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Divagazioni sociologiche sulla moneta ( e sui progetti di riforma)

di Carlo Gambescia - 06/11/2007

 

Una prima osservazione, come dire, di scienze della comunicazione. Rispetto alla carta stampata e ai media tradizionali (radio, televisione, cinema) la Rete dedica più spazio ai problemi della moneta. E sempre in termini critici. Esistono siti e blog specializzati. Il che significa che la Rete è meno dipendente da un denaro che spesso controlla, e rigidamente, i media. Impedendo l’apertura di qualsiasi dibattito sulla moneta in termini geselliani (usiamo questo termine anche di seguito per comodità, pur conoscendo e apprezzando la ricchezza delle sfumature economiche che segna il fronte riformatore della moneta).
Ora, quel che emerge dall'informazione on line ( ma ormai anche da una copiosa letteratura), è la proposta di una moneta che torni finalmente ad appartenere “al popolo” e non più “ai potenti del denaro”. In genere, con “popolo”, i Riformatori della moneta intendono tutti i cittadini, ad esclusione dei politici professionali, spesso ritenuti corrotti, degli “imprenditori" del denaro (banchieri, pubblici e privati, finanzieri, e così via scendendo fino agli strozzini di piccolo cabotaggio…), e infine di quei ricchi che grazie alle rendite finanziarie hanno costruito enormi ma in realtà fragili imperi di carta. Sotto questo aspetto, se abbiamo capito bene, la riforma della moneta - e poi vedremo in che modo - implicherebbe lo sviluppo della democrazia diretta.
Tecnicamente - e semplificando ancora una volta - la riforma della moneta, dovrebbe passare attraverso l’abolizione del signoraggio e l’introduzione di un denaro a tempo ( o a scadenza), non più produttivo di interessi. In prospettiva alcuni Riformatori guardano addirittura all’abolizione del denaro e alla sua sostituzione con lo scambio di reciproci servizi. Ma entriamo nei dettagli.
L’abolizione del signoraggio, che consiste nella riduzione della differenza fra valore nominale e intrinseco della moneta (ad esempio, se per "produrre" una banconota da 50 euro si “spendono” in costi 0,50 euro, se ne possono “guadagnare” illecitamente 49,50, "pompando" così il "diritto di signoraggio"), mira a colpire il crescente potere finanziario di coloro che emettono la moneta (oggi le Banche Centrali); l’introduzione del denaro a tempo ( di una moneta, che ad esempio, perda in un mese il 100% del suo valore), tende invece a minare il potere di coloro che lucrano sull’accumulazione di denaro (a cominciare dalle banche).
Ovviamente abbiamo semplificato. Anche perché quel che ci lascia perplessi di una battaglia che, tutto sommato, condividiamo sul piano dei principi, non è tanto la teoria economica su cui si basa, quanto il mancato approfondimento del rapporto tra “politico” e “sociale”. Facciamo qualche esempio.
Primo punto. Si dice - e giustamente - “il popolo deve riappropriarsi della moneta”. Ma una Banca Centrale, non è un’entità astratta, si compone di funzionari e dirigenti, con un loro formazione, attualmente di tipo monetarista. Alla quale andrebbe sostituita una nuova classe di dirigenti geselliani (ma si potrebbe dire anche “auritiani”, eccetera). Bene, dove trovarli, ed eventualmente come formarli? E soprattutto, come superare, gli ostacoli legislativi che sicuramente verrebbero frapposti da un’intera classe politica, a destra come a sinistra, oggi completamente dipendente dalle grandi banche e dai ricchi redditieri?
Secondo punto. Si dice - forse troppo frettolosamente - che per far spiccare il volo alla riforma monetaria, basterebbe cambiare per legge lo statuto della Banca dell’Italia e, al contempo, iniziare con esperimenti dal basso di democrazia locale, partecipativa e monetaria. Certo, ma poi come raccordarsi con la Banca Centrale Europea, che sicuramente continuerebbe a “produrre” denaro secondo i “vecchi” criteri? Quanto agli esperimenti locali, sicuramente avrebbero successo. Ma sorgerebbero subito due problemi: quello di come contrastare la reazione “poliziesca” di politici e redditieri; e quello di come raccordare politicamente le zone “franche” (dove si sperimenta) con quelle “non franche” (dove vige ancora il vecchio sistema). E poi, anche ammessa la “conquista” legislativa della Banca Centrale Europea, resterebbe l’enorme problema di come relazionarsi, di nuovo, politicamente alle “aree non franche” extraeuropee. In prima battuta, quella statunitense…
In conclusione, riteniamo che le teorie dei geselliani (si usa questo termine per comodità), benché giustificate e ben articolate sul piano economico sottovalutino il “politico”, come decisione, conflitto e formazione delle élite dirigenti. Probabilmente perché i Riformatori partono da un idea armonica e autoreferente di società. Eludendo tra l’altro il problema della doppia (ma anche tripla, quadrupla…) temporalità sociale. Legato alla diversità dei tempi di attuazione della riforma monetaria in tutto il mondo. Una molteplicità di livelli temporali, le cui conseguenze “politiche” andrebbero invece gestite “politicamente”.
Che cosa intendiamo dire ? Il Riformatore ritiene che le varie società siano in grado di autoriformarsi in un colpo solo, ignorando il ruolo necessariamente regolatore del “politico” in senso schmittiano, anche delle questioni sorgenti dalle discrasie temporali. Quella dei Riformatori - e sia detto con il massimo rispetto - è una visione unicronica e idilliaca della vita sociale e politica. Ma che purtroppo non corrisponde a una realtà, disposta su più livelli temporali (pluricronica) e che spesso espone gli uomini, a causa delle loro idee, alle durezze della spada. Di qui il nostro modesto consiglio di affiancare alla teoria economica del denaro, una visione politica adeguata: occorre una teoria politica della transizione da una società prigioniera del denaro a una società che ne sarà libera.
Per far passare una riforma strutturale di grandissima portata, come quella della moneta, la bontà e la giustizia delle idee, da sole, rischiano di non bastare. Purtroppo.