su questa base Fabris chiede così di cambiare il paniere Istat con appunto beni che definisce di cittadinanza (”Un pacchetto cioè di beni e servizi che già le famiglie di nuova formazione devono possedere).

Quali sarebbero? La casa, l’automobile, l’impianto stereo, il computer, il cordless, la televisione al plasma, il lettore dvd, la jacuzzi, il condizionatore, un living particolarmente accogliente, la fotocamera digitale, l’abbonamento Sky, attrezzi per la ginnastica, il pesa persone, un indirizzo mail: «Una dotazione standard che si arricchirà poi nel corso degli anni e varierà a seconda del reddito e delle inclinazioni personali». Dunque questa potenzialmente sarebbe anche la dotazione a cui tutti dovrebbero mirare, intendendo per tutti l’intero pianeta. Probabilmente a livello sociale sarebbe giusto, ma sarebbe anche sostenibile?

Assai difficilmente, e chi afferma il contrario dovrebbe anche poi affrontare tutto quello che questo stile di vista occidentale diffuso nel mondo comporterà se non si porrà alcun freno di alcun tipo a questo flusso ininterrotto di energia e di materia. La sinistra in passato ha sostenuto qualcos’altro, ma osserviamo che Giordano (Prc) di fronte alle affermazioni di Draghi si è detto assolutamente d’accordo e se certamente si riferiva agli stipendi e non ai consumi, non si è tuttavia premurato di fare alcuna sottolineatura al riguardo, uno smarcamento, un’allusione alla sostenibilità. Al bisogno di una riconversione ecologica dell’economia.