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Dalle banche al petrolio, la scalata cinese in Africa

di Stefano Liberti - 05/11/2007

 
Inarrestabile Con l'acquisizione di parti della sudafricana Standard Bank, Pechino allarga la sua strategia a sud del Sahara


Un'avanzata senza freni. L'acquisizione del 20 per cento della Standard Bank sudafricana da parte dell'Industrial and Commercial Bank of China (Icbc), annunciata in pompa magna a Johannesburg la settimana scorsa, è solo l'ultimo e più clamoroso episodio dell'incessante scalata del continente da parte del gigante asiatico. Presente in 18 paesi africani e in 21 altri paesi nel mondo (dall'India all'Argentina, passando per la Russia), la Standard Bank è già di per sé un colosso. Il fatto che un colosso ancora più grande sia entrato nel suo capitale crea un vero e proprio mostro multiforme, segno di un evidente salto di qualità nella strategia africana di Pechino.
Con questa acquisizione record - si tratta del più grande investimento straniero in Africa - l'«impero di mezzo» si appresta a proiettare la sua lunga ombra su settori diversi da quelli su cui tradizionalmente ha investito. Finora, Pechino si è preoccupata soprattutto di acquisire le ricche risorse minerarie e naturali di cui ha disperato bisogno per la propria inarrestabile crescita. Così le compagnie petrolifere statali cinesi hanno stretto accordi di sfruttamento per il greggio con diversi paesi, dal Sudan all'Angola, dall'Algeria alla Nigeria. Si sono accaparrate licenze di prospezione petrolifera in zone impervie e prive di infrastrutture (come il deserto del Teneré, nel nord del Niger o la regione dell'Ogaden, in Etiopia). Hanno messo le mani su varie altre risorse naturali, dall'uranio del Niger (spezzando il monopolio di cui godeva la francese Areva fin dall'indipendenza) al cobalto della Repubblica democratica del Congo (Rdc), dal rame della copperbelt incastonata tra il Katanga (nel sud-est dell'Rdc) e il nord dello Zambia al legname della Guinea equatoriale. Hanno insomma investito tutto il continente in una fitta rete di sfruttamento di risorse e materie prime. Parallelamente, hanno investito in modo sfrenato nelle infrastrutture. Hanno costruito pipeline, riabilitato ferrovie. Messo in piedi stadi, asfaltato strade, eretto palazzi governativi.

La forza dei cinesi sta nei capitali di cui dispongono. Ma anche nella loro strategia di non interferenza: nella loro politica di rapporti commerciali a tutto campo, non si pongono troppe domande sul pedigree dei propri interlocutori. Flirtano con paesi ostracizzati dalla comunità internazionale, come il Sudan di Omar el Beshir o lo Zimbabwe di Robert Mugabe. Aggirano gli embarghi, trascurano le violazioni dei diritti umani, non si immischiano nelle questioni interne. E chiedono ai loro partner un'unica cosa: non riconoscere il governo di Taiwan. Allettati dalle profferte di Pechino, i paesi africani hanno aderito in massa. Dopo l'ultima defezione (il Ciad nell'agosto 2006), sono ormai rimasti in cinque a mantenere rapporti con l'isola ribelle: Burkina Faso, Swaziland, Malawi, Gambia, Sao Tomè e Principe.
Secondo Pechino, l'economia cinese e quella di molti paesi africani sono caratterizzate da un'innata complementarità: la Cina ha la tecnologia, il know how e i capitali; i paesi africani le risorse naturali. Ora, con l'acquisizione della Standard Bank Pechino mostra di voler allargare ulteriormente le proprie prospettive africane. In questo rapporto win-win, le uniche a perdere sarebbero le potenze occidentali, legate a vecchi schemi e viste con estremo sospetto a sud del Sahara , per il loro passato coloniale e le loro recenti strategie neo-coloniali.

E d'altra parte, l'avanzata cinese inquieta le cancellerie occidentali, che vedono sparire quote di mercato e aree di influenza. Così, negli ultimi mesi e da più parti in Europa è nato un rinnovato interesse politico per il continente. Il vertice euro-africano, rimandato per sette anni di seguito a causa della possibile presenza del presidente zimbabwano Robert Mugabe, quest'anno si terrà, nonostante le rimostranze del premier britannico Gordon Brown, che ha minacciato di boicottarlo. Tra i punti all'ordine del giorno del summit proprio i rapporti tra Cina e Africa.

La presidenza portoghese, ma anche paesi più di peso (come la Germania della cancelliera Angela Merkel) hanno fatto notare a Brown che bisognava mettere da pare le questioni di principio. Ma certo il summit che avrà luogo a Lisbona l'8 e il 9 dicembre prossimi non avrà molto a che vedere con il vertice sino-africano tenutosi a Pechino l'anno scorso. All'epoca, tutti i capi di stato dei paesi africani che riconoscono la Repubblica popolare sono stati invitati in una capitale addobbata per l'occasione con cartelloni esotici ornati di elefanti e giraffe che annunciavano una nuova partnership. A Lisbona, la sedia vuota o semi-vuota del governo britannico mostrerà un approccio diverso. E segnerà inevitabilmente un altro punto a vantaggio della scalata cinese del continente africano.