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L'alleanza cosmica

di Padre Robert Murray - 05/11/2007

 

 

È importante, oggi, che teologi e altri studiosi inizino a rileggere la Bibbia e a rivedere il suo messaggio sull’umanità e il nostro rapporto con il pianeta. Una nuova lettura dei testi biblici sull’ordine della creazione, la sua conservazione e restaurazione, e alcune riflessioni sul contesto culturale nel quale questi temi ricorrono, non soltanto nella Bibbia, ma anche in altri testi religiosi delle culture vicine, possono dirci molto sulla vera etica ecologica del Cristianesimo. In questo articolo, mi propongo di tentare tale nuova lettura.

Tuttavia, nel fare questo, il mio scopo è lungi dall’essere semplicemente antiquario. Il frutto della ricerca da cui deriva questo articolo[1] è stato un più profondo convincimento che la Bibbia abbia ancora molte più cose da dire di quante non ne siano state ascoltate (almeno negli ultimi secoli), ma che sia ora urgente udire e meditare. Il messaggio riguarda non soltanto la crisi nella quale abbiamo condotto la terra con un arrogante e sfrenato sfruttamento delle sue risorse, ma anche il valore, precisamente nella prospettiva della grazia di Dio, del discernimento e dell’agire umano che non troviamo solo nella Bibbia.

 

 

I teologi hanno tradito il messaggio biblico?

 

Recenti saggi riguardanti quella che potrebbe essere definita “teologia ecologica” hanno duramente attaccato il modo in cui la creazione e la nostra relazione con essa sono state presentate sia in molte interpretazioni bibliche delle scritture, sia nella teologia sistematica che ha largamente imposto i suoi presupposti. Una tesi molto citata addossa alla stessa Bibbia la responsabilità dello sfruttamento dell’ambiente, col pretesto che Genesi 1, dando al genere umano il “dominio” su tutte le altre creature, ha incoraggiato lo sviluppo della tecnologia non tenuto a freno da un opportuno senso di riverenza per la Creazione di Dio[2].

Gli argomenti teologici concernenti l’interpretazione dei testi biblici sulla creazione e i suoi frequenti presupposti sono più seri e solidi. È infatti vero che Genesi 1, rispetto ad altre narrazioni bibliche, ha “demitologizzato” la Creazione, ma non è vero che “secolarizza” il mondo non umano. Ancora, è vero che in Gen. 1, 28 Dio affida all’umanità il “dominio” su tutte le creature, ma ai verbi ebraici tradotti con “dominare” e “sottomettere” è stata attribuita una connotazione di gran lunga più violenta di quella che essi realmente possiedono. Di qui l’interpretazione secondo cui Dio ci ha dato un illimitato permesso di sfruttamento che è, in realtà, estranea al contesto linguistico e culturale del brano. Come vedremo, questo brano, in effetti, rappresenta l’uomo come responsabile vicario di Dio.

Di fatto, è la storia a dover rispondere dell’apparente separazione biblica tra l’umanità e la creazione. I presupposti teologici, principalmente a partire dalla tradizione della Riforma, con Karl Barth e i suoi seguaci, sono ora molto accusati dell’incapacità della teologia sistematica di incorporare una coerente dottrina della creazione e la nostra relazione con essa. Le accuse (mosse più efficacemente da teologi protestanti insoddisfatti)[4] si basano sulla tendenza della teologia della Riforma a dipendere, fondamentalmente, soltanto da due poli: Dio salvatore e l’Uomo salvato, che ha ricevuto la grazia solo attraverso la morte di Cristo e la fede nel vangelo.

Sebbene il mondo sia creato da Dio e sia quindi buono, esso non rientra nell’essenziale dramma della salvezza mediante la grazia e la fede: il cattolicesimo sbaglia (e inclina fatalmente verso l’idolatria) quando fa rientrare il mondo nel processo di grazia e salvezza, sia dando importanza alla “teologia naturale”, sia sviluppando una visione sacramentale del mondo.

Anche un altro moderno presupposto ha aiutato a ostacolare lo sviluppo di una adeguata teologia della creazione. Si tratta della diffusissima ipotesi secondo la quale la chiave prospettica per comprendere la Bibbia sia la storia: che il tema essenziale della Bibbia sia la salvezza, e il suo essenziale teatro sia la “storia della salvezza”. In opposizione alla storia c’è il mito, espressione di una visione della realtà tipica del pensiero “primitivo”, che per sua natura è non storico. Esso può formulare nozioni sull’inizio e la fine della storia, ma, più caratteristicamente, il mito esprime ciò che è ritenuto essere vero o metafisicamente (ad esempio, nozioni di elementare dualismo nella struttura di ogni essere) o nell’eterno ritorno (ad esempio, il ciclo della stagioni e la fertilità della terra).

Naturalmente, nella Bibbia ebraica c’è un elemento mitico. Ma se la struttura basilare della Bibbia è soltanto la polarità divino-umano, e se il suo tema fondamentale è la realizzazione del progetto salvifico di Dio, allora i molti brani che parlano dell’ordine creato e del nostro posto in esso in termini meno storici, possono essere considerati come meno importanti (forse anche perché nella Bibbia il linguaggio mitico è condiviso con, o persino preso a prestito da, nazioni “pagane”). Al contrario, questa zona del pensiero religioso biblico serba gelosamente idee e ideali sommamente importanti di ordine: l’ordine della creazione di Dio, rivelato sia nell’intero cosmo, sia in natura sulla Terra; pace e giustizia nei rapporti dell’umanità come pure tra nazioni, parti della società e individui, nonché tra uomini e animali; retto pensiero (sapienza) e retto culto[5]. Prescindendo abbastanza dalle narrazioni storiche, la Bibbia ci insegna che il peccato e la salvezza non sono faccende che riguardano soltanto gli esseri umani e Dio. Il peccato, infatti, implica una alienazione dalla nostra natura la quale ci mette in relazione con le altre creature di Dio, mentre la salvezza comporta la nostra reintegrazione in un più ampio ordine che abbraccia l’intero cosmo.

 

 

Le descrizioni bibliche della creazione

 

È essenziale comprendere che la Bibbia non contiene un solo resoconto della creazione o del suo ordinamento. Ne contiene diversi; e ci sono anche storie o visioni della “distruzione” della creazione. Ci sono, inoltre, non soltanto descrizioni dell’ordinata bellezza del mondo, ma anche di disordine. I credenti definiscono la Bibbia “parola di Dio”; se prendiamo sul serio tale definizione, questo implica che Dio ci ha invitato a meditare su tutte queste storie e descrizioni e a riflettere sulla loro varietà.

Non può essere privo di significato il fatto che i redattori finali delle tradizioni di Israele abbiano scelto di porre all’inizio della loro raccolta il racconto della creazione che leggiamo in Genesi. Ma tuttavia, non è il solo racconto nella Bibbia, ed è molto improbabile che sia il più antico. Mentre i primi undici capitoli della Genesi mostrano molti legami con l’antica tradizione mesopotamica, il racconto della creazione di Gen. 1 è in contrasto con quello babilonese e con gli altri miti della creazione, nei quali il creatore sconfigge il caos personificato da un mostruoso drago marino. È quindi verosimile che le allusioni a tale mito nella Bibbia ebraica siano più antiche di Genesi 1.

Perciò il Salmo 74, che contiene forse le più diverse serie di immagini dell’ordine e del disordine, nelle sue sezioni prima e terza presenta spaventose visioni dell’assenza e del silenzio di Dio (vv. 1-2, 9-11, 22-23); della distruzione del suo tempio sulla terra (vv. 3-8); e dell’ordine sociale distrutto (vv. 18-21); all’opposto, la seconda parte centrale (vv. 12-17) evoca un quadro della creazione come vittoria di Dio sui “draghi” e sul Leviatano delle acque, seguita dal suo ordinamento della terra, dei corpi celesti e delle stagioni. Se i Salmi erano testi usati nel culto (come è certamente vero per molti di essi), quale genere di contesto poteva richiedere questa gamma di immagini fortemente contrastanti? Ritorneremo su questo problema.

Il mito simboleggia le verità in forma narrativa. A prescindere dalle allusioni ai miti della creazione in senso proprio, la Bibbia contiene molti riferimenti alla regolazione da parte di Dio degli elementi cosmici imponendo ad essi dei limiti e comandando loro di conservare il loro posto. Gli elementi sono leggermente personificati (come non lo sono in Genesi 1), ma non fino al limite di una narrazione completamente mitica. Perciò, Dio ricorda a Giobbe come assegnò dei confini al mare, dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre” (Giobbe 38, 8-11). Questa descrizione di Dio che instaura l’ordine ritorna in Sal. 104, 5-9, Sal. 148, 6 e in Proverbi 8, 29. Geremia 5, 22-23 paragona la disciplina osservata dagli elementi con la disobbedienza delle creature umane di Dio, tema classico sia nella letteratura giudaica che in quella cristiana (cfr. 1 Enoc 2, 1-5, 9; 1 Clemente 20, ecc.).

In effetti, la disobbedienza umana è regolarmente considerata in questo contesto di ordine; il significato essenziale delle sanzioni morali, nella Bibbia come nell’altra letteratura antica, è che il disordine reca in sé la sua nemesi. Nell’Antico Testamento, è questo che è fondamentale, più che la storia della disobbedienza in Paradiso; nessun altro scrittore biblico sembra conoscere quella storia o l’idea di una “caduta” originale che ha interessato l’intera umanità, fino al (tardo) libro della Sapienza e al susseguente sviluppo delle teorie cristiane del “peccato originale”.

La terza, e più recente, descrizione della creazione è Genesi 1, ed è maestosamente serena. Non c’è un nemico che deve essere drammaticamente conquistato o anche castigato. Non ci sono mostri marini. Il tema è ancora l’ordine, ma Dio lo realizza facilmente con la sua Parola. Egli crea l’ordine mediante la separazione[6], e questo causa l’ampia diversità delle creature, sulla cui precisione gli scribi sacerdotali insisteranno in modo da far riconoscere come divinamente approvate le loro fondamentali leggi sul sacro e il profano, il puro e l’impuro. Genesi 1 è un grande poema in prosa sull’ordine – soprattutto, quale è manifestato nel calendario liturgico. Esso è organizzato come una traiettoria che sale fino al quarto giorno e il settimo riposa. Il quarto giorno è quello culminante sul piano strutturale, quando i corpi celesti sono creati, per rendere possibile la sequenza del calendario e le sue gesta. Ma in un altro senso il culmine è la creazione dell’ultima categoria di creature, l’umanità (adam, in ebraico nome collettivo) ai vv. 26-27.

Il significato dell’“immagine di Dio” è stato molto discusso: molto probabilmente, essa appartiene all’antica concezione sul rapporto dei re con le loro divinità protettrici[7]. Proprio come l’autore di Genesi 1 ha radicalmente “demitologizzato” il suo antico materiale, così ha “democratizzato” il ricordo della regalità. Ora, è un ruolo regale che l’umanità ha sotto Dio, e questo ruolo si realizza con un comportamento simile a quello dei re davvero giusti e saggi che governano i loro sudditi in pace e nel rispetto dell’ordine morale, riverbero terrestre dell’ordine cosmico. Il progetto originario di Dio non implicava spargimenti di sangue, anche di animali (vv. 28-30). Sebbene il senso di Gen. 1 abbia superato le antiche espressioni dell’ordine divino, è ancora implicitamente in contatto con il loro tema, al centro del quale troviamo l’ideale della vera regalità.

Le stesse idee, in una chiave differente, sono alla base del successivo racconto su come Dio, come un artigiano, plasmò il primo essere umano e lo invitò a esercitare una saggia autorità sul regno animale (Gen. 2:7, 19-20). È deplorevole che queste poetiche prime pagine della Bibbia siano state interpretate così erroneamente da quanti hanno tentato di dimostrare o confutare che esse hanno qualcosa a che fare con la storia o l’evoluzione.

 

 

La rovina e la restaurazione dell’ordine creato

 

Come abbiamo visto, la Bibbia contiene immagini sia dell’ordine deturpato o distrutto, sia dell’ordine instaurato. Una versione dell’antico mito ha attribuito la presenza del disordine nel mondo a esseri soprannaturali ribelli. Nei primi capitoli della Genesi (6: 1-4) resta solo un frammento di tale mito. (Versioni del tipo più antico di mito della ribellione, con conseguente disordine sulla terra, sono accennate in Isaia 14 e Ezechiele 28, in Isaia 24 e forse nel Salmo 82; la più completa versione ancora esistente è in I Enoch 6-11)[8]. Se il male è stato introdotto sulla terra da forze sovrumane, allora gli uomini sono fino a un certo punto vittime più che autori del male; probabilmente, l’autore/redattore di Gen. 2-3 conosceva gli antichi miti, ma volle presentare la situazione morale umana principalmente in termini di responsabilità per il peccato contro la volontà rivelata di Dio. Il mito della ribellione angelica fu bandito dalla Bibbia canonica, da molte tradizioni cristiane, ma ha conservato la sua capacità di suggerire un quadro alternativo della situazione morale (si veda, più avanti, Il Libro di Enoch e il peccato cosmico di Margaret Barker).

La più grande immagine della distruzione dell’ordine del mondo è, naturalmente, nella storia del diluvio, che è indiscutibilmente presa a prestito da fonti mesopotamiche. Dio decide di cancellare tutti coloro che si sono volti al male, salvando soltanto l’unico uomo giusto, la sua famiglia e gli animali, in modo da preservare tutte le specie di creature viventi. Non si tratta tanto di una storia della distruzione del mondo (Dio lascia penetrare le potenze del caos, ma non distrugge attivamente la sua creazione), quanto piuttosto della purificazione del mondo in modo da restaurarlo, mentre i portatori della benedizione di Dio sono preservati per continuare la vita sulla terra. Perciò, il diluvio è un grande paradigma di ammonimento, ma anche di speranza[9]. Come narrazione, ha un carattere mitico più che storico. Dio riafferma l’“ordine cosmico” (Gen. 8:22) mediante una “eterna alleanza” stabilita sia con gli uomini che con gli animali (9, 8-18). L’inclusione degli animali è tipica della visione “cosmica” di un’alleanza con Dio che rappresenta una modalità di pensiero simbolico religioso differente dall’alleanza della legge mosaica, e mette in luce un’origine in un differente tipo di ambiente.

Malgrado le classificazioni convenzionali della scienza biblica, un orecchio sensibile può riconoscere temi che possono essere collegati, sebbene si trovino in differenti parti della tradizione biblica. Credo che l’“eterna alleanza” di Gen. 9 rifletta la stessa idea del “matrimonio tra Cielo e Terra” che Dio promette a Israele in Osea 2, 18-23; le benedizioni regali in Isaia II e nel Salmo 72; e la visione di pace sotto un restaurato re davidico in Ezechiele 34[10]. Se si obietta da parte degli “storicisti” (siano essi ingenui fondamentalisti o raffinati studiosi) che “tutto questo viene molto tempo dopo il diluvio”, dobbiamo riflettere di nuovo sulla modalità di pensiero in cui queste visioni di pace e armonia sono concepite. Esse, infatti, formulano verità e ideali in un linguaggio differente da quello storico.

Per tornare alla storia del diluvio, la scena successiva alla sua fine ha un’altra funzione nel libro della Genesi. Siamo arrivati al punto in cui occorre una transizione dal mito al mondo concreto, dove viene sparso il sangue. Così, al posto dell’originaria concessione di solo cibo vegetale (Gen. 1: 29-30), Dio dà come cibo all’umanità gli animali, ma secondo le leggi del rispetto per la vita che debbono vincolare non soltanto gli uomini, ma persino gli animali (Gen. 9: 2-6). Ci sono ora due programmi per la nutrizione umana, l’uno vegetariano (Gen. 1) e l’altro carnivoro (Gen. 9). Quello che i due brani hanno in comune è, chiaramente, che gli uomini sono definiti creature di Dio, fatte a sua immagine, e suoi responsabili partner, il cui dominio deve essere esercitato in pace, con rispetto per la vita. Lo sfruttamento non è approvato nella Bibbia. L’umanità è unita al resto della creazione e le ideali immagini di pace e ordine collegano tutte le creature. Resta da considerare in quale tipo di contesto erano espresse e celebrate queste immagini; cosa significavano nel loro ambiente originario e cosa possono ancora significare per noi oggi.

 

 

L’ordine cosmico, sociale e morale nel mondo biblico

 

Per aiutarci a capire questo ampio tema dell’“ordine” nelle sue varie e concatenate sfere e significati, dobbiamo fare riferimento ai brani che trattano degli ideali e delle funzioni di coloro che, nel mondo antico, erano considerati come i custodi divinamente stabiliti dell’ordine – vale a dire i re. Abbiamo già visto come, dietro le narrazioni della creazione della razza umana in Genesi 1-2, possono ancora essere percepiti temi regali. Tali narrazioni furono redatte in un’epoca in cui gli ebrei non avevano più re. Le antiche benedizioni regali e i salmi vennero reinperpretati come annuncianti la venuta dell’unto mashiah (“messia”) di Dio. Ma esaminiamo alcuni brani dell’epoca in cui i re continuavano ad essere al centro del mondo ordinato, non soltanto in Israele ma nelle vicine Sira, Egitto e Babilonia (per non parlare di altre culture lontane come la Cina).

Il Salmo 72 è una preghiera per un re – che il titolo tradizionale identifica con Salomone – che Dio doterà dei suoi stessi attributi di mishpat e sedaqah. La prima parola è normalmente tradotta con “giustizia”; la seconda è stata a lungo resa con il termine “rettitudine”, ma in differenti contesti richiede molte altre traduzioni: giustizia, precisione (specialmente di rituali religiosi), buone azioni, vittoria, ecc. Di fatto, questi due termini, spesso associati, connotano la somma della virtù regale insieme con le benedizioni di cui il popolo spera di beneficiare grazie a dei buoni re. Così è nel Salmo 72. La preghiera di base (v. 1) è elaborata chiedendo alternativamente giustizia clemente (1-2, 4, 12-14), pace e fertilità della terra (3, 5-7, 16) e vittoria (8-11, 15, 17).

Coloro la cui idea di “giustizia” biblica è troppo ristretta al senso familiare alla teologia paolina della giustificazione, saranno sorpresi di vedere che il salmista prega affinché le colline siano fertili con sedaqah e shalom (pace o prosperità – anche se aveva il più ampio significato di pace tra Cielo e Terra). Ancora una volta, vediamo che la salvezza nella Bibbia ha una portata di gran lunga più ampia di quanto pensino molti cristiani[11].

Un altro esempio è Isaia 32. Questo poema inizia con una visione dei re ideali regnanti con sedeq e mishpat (32: 1). Seguono poi varie, brevi evocazioni dell’ordine e del disordine sia nella società che nella situazione della terra (vv. 2-14). La svolta decisiva è una sperata effusione dello spirito (v. 15), dopo la quale la terra diventerà fertile con mishpat, sedaqah e shalom (vv. 16-17). Un’altra visione di Isaia, molto familiare ai cristiani in un significato messianico, contiene tipici elementi di una benedizione regale, vale a dire il capitolo 11. Qui, i doni invocati sono la sapienza, con il dono dello spirito di Dio (vv. 2-3), e poi di nuovo una giustizia clemente, con il dono della sedaqah (vv. 3-5). Segue poi la famosa descrizione dello shalom simboleggiato dall’armonia tra animali che normalmente non vivono reciprocamente in pace (vv. 6-9), e una allusione finale al Paradiso, “mio santo monte” (v. 9). Tutti questi esempi mostrano quanto sia vasto lo spazio semantico dell’ordine sociale e cosmico e della pace connotato dalle citate parole ebraiche.

Si potrebbe dire che sedaqah è la parola ebraica per “ordine” in questo senso ampio, corrispondente all’egiziano ma’at e ad analoghi concetti nella altre culture vicine. Questo ordine è visto come progetto di Dio per le sue creature, stabilito dalla sua volontà; sedaqah è la sua divina giustizia cui i re da lui scelti partecipano con la sua benedizione. Questo ambito di significato abbraccia sapienza e giustizia attiva, buon ordine nella società e in tutti i suoi membri, agricoltura regolata dal calendario, giusto culto in un tempio la cui struttura e i cui rituali simboleggiavano parimenti l’ordine cosmico, la vittoria sui nemici e, naturalmente, l’ordine morale, come è chiarito nel Salmo 19 (che qualcuno erroneamente considera come due composizioni poetiche separate)[12]. Sebbene non sia provato, è probabile che in Israele, come in Babilonia e in Egitto, ci fossero rituali che celebravano – e di cui si pensava che realizzassero con una sorta di decreto sacramentale – la sconfitta del disordine su tutte le forze ostili e la vittoria del vero ordine. Questo era, credo, il contesto per molti salmi e altri passi biblici di carattere liturgico.

Dopo la fine della monarchia, gli attributi regali furono trasposti mediante un processo di democratizzazione, e diventarono le virtù di chiunque fosse obbediente alla volontà di Dio rivelata nella sua legge. Ma il ricordo della monarchia non poteva morire, e così diede origine alla speranza messianica. Alle benedizioni regali fu dato un nuovo contesto escatologico e col tempo i cristiani le avrebbero riferite tutte a Gesù. La ricchezza dell’antica ideologia regale (anche se il popolo l’aveva dimenticata) continuava a fecondare il suolo dal quale scaturirono gli “inni” cristologici nelle lettere agli efesini e ai colossesi, la dimensione cosmica della salvezza che Paolo introduce nella sua visione nella lettera ai romani (8, 19-22), e la trasfigurazione del mondo negli ultimi due capitoli dell’Apocalisse.   

 

 

Lezioni per oggi

 

Che valore teologico ha oggi tutto questo? Certamente, anche noi dobbiamo tradurre questa teoria dell’ordine divino e terrestre custodita dai re sacri in qualcosa di più adatto all’età moderna, poiché un tale potere regale non esiste più sulla terra (almeno, nelle regioni che pretendono di essere civilizzate). Quando queste idee saranno tradotte, potranno continuare a parlarci del nostro posto nell’insieme della Creazione. Se i cristiani hanno assunto la visione soltanto come profetica dell’avvento di Cristo e dell’inizio del “regno di pace”, allora hanno ristretto il suo raggio d’azione e la sua importanza per tutta la razza umana.

Qui, i cristiani possono imparare dal giudaismo che (forse in reazione al distacco cristiano dal mondo terreno) non ha mai perduto il suo senso della santità della creazione di Dio e dei nostri doveri nei suoi confronti. Ci fossero o no vere e proprie liturgie per la preservazione e la restaurazione dell’ordine cosmico e sociale, come credo sia presupposto da molti Salmi e passi profetici, questa idea perdura nel giudaismo come tikkun olam, “preservazione del mondo”. Questo vuol dire, in realtà, promuovere il bene della società; mentre nel pensiero del cabalista Isaac Luria, tikkun è sia la visione, sia la grande opera della restaurazione cosmica cui il mistico è chiamato a partecipare[13].

Gli aspetti dell’insegnamento biblico che sono stati messi in evidenza in questo articolo possono risultare di lettura ardua e sorprendente. Credo che l’insegnamento biblico qui analizzato implichi una dottrina non soltanto sul mondo, ma anche sulla rivelazione e la salvezza, di gran lunga più aperta e inclusiva di quanto la tradizione Riformata abbia spesso permesso.

Ma, in conclusione, non vorrei congedarmi dal lettore con un messaggio troppo complesso. Quando l’insegnamento biblico sulla creazione di Dio e il nostro posto in essa sarà debitamente assimilato, credo che ci urlerà a gran voce: “Siete compagni di tutte le altre creature del cosmo. Non avete il diritto di sfruttare o distruggere, ma avete doveri verso tutti, verso Dio davanti al quale siete responsabili”. Nessuno ha insegnato la giusta gerarchia di diritti e doveri più chiaramente di quella grande pensatrice moderna che appartiene spiritualmente sia al giudaismo che al cristianesimo, Simone Weil, la quale ha criticato tutta la moderna teoria dei diritti umani in quanto concepita alla rovescia. Quello che è fondamentale, non sono i “diritti umani” (che sono notoriamente di difficile definizione) ma i bisogni; le esigenze fondamentali per l’esistenza. Poiché tutti condividiamo dei bisogni, siamo tutti insieme uniti in una rete di doveri. Dove questi ultimi sono riconosciuti, allora possiamo definire i nostri diritti come esseri umani e abitanti della terra[14]. Questo, credo, ci offre l’intelaiatura all’interno della quale possiamo ricominciare ad ascoltare l’insegnamento della Bibbia sul mondo di Dio e sul nostro posto in esso come sue responsabili creature.    

 

 

 

NOTE

 

[1] Il tema di quest’articolo, e tutti i suoi punti particolari, sono più ampiamente trattati in R. Murray, The Cosmic Covenant, Heythorp Monograph pubblicata da Sheed & Ward, London 1992.

 

[2] Cfr. Lynn White Jr., “The Historical Roots of our Ecological Crisis” (originariamente in Science, 1967), in I. Barbour (a cura), Western Man and Environmental Ethics (Reading, Mass.: Addison-Wesley, 1973), pp. 18-30.

 

[3] J. Barr, “Man and Nature: The Ecological Controversy and the Old Testament”, Bulletin of the John Rylands Library 55 (1972), pp. 9-32. Cfr. anche J. MacQuarrie, “Creation and Environment”, Expository Times 83 (1971-72), pp. 4-9.

 

[4] Cfr. H. P. Santmire, The Travail of Nature (Philadelphia, Fortress Press, 1985), specialmente pp. 143-145; W. Granberg-Michaelson, A Worldly Spirituality (San Francisco, Harper & Row 1984), specialmente pp. 46-47.

 

[5] Le correlazioni tra questi temi nella Bibbia ebraica sono state dimostrate da H. H. Schmid in Gerechtigkeit als Weltordnung (Tubinga, Mohr 1968); per le più ampie implicazioni, cfr. il suo Altorientalische Welt in der alttestamentlichen Teologie (Zurigo, Theologischer Verlag 1974), pp. 9-30. Cfr. J. Barton, “Ethics in Isaiah of Jerusalem”, Journal of Theological Studies, N. S. 32 (1981), 1-18, sull’importanza di questo significato dell’ordine nel pensiero etico biblico.

 

[6] Cfr. P. Beauchamp, Création et séparation (Paris, Aubier Montaigne 1969).

 

[7] Così H. Wildberger, “Das Abbild Gottes : Gen. 1: 26-30”, Theologische Zeitschrift 21 (1965), 245-59, 481-501.

 

[8] Questi passi sono discussi in The Cosmic Covenant, op. cit.; cfr. anche M. Barker, The Older Tetsament (London, SPCK 1988), specialmente il capitolo I e il suo libro più breve The Last Prophet (London, SPCK 1988).

 

[9] Cfr. Isaia 54: 9-10, e le contrastanti visioni in Sofonia 1, 2-3 e 3, 11-12.

 

[10] Per una differente analisi di questi e di testi paragonabili, cfr. B. F. Batto, “The Covenant of Peace: A Neglected Near Eastern Motif”, Catholic Biblical Quarterly 49 (1987), pp. 187-211.

 

[11] Non sorprendentemente, gli esegeti che avevano affermato la centralità della dottrina paolina e l’avevano rigorosamente compresa nella limitata polarità Dio salvatore/individuo salvato, avrebbero poi considerato più importanti nell’Antico Testamento quelle parole derivate da sedeq che sembravano maggiormente anticipare e appoggiare la dottrina paolina (ad esempio, Gen. 15, 6, Dio accreditò la fede di Abramo come giustizia; Abacuc 2, 4, il giusto vivrà per la sua fede). I passi nei quali sedeq o sedaqah esprimono piuttosto altri possibili significati troppo spesso non erano accompagnati da un significativo commento.

 

[12] Op. cit., p. 5.

 

[13] Per un’introduzione, cfr. G. Scholem, Major Trends in Jewish Mysticism (1941, New York, Scholem Books 1961), cap. 7.

 

[14] Cfr. la prima parte de L’enracinement (1949; ed. it. La prima radice, Mondatori, Milano 1996), pubblicata anche come “The Needs of the Soul” in Simone Weil. An Anthology, a cura di S. Miles (London, Virago 1986), pp. 105-140.