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A rischio le banche Usa

di Maurizio Galvani - 05/11/2007

 
Entro la fine dell'anno gli istituti di credito perderanno altri 10 miliardi di dollari. Male anche le compagnie petrolifere, che spendono molto di più per cercare ed estrarre il greggio


Non si arresta la crisi dei mercati internazionali. Dopo il tonfo di giovedì sera da parte di Wall street, ieri, sono state affossate quasi tutte le piazze asiatiche con perdite tra il 2,1% (a Tokyo), il 3% dell'indice Hang Seng della città di Shangai o il 3,39% di Taiwan. Anche il petrolio ha vissuto una giornata di rialzi (più contenuti, anche se la soglia dei 100 rimane un obiettivo molto vicino); sia del Light Crude, a New york, dove ha raggiunto di nuovo i 95,80 dollari a barile, sia del Brent - a Londra - arrampicatosi per la prima volta oltre la soglia dei 92 dollari.
Il cuore della crisi, però, si trova a Wall Street. Nonostante la Federal Reserve abbia ridotto i tassi di interesse dello 0,25%, portandoli al 4,25, il mercato si trova a fare i conti con grosse perdite; sia delle istituzioni finanziarie, sia delle società multinazionali del petrolio, come Chevron (ed Exxon, il giorno prima). La «sorella» statunitense ha chiuso il terzo trimestre con un calo dei profitti pari al 25%. Come per altre compagnie petrolifere, hanno pesato negativamente l'aumento dei costi di estrazione e ricerca, nonché la riduzione dei margini nella raffinazione. Gli alti prezzi del greggio hanno certo attenuato l'erosione dei profitti, ma non l'hanno compensata.

Peggio stanno le maggiori banche, esposte alla crisi dei mutui subprime. Un recente studio della Deutsche bank rivela che nel quarto trimestre del 2007 il sistema bancario nel suo complesso perderà altri 10 miliardi di dollari. «Le più penalizzate saranno la Merrill Lynch e Citibank, con perdite che sfioreranno per ognuna di esse circa quattro miliardi di dollari». Il rischio di sovraesposizione finanziaria continuerà a colpire tutto il sistema del credito, coinvolgendo altri giganti come Bank of America (ieri ha perduto il 3,06%), oppure Jp Morgan (-3,9%) e Goldman Sachs (-5,6%). La Citibank ha già segnalato perdite pari al 2% nel terzo trimestre e la Merrill Lynch ha ceduto, nello stesso periodo, il 7,9%. Proprio Merrill Lynch è ora sotto l'occhio della Sec (la Consob statunitense). E' infatti sospettata di aver «scaricato» parte della propria zavorra in mutui subprime ad alcuni hedge fund, riuscendo così a migliorare almeno un poco i propri bilanci trimestrali. Ma con la promessa di ricomprarla da qui a un anno a condizioni vantaggiose per i fondi che gli stanno facendo da prestanome.
Il dollaro resta debole e il suo valore oscilla intorno all'1,45 rispetto all'euro. Questo è un vantaggio per esportazioni di merci Usa, ma una iattura per le importazioni (si pagano di più tutte le materie prime, a partire ovviamente dal greggio).

Il deprezzamento del dollaro non sorprende minimamente il neo direttore del Fondo monetario, il francese Dominique Strauss-Kahn, in carica dal primo novembre. Anzi, il neodirettore ha confermato che «la moneta Usa è sopravvalutata e, quindi, non spaventerà un suo nuovo ribasso». Strauss Kahn si mostra più che ottimista e «spara» la sua personale previsione: «il caro-petrolio non provocherà nessuna recessione negli Stati uniti».
Vale la pena ricordare che il Dipartimento al lavoro statunitense ha segnalato ieri una ripresa dell'occupazione, con 166.000 nuovi posti di lavoro; il tasso di disoccupazione è rimasto al 4,7%. Il risultato è da ascrivere soprattutto al settore dei servizi. Nel comparto della sanità, ad esempio, ci sono state 34mila nuove assunzioni; in quello dell'istruzione 34.600. Altre 36.700 persone hanno trovato lavoro nel settore della ristorazione. Mentre il manufatturiero se ne sono persi 21.000.

A Wall Street - a un'ora dalla chiusura delle contrattazioni - l'indice Dow Jones perdeva lo 0,52%; viceversa il Nasdaq (il borsino dei tecnologici) saliva dello 0,2%. Segnavano rosso, invece, tutte le principali borse europee; in testa l'arretramento più vistoso, quello del listino di Londra (1,06%). Più contenuto, invece, quello del Mibtel di Milano (meno 0,11%). Le «turbolenze», insomma, sono ben lungi dall'essersi esaurite.