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Desacralizzare il potere o desacralizzare il mondo?

di Francesco Lamendola - 05/11/2007

 

 

In una intervista concessa al quotidiano Il Gazzettino di Treviso (12 giugno del 2004), il filosofo Giulio Giorello si esprimeva, secondo noi giustamente, contro le pretese e contro lo stesso concetto di democrazia assoluta, affermando che si tratta di una costruzione che può essere emendata, e che deve essere disposta ad accettare il fatto di venire sottoposta a contestazione da una parte dei suoi membri.

Lo spunto all'intervista era fornito dalla pubblicazione del libro di Massimo Fini Sudditi. Manifesto contro la democrazia, che aveva acceso un effimero dibattito di cui oggi, a soli tre anni di distanza, non resta quasi più traccia. Il dibattito, allora, verteva principalmente intorno alla tesi di Fini,  secondo il quale non solo questa forma, storicamente determinata, di democrazia, ma la democrazia in sé è una ideologia politica che va rifiutata, perché intrinsecamente oppressiva e antitetica ai valori autentici della libertà. Nella discussione era sceso in campo anche Flores d'Arcais, dalle pagine del Corriere della Sera; e l'intervista a Giorello costituiva appunto una risposta, in qualche modo, a quell'intervento.

Ci sembra che rivesta un qualche interesse il fatto di ridiscutere le tesi di Giorello (che è ordinario di Filosofia della Scienza presso l'Università degli Studi di Milano; particolare, come si vedrà, non irrilevante) a quasi tre anni e mezzo di distanza, proprio per evidenziare che cosa è ancora vivo e che cosa è morto di quel dibattuto. Esso si svolgeva, non dimentichiamolo, sull'onda emotiva della guerra in Iraq e anche di episodi come il drammatico G8 a Genova del 2001; inoltre, all'epoca (un'epoca molto, molto remota, ai confini della fiaba: in illo tempore), ci si scandalizzava ancora - ma solo un poco, adelante Pedro, con juicio - per le torture di Abu Gahib e per le detenzioni illegali e disumane di Guantanamo; tutta acqua passata, si direbbe, visto che quei fatti sono già scivolati bellamente nel dimenticatoio.

Però diciamo subito che non intendiamo, per adesso, entrare più di tanto nel merito della questione pro o contro la democrazia, perché questione di troppo ampia portata e che richiederebbe una trattazione ben più ampia di quella consentitaci dal modesto spazio di un articolo. Pertanto ci limiteremo, tanto per non essere ambigui, ad affermare con chiarezza la nostra posizione in merito, e cioè che le vicende internazionali degli ultimi anni evidenziano, a nostro avviso, l'urgente necessità di elaborare qualche forma politica che sia di più e di meglio della democrazia e non qualche cosa che sia di meno e di peggio. Ciò chiarito, per non lasciare margine a possibili equivoci, desideriamo in questa sede soffermarci sulla tesi finale di Giorello, il quale si spinge a parlare della necessità di desacralizzare il potere, dopo aver affermato di non nutrire alcuna tenerezza per il sacro ed essersi vantato, in quanto "ricercatore scientifico", di essere giunto alla conclusione che al mondo non vi è nulla di sacro.

A noi è sembrato che tale conclusione sia non solamente una forzatura del senso del dibattito cui era stato invitato a partecipare, ma una chiara manifestazione di quella arroganza scientista secondo la quale, non essendovi nulla di sacro, solo la scienza possiede le carte in regola per fornire agli uomini una corretta visione del mondo e per formulare proposte di organizzazione sociale e politica. Da una affermazione di smaccata autoreferenzialità ideologica, dunque - peraltro perfettamente in linea con il movimento di pensiero che parte da Francesco Bacone e, passando attraverso Galilei, Cartesio, Newton, arriva fino a La Mettrie, D'Holbach, Comte e ai loro epigoni in sedicesimo dell'epoca attuale - si passa, con un vero e proprio gioco di prestigio dialettico, a una invasione a tutto campo che, in nome della razionalità scientifica, pretende di fissare le regole e le modalità di ogni possibile forma di organizzazione politico-sociale.

A questo punto è necessario riportare i passaggi conclusivi della lunga intervista, rilasciata da Giorello al giornalista Luca Orsenigo. Dopo aver sostenuto che la democrazia, come ogni forma di potere e come ogni sovranità, vive una antinomia fra potere sovrano e scelte dei singoli, e dopo aver sottolineato il carattere oligarchico e gerarchico della Chiesa cattolica, "assolvendo" invece scienza e tecnica dalla responsabilità di aver contribuito al formarsi di un "modello unico" di pensiero politico - quello democratico appunto -, Giorello si chiede

 

"Quanto di dissenso una democrazia possa (…) ammettere al suo interno, se quello stesso dissenso è esplicitato in forme non accettate dalla democrazia in causa. A pochi giorni dal G8 di Genova, per esempio, Piero Ostellino, con la coerenza che lo contraddistingue, riteneva impossibile che una democrazia potesse tollerare forme violente di contestazione delle sue stesse regole. Questa democrazia è quindi condannata ad essere una democrazia sovrana nel senso detto prima.  Una democrazia assoluta. Io penso diversamente: che la democrazia non debba essere trattata come una forma di sovranità e che quindi possa rischiare di continuo una contestazione anche dura al suo interno. Posizione che per altro condivido con Thomas Jefferson, due volte presidente degli Stati Uniti, non un bolscevico: una piccola ribellione di tanto in tanto, diceva testualmente, «ripulisce l'aria».

"DOMANDA: La democrazia quindi è l'unica forma di governo che lei vede possibile?

"RISPOSTA: In linea teorica no, potrebbero esserci forme ancora più lasche. A Massimo Fini piacciono i Nuer [un popolo del Sudan che vive ancora, in parte, allo stato pre-moderno; nota nostra]. Io non so. Ma certo la democrazia non è una forma ideale a cui dobbiamo necessariamente tendere, né la fine dell'enigma della storia [come sostenuto dal politologo statunitense Francis Fukuyama nel suo libro La fine della storia; nota nostra]. È una costruzione che può essere cambiata ed emendata. Se la religiosità della modernità deve essere la democrazia, meglio allora il Dio dell'Antico Testamento o del Corano.

"D.: Come la Dea Ragione?

"R.: Sì, ma almeno era una cosa astratta. C'è qualcuno che può immaginarsi un qualsiasi governante europeo sacerdote di una religione divina? È una questione di buon giusto: basta con questa storia delle religioni civili.

"D.: Basta col senso del Sacro applicato alla politica?

"R.: Se c'è una cosa che ho imparato dalla ricerca scientifica è che per il ricercatore scientifico non c'è nulla di sacro. Non ho il senso del mistero. Dobbiamo desacralizzare il potere, magari rischiando l'anarchia., perché no? Ma tra i sacerdoti della democrazia, come Flores d'Arcais, e gli anarchici, preferisco i secondi; tra la difesa ad oltranza della legalità democratica e i black bloc, alla fine ritengo che i secondi siano meno deleteri."

 

Molte cose ci sarebbero da dire su questa parte dell'intervista, ma esse ci porterebbero molto lontano e ci distoglierebbero dal fine che ci eravamo proposti. Ci limitiamo perciò ad accennare che quella di Ostellino (che Tiziano Terzani, nella sua ultima intervista televisiva, definiva un vanesio e, inoltre, uno dei vecchi che pensano da vecchi), forse, più che coerenza, si potrebbe definire una forma di estremismo liberale - ci si perdoni l'ossimoro -, oggi peraltro di gran moda; che la citazione autoreferenziale di Jefferson, proprietario di schiavi e presidente di uno Stato che stava lanciando una guerra di genocidio contro i legittimi abitanti di quel territorio, ossia gli Indiani, suona un po' incongrua e tragicamente ironica, là dove parla di "piccole  ribellioni che ripuliscono l'aria" (già, ma per chi?, per le vittime o per i carnefici?); e infine che noi non solo ci immaginiamo benissimo un governante europeo sacerdote di una religione divina, ma ne abbiamo anche visto più d'uno, se non europeo, occidentale: come Bush padre e figlio che, mentre guidavano le rispettive guerre contro l'Iraq (la prima e la seconda del Golfo), si facevano riprendere mentre erano raccolti devotamente in preghiera o dichiaravano in televisione di essere i campioni della lotta del Bene contro il Male. Più religione divina di così… Per l'esattezza, si chiama Manicheismo e venne fondata dal profeta Mani, in Persia, nel III secolo dopo Cristo.

Ma lasciamo perdere tutto ciò e concentriamoci piuttosto sull'ultima affermazione: quella secondo cui occorre desacralizzare non solo il potere, ma ogni forma di politica e, anzi, ogni forma di attività umana, perché al mondo "non c'è nulla di sacro". Questa convinzione, che sa veramente di Adelphi della dissoluzione (parafrasando il titolo di un noto libro di Maurizio Blondet) e che, presa alla lettera, ha un suono piuttosto inquietante, Giorello dice di averla maturata nel corso della ricerca scientifica, durante la quale ha scoperto che, per il ricercatore scientifico, "non vi è nulla di sacro". A quanto pare, non gli è venuto affatto in mente che, forse, il male è proprio questo; e, inoltre, che tale idea non appartiene affatto allo statuto ontologico della scienza in sé e per sé, ma a questa scienza dell'Occidente moderno, post-galileiana e post-cartesiana: meccanicista, riduzionista e materialista.

Oltre a ciò, qualcuno potrebbe chiedersi a quale ricerca scientifica Giorello vada debitore di una siffatta scoperta. Noi, a dire il vero, credevamo che il mestiere del filosofo, e sia pure del filosofo della scienza, fosse altra cosa da quello dello scienziato; ma, evidentemente, ci siamo persi qualche passaggio dell'evoluzione del pensiero moderno. Ci sembrava di aver capito che, mentre lo scienziato indaga i segreti della natura (per carità, non chiamiamoli misteri, altrimenti qualcuno si potrebbe adombrare!), il filosofo riflette sulla natura dell'essere; e l'epistemologo, in particolare, riflette sugli orizzonti che la ricerca scientifica dischiude. Ma non è il filosofo a fare ricerca scientifica, anche perché i suoi presupposti, la sua prospettiva e la sua stessa metodologia di lavoro sono completamente diversi: lo scienziato lavora sulla materia, il filosofo sul pensiero. Ma è evidente, ripetiamo, che dobbiamo esserci persi qualche cosa, perché si vede che i filosofi come Giorello, al giorno d'oggi, si vergognano della specificità della ricerca filosofica e si sentono molto più legittimati allorché adottano i presupposti, la prospettiva e i metodi di lavoro che sono propri degli scienziati. Si vede che, mettendosi il camice bianco, anche i poveri filosofi si sentono un po' meno inutili, un po' meno derelitti, in una società che ha fatto dell'efficienza materiale la sua bandiera.

Non siamo noi a dirlo; è Giorello che, in un passaggio precedente della medesima intervista, respingendo l'idea che scienza e tecnica possano avere una parte di responsabilità nella formazione del "pensiero unico" democratico, aveva affermato testualmente che

 

"… la comunità scientifica è fortemente aperta. Certo bisogna anche sobbarcarsi il difficile cammino di essere educati alla scienza…(…) L'autorità all'interno della comunità scientifica è un'autorità conquistata attraverso la competenza, viene acquisita da alcuni componenti per le capacità intrinseche a svolgere una ricerca, che ha come scopo una forma di sapere pubblico e controllato."

 

Davvero, leggendo queste frasi ci par di sognare. La comunità scientifica "fortemente aperta"? La scienza odierna come "forma di sapere pubblico e controllato"? Ma stiamo scherzando? I casi sono due: o noi o Giorello, in questi anni, abbiamo vissuto su due pianeti totalmente diversi. A noi, infatti, pare che poche comunità siano più chiuse e autoreferenziali dell'attuale comunità scientifica, sempre pronta a fare quadrato e a rigettare ogni forma dissidente di ricerca scientifica, dalla medicina alla fisica, dall'astronomia all'archeologia. E quanto al sapere pubblico e controllato, chi non sa che la parte principale della ricerca scientifica si fa, oggi, nelle strutture delle grandi agenzie politico-militari, come il Pentagono e la NASA, o delle società multinazionali; e che è caratterizzata  da una estrema segretezza, anche perché vi si conducono ricerche altamente pericolose e nocive per la salute e per l'ambiente, di cui è bene che l'opinione pubblica non sappia nulla di nulla?

Conclusione. Giorello può anche dire di parteggiare per gli anarchici e per i black bloc, ma di fatto ragiona come lo scudiero ufficiale di una struttura di potere, l'apparato tecno-scientifico, che non solo non ha niente di democratico, ma che è la quintessenza del potere gerarchico, coercitivo e basato sul dogma del pensiero unico più pericoloso che esista: quello della Scienza eretta a nuova religione dell'umanità. E, per instaurare una tale religione totalitaria, bisogna prima di tutto spazzar  via il senso del mistero e quello del sacro. Come Giorello, volonterosamente, si appresta a fare.