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L'"uomo-macchina" di La Mettrie e il disegno nichilista dell'illuminismo

di Francesco Lamendola - 05/11/2007

 

Il cosiddetto "secolo dei Lumi" ha portato alle estreme conseguenze il paradigma meccanicistico e riduzionistico implicito nella Rivoluzione scientifica del secolo precedente ed è approdato, con la fase matura dell'Illuminismo, in un materialismo coerente e rigoroso, solo a tratti velato da un residuo spiritualismo di matrice deista. In particolare, si osserva una linea di pensiero che, dal sensismo di Condillac, sfocia nel meccanicismo senza residui di La Mettrie per poi arenarsi, come al suo punto-limite, nello scetticismo di Hume. Parliamo di una "linea di pensiero" di tipo puramente concettuale e non cronologica, perché i tre filosofi citati sono più o meno contemporanei: Condillac, francese di Grenoble, visse fra il 1715 e il 1780;  La Mettrie, bretone di Saint-Malo, fra il 1709 e il 1751; Hume, scozzese di Edimburgo, fra il 1711 e il 1776.

Ci soffermeremo sul secondo di questa triade, non certo perché il suo sistema filosofico brilli per profondità speculativa, ma perché ben rappresenta quella degradazione e quell'estremo svilimento della natura spirituale dell'uomo che le punte più radicali dell'Illuminismo perseguirono con una tenacia e con un furore iconoclasta tali, da far pensare a una strategia di largo respiro avente come obiettivo ultimo la distruzione sistematica delle basi morali e di tutti i principali punti di riferimento che avevano sino allora sorretto la civiltà europea. Di per sè, Julien Offroy de La Mettrie non è per niente una figura notevole della storia del pensiero. Nato in una famiglia di ricchi commercianti, si laurea in medicina a Reims e si specializza nei Paesi Bassi presso il celebre fisiologo Boerhaave, indi partecipa - come medico militare - alla Guerra di successione austriaca. Congedatosi dall'esercito, con la civettuola aggiunta del "de" nobiliare al suo cognome borghese, si mette in mostra nei migliori salotti parigini e raggiunge, finalmente, un successo di scandalo col suo primo libro importante, Storia naturale dell'anima (1745), il cui titolo è tutto un programma. Il Parlamento di Parigi condanna al rogo quell'opera irreligiosa e irriverente, ma intanto il suo autore si è fatto un nome, in un momento storico nel quale incorrere nelle pubbliche censure, laiche o ecclesiastiche, costa poco e procura una facile visibilità. Un secolo e mezzo prima non sarebbe stato condannato al rogo il libro, ma chi lo aveva scritto; ora, invece, tutta Parigi parla con curiosità di quel bizzarro filosofo che si fa beffe di ogni più sacra credenza; e le dame ingioiellate della decadente aristocrazia, le cui nipoti lasceranno le loro graziose testoline nel cesto della ghigliottina, guardano compiacenti e falsamente scandalizzate questi philosophes che paiono voler ricostruire il mondo intero, dopo aver fatto tabula rasa di ogni tradizione.

Dopo aver pubblicato una satira contro i suoi colleghi medici, Politica del medico di Machiavelli, decide di cambiare aria per un po' e se ne torna in Olanda, patria della libertà di pensiero, ove pubblica il suo libro più importante, L'uomo macchina, vero e proprio manifesto del materialismo. Nemmeno nella Leida del 1747, tuttavia, si è mai visto niente di simile, per cui il Nostro autore, mostrando ancora una volta di non essere proprio un Cuor di Leone, non osa porre il suo nome sul frontespizio ma sceglie l'anonimato. A dispetto di ciò, perfino le ultra-tolleranti autorità olandesi trovano che questa volta si sia andati un po' troppo oltre il segno, e lo invitano a togliersi dai piedi; ma La Mettrie, che può contare su parecchie amicizie potenti, è un tipo che cade sempre in piedi. Ed ecco che, espulso dai Paesi Bassi, non resta a lungo disoccupato: questa volta, grazie alle manovre del suo buon amico Maupertuis, allora nientemeno che Presidente dell'Accademia delle Scienze e delle Belle Lettere di Berlino, riceve l'invito a recarsi nella capitale prussiana addirittura da Federico II in persona, il sovrano assoluto più illuminato d'Europa.

Così la Mettrie si trasferisce, armi e bagagli, in quella "universal caserma" (la definizione è di Alfieri) che è divenuta la Prussia del '700, proprio alla vigilia di quella Guerra dei Sette Anni, che sancirà la sua ascesa al ruolo di grande potenza del continente europeo, accanto a Francia, Austria, Russia e Gran Bretagna. A Potsdam, all'ombra del "grande" Federico, ossequiato e riverito,  pubblica i suoi ultimi lavori, tra i quali L'uomo-pianta (difficile dire se questa tesi sia una ulteriore diffamazione dell'essere umano o se segni, con ironia involontaria, un principio di risalita, ammettendolo quantomeno nel regno della vita organica); il Sistema di Epicuro; e infine, poco prima della morte (avvenuta nel 1751), un'Arte di gioire che riprende, mitigando alquanto la grossolanità del titolo, una precedente opera, La voluttà.

Il pensiero filosofico di la Metterie è molto semplice: noi siamo soltanto corpo e nient'altro che corpo; l'anima non esiste; perfino le sensazioni sono opera del corpo, senza bisogno di scomodare un principio immateriale che le coordini e le interpreti. Dunque, se non siamo altro che corpo, tanto vale fornire ad esso tutte le gioie che è suscettibile di gustare. Forse proprio per una tale conclusione volgarmente epicurea (che non sarebbe piaciuta affatto ad Epicuro, il quale era un filosofo molto più serio dei suoi sguaiati imitatori), la sua morte fu accompagnata dalla diceria che a provocarla fosse stata una pantagruelica sbafata di fagiano al tartufo.

I ritratti che ne possediamo ci mostrano un personaggio sorridente e dall'aria piuttosto scanzonata, non privo di compiacimento per la propria (supposta) intelligenza: dei ritratti che somigliano in modo impressionante a quel personaggio di cui parla Maurizio Blondet nel suo articolo Il cretinismo scientifico. Certo è che Ortega y Gasset, probabilmente, avrebbe visto in questo medico, improvvisatosi filosofo e tuttologo, un tipico esempio di quegli specialisti, ovvero "scienziati mediocri" (ossia privi del genio dell'intuizione e assolutamente incapaci di immaginare qualcosa che vada al di là del paradigma culturale dominante) i quali, tuttavia, ambiscono a oltrepassare i limiti della propria specializzazione per imporre una sorta di dittatura sul pensiero del loro tempo. Ne abbiamo già parlato nell'articolo Dobbiamo spezzare l'assedio della bruttezza e della stupidità, per cui non ci soffermeremo oltre su questo aspetto.

Noteremo invece che philosophes come La Mettrie, di mente limitata ma animati da una forte vena polemica e desiderosi di fare "coraggiosamente" a pezzi una cultura europea ormai agonizzante, erano molto meno isolati e molto meno anticonformisti di quanto possa sembrare di primo acchito.  Infatti i loro referenti, per non dire il loro pubblico, erano precisamente quei sovrani "illuminati" (Federico di Prussia, Maria Teresa d'Austria, Caterina di Russia, Leopoldo di Toscana) che si accingevano a calare dall'alto le loro riforme in nome del progresso ma, in realtà, con lo scopo di razionalizzare al massimo i poteri dello Stato e liberarsi di ogni limitazione al proprio assolutismo. Un esempio basterà per tutti: la "crociata" condotta dal marchese di Pombal, in Portogallo, contro l'ordine dei Gesuiti, venne abilmente pubblicizzata come una lotta contro l'oscurantismo e l'invadenza della Chiesa cattolica nella vita della società civile, ma uno dei suoi principali effetti - e obeiivi - fu quello di spazzar via le reducciones del Paraguay, ove per tanto tempo i Guaranì avevano trovato difesa contro i bandeirantes, cacciatori di schiavi della città di San Paolo, e raggiunto un invidiabile livello di autosufficienza economica e culturale: cosa che dava estremamente fastidio ai latifondisti del Brasile.

Tornando alla concezione dell'uomo-macchina propria di La Mettrie, quel che ci importa evidenziare è come essa abbia potentemente contribuito a quel processo di diffamazione e umiliazione della dignità dell'essere umano, a quell'oblio dell'esigenza ontologica e trascendente, a quella grossolana esaltazione del carpe diem che è stata come una malattia, dalla quale l'anima occidentale non si è mai più ripresa. Se l'uomo è una macchina, infatti, perché non produrlo e sostituirlo esattamente come si fa con tutte le altre macchine? Se è una macchina riproducibile, perché ostinarsi a ritenerlo qualche cosa di unico e irripetibile, qualche cosa che ha in se stesso la propria ragione di esistere; non frutto del caso, ma chiamato all'esistenza secondo un progetto sapiente e amorevole? Se lo si potesse "fotocopiare" (oggi: clonare), in che cosa la fotocopia differirebbe dall'originale? In nulla, evidentemente: tale, almeno, la tesi di illustri filosofi dei nostri giorni , come Derek Parfit nel suo saggio Ragioni e persone, di cui ci siamo altrove occupati.

Cediamo la parola a R. Verna e Altri (Mondi letterari, Paravia, 2002, vol. 2A, p. 192):

"Nell'Illuminismo francese l'impostazione di Condillac viene portata da altri filosofi verso il materialismo.

"Condillac aveva ridotto l'uomo ad una materiale statua rianimabile attraverso i cinque sensi; ma perché questo potesse accadere la statua doveva possedere all'interno un'anima, uno spirito, anche se profondamente dormiente a causa dell'assenza di stimoli sensibili provenienti dall'esterno.

"L'ipotesi materialistica intende cancellare esattamente questo: che sia necessario ipotizzare qualcos'altro non solo oltre le sensazioni, ma oltre la stessa materia: pensiero, anima, spiritualità sono semplici attributi della materia.

"Interessante è notare come a questa conclusione si giunga non attraverso i discorsi sui princìpi primi, ma ancora una volta attraverso il problema della sensibilità, del sentire: se si riesce a dimostrare che la materia stessa può sentire, automaticamente cade la necessità di ipotizzare un'anima dentro la statua. Si era partiti dal ridurre il pensiero al sentire e ora, siccome il sentire è proprio dei corpi, anche il pensiero è corpo; è la materia stessa ad essere senziente e quindi pensante.

"Una corrente illuministica materialista prende piede in Francia nella seconda metà del Settecento, ma l'iniziatore di questa tenenza vive nella prima metà del secolo: Julien Offroy de La Mettrie (Saint-Malo, 1709- Berlino, 1751), un medico che a partire dalla sua empirica preparazione professionale ricava, secondo il modello della ragione-metodo, una definizione filosofica dell'uomo improntata ad un consequenziale materialismo."

 

Ma vediamo direttamente un esempio della prosa di questo filosofo in sedicesimo, che non si prende neppure la briga di dimostrare i propri argomenti, dandoli bellamente per scontati ed auto-evidenti; e di cui oggi vediamo tanti imitatori fra i nostri cosiddetti maitres à penser, a cominciare da Umberto Galimberti per il quale tutto l'uomo, mente compresa, altro non è che corpo (vedi la parte finale del  nostro articolo Umberto Galimberti e la morale del cristianesimo). Ecco quel che lo stesso La Mettrie afferma ne L'uomo macchina (Milano, Feltrinelli, 1973, trad. italiana di G. Preti):

 

"Occorre altro […] per provare che l'uomo non è che un animale, ossia un insieme di molle che si caricano tutte le une con le altre senza che si possa dire da quale punto del cerchio umano la natura abbia cominciato? Se queste molle differiscono tra loro non è che per la sede e per il grado di forza, e mai per la loro natura: di conseguenza l'anima non è che un principio di movimento, o una parte materiale sensibile del cervello che si può, senza tema di errore, considerare come una molla principale di tutta la macchina che ha una evidente influenza su tutte le altre e sembra perfino essere stata fatta per prima. […]

"Concludiamo dunque coraggiosamente che l'uomo è una macchina, e che in tutto l'universo cìè una sola sostanza diversamente modificata. Questa non è un'ipotesi costruita a forza di problemi e supposizioni: non è l'opera del pregiudizio, né della mia sola ragione: avrei disdegnato una guida che credo poco sicura, se i sensi, portando, per così dire, la fiaccola, non m'avessero, con l'illuminarla, costretto a seguirla. L'esperienza mi ha dunque parlato a favore della ragion: e quindi io le ho congiunte insieme."

 

In alcuni precedenti articoli (ad. es, Leggere i «segni» vuol dire essere desti e consapevoli, e nei più recenti Quale fu la causa della pazzia di Carlo VI di Valois? ed Esiste un progetto consapevole per strappare l'anima del mondo), avevamo delineato l'ipotesi che possa esservi una regia occulta e sapientemente pianificata dietro una serie di eventi storici come, ad esempio, la diffusione di una filosofia materialistica che avvilisce l'immagine dell'essere umano, abolisce l'idea dell'anima (quindi, dei premi e delle ricompense dopo la morte) e riduce l'uomo a un sacco di letame destinato a un sonno eterno (come si compiaceva di imporre "per decreto" l'ex abate Fouché, nel 1793). Sta di fatto che, dopo la ghigliottina, sono venuti i campi di concentramento e di lavoro, le atomiche del 1945, la guerra batteriologica, la manipolazione genetica, la clonazione di esseri viventi: tutti figli di una concezione brutalmente materialistica della natura umana. Sarà, tutto ciò, soltanto un caso?