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In Iraq, il conflitto ribolle su un secondo fronte kurdo

di Richard A. Oppel Jr. - 06/11/2007




Baghdad, 22 ottobre – I raid sanguinosi in Turchia da parte dei militanti kurdi rifugiati nel nord dell'Iraq sono l’obbiettivo più urgente della diplomazia, con la Turchia che sta minacciando di invadere l’Iraq e gli Stati Uniti che implorano moderazione pur esprimendo solidarietà con la rabbia dei turchi.

Tuttavia, lontano dagli sguardi dell’opinione pubblica, è in corso una battaglia tremendamente simile sul confine iracheno con l’Iran. Guerriglieri kurdi tendono imboscate e uccidono soldati iraniani, e ripiegano nei loro nascondigli in Iraq. Gli americani offrono scarsa solidarietà all’Iran. Tehran sostiene persino che Washington aiuti i guerriglieri iraniani, un’accusa che gli Stati Uniti respingono. Che sia vero o meno, questo conflitto, come quello turco, potrebbe rivelarsi esplosivo.

Salih Shevger, un guerrigliero kurdo iraniano, è stato intervistato di recente, mentre se ne stava lungo disteso su un lastrone di roccia in cima a una montagna a 3.000 metri d’altezza sul confine tra Iran e Iraq, con gli occhi incollati a un binocolo, a tenere d’occhio gli avamposti iraniani abbarbicati su cime distanti circa sei chilometri.

Lui e i suoi compagni hanno raccontato di come qualche giorno prima avessero teso un'imboscata a una pattuglia iraniana in viaggio da una base all’altra, uccidendo tre soldati e catturandone un altro. “Se ne stavano seduti a parlare in cima a una collina, e noi ci siamo avvicinati di nascosto e abbiamo fatto fuoco contro di loro da due direzioni diverse”, dice Bayram Gabar, il comandante del raid che, come tutti i combattenti qui intorno, usa un nome di battaglia.

I guerriglieri del Partito per la Vita Libera in Kurdistan, o PJAK, combattono una ribellione letale in Iran, e sono una derivazione del Partito dei lavoratori del Kurdistan, noto come PKK, i guerriglieri kurdi che combattono contro la Turchia.

Come il PKK, i kurdi iraniani controllano buona parte del confine scosceso, cosparso di sassi, e tendono regolarmente agguati alle pattuglie dall’altra parte. Ma, mentre gli americani definiscono terroristi quelli del PKK, i capi della guerriglia dicono che il PJAK ha avuto "discussioni dirette o indirette” con funzionari americani. Non vogliono divulgare alcun particolare relativo alle discussioni o al grado dei funzionari coinvolti, ma hanno fatto notare come il leader del gruppo, Rahman Haj-Ahmadi, sia stato in visita a Washington la scorsa estate.

Biryar Gabar, uno degli undici membri della dirigenza del gruppo, dice che con i funzionari americani c'è stato “un dialogo normale”, rifiutandosi di fornire ulteriori dettagli. Una delle sue guardie del corpo ha detto che funzionari del gruppo hanno incontrato gli americani a Kirkuk l’anno scorso.

Alcuni funzionari iraniani hanno accusato gli Stati Uniti di rifornire i combattenti e di utilizzarli in una guerra per procura, anche se queste affermazioni sono state respinte dalle forze armate americane. “L’opinione unanime è che le forze Usa non stanno lavorando con il PJAK, né gli stanno fornendo consigli”, ha detto un portavoce delle forze americane a Baghdad, il comandante della Marina Scott Rye.

Un diplomatico americano di lungo corso ha detto che non ci sono stati contatti ufficiali con il gruppo, e che lui era all’oscuro di un eventuale supporto da parte degli Stati Uniti. Ha inoltre aggiunto che il Haj-Ahmadi non ha incontrato, durante la sua visita a Washington, alcun funzionario dell’amministrazione.

Poiché il PKK figura nella lista delle organizzazioni terroristiche del Dipartimento di Stato, e aiutare questi gruppi è illegale, gli Stati Uniti desiderano fortemente evitare qualsiasi accenno a una cooperazione con il PJAK.

I capi della guerriglia dicono che gli americani classificano il PKK come gruppo terroristico perché combatte contro la Turchia, un importante alleato americano, mentre il PJAK non viene etichettato allo stesso modo perché si oppone all’Iran.

Di fatto, i due gruppi sembrano, in buona parte, essere la stessa cosa, e condividono il medesimo obbiettivo: combattere campagne militari per ottenere una nuova autonomia e più diritti per i kurdi in Iran e in Turchia. Condividono leadership, logistica, e fedeltà ad Abdullah Ocalan, il leader del PKK tenuto in prigione in Turchia.

Mentre la maggior parte dei kurdi sono musulmani sunniti, i guerriglieri rifiutano il fondamentalismo islamico. Fanno invece risalire le loro radici a un passato marxista. Abbracciano tuttora quello che essi definiscono “socialismo scientifico”, e promuovono i diritti delle donne.

A seguito dell'intensificarsi degli scontri tra i guerriglieri e le forze iraniane nell’ultimo anno, l’esercito iraniano ha iniziato a bombardare i villaggi sul confine nel mese di agosto, costringendo i residenti a fuggire, e uccidendo il bestiame. I bombardamenti sono stati aspramente criticati dai leader iracheni, che li hanno condannati in quanto reazione sproporzionata.

Le interviste con i guerriglieri lasciano intendere tuttavia come questi ultimi abbiano inflitto danni considerevoli all’Iran. Anche se è impossibile verificare queste affermazioni, il leader del PKK, Murat Karayilan, dice che da agosto i combattenti del PJAK hanno ucciso almeno 150 soldati e funzionari iraniani.

E Biryar Gabar dice che nel solo mese di agosto sono stati uccisi 108 iraniani.

Il gruppo dice che l’intensità delle sue azioni militari è variata a seconda del grado di persecuzione dei kurdi in Iran.

I guerriglieri del PJAK hanno come punto d'appoggio delle loro operazioni piccole basi nelle valli, attrezzate con generatori, tv satellitare, sorgenti di acqua, e orti di melanzane, melograni, pomodori, e pesche.

Hanno costruito molti cimiteri per seppellire i resti dei combattenti uccisi negli anni passati, pronti ad accogliere quelli che moriranno. Foto di oltre 100 combattenti morti, fra i quali ci sono anche donne, tappezzano le pareti interne di un edificio in uno dei cimiteri.

Su nelle montagne, dove possono rimanere ogni volta per un anno o più, i combattenti conducono un’esistenza spartana, nutrendosi di zuppe semplici, tè, riso, fagioli, acqua, e pane cotto in forni improvvisati. Dispongono di qualche tenda e sacco a pelo, e spiegano che l’unica casa che possiedono è quella che portano con sé sulla schiena. I campi sono progettati per consentire fughe rapide.

I guerriglieri sono esperti in tattiche mordi e fuggi, e prosperano nell’aria rarefatta a quasi 3.000 metri sul livello del mare, arrampicandosi e spostandosi rapidamente su terreni tra i più scoscesi. Spediscono piccole quadre in Iran, armate con fucili Kalashnikov, lanciarazzi, fucili di precisione di fabbricazione russa, e mitragliatrici.

Di solito, attaccano pochi soldati ai margini di gruppi più grossi, dice Sadun Edesa, un kurdo iraniano di 22 anni, che dice di combattere quassù da cinque anni. A suo avviso, l'attacco di piccole dimensioni è di solito tutto quello che serve per mandare a monte un’operazione iraniana finalizzata a sradicare i guerriglieri all'interno dell’Iran.

Di recente ha fatto parte di una squadra di quattro uomini che è penetrata in Iran e ha ucciso cinque soldati iraniani, dice, prima di ripiegare verso posizioni mimetizzate. “Quando colpisci in questo modo uno dei loro gruppi, la loro operazione militare fallisce”, dice.

In uno degli avamposti i guerriglieri ci hanno concesso una breve intervista con il soldato iraniano che dicono essere stato catturato nell’imboscata descritta dal comandante del PJAK, Bayram Gabar. Il prigioniero si è presentato come Akbar Talibi, un membro dei Corpi dei Guardiani della Rivoluzione in Iran.

Sull’uniforme aveva appuntate le mostrine dei Guardiani, e sedeva a gambe incrociate su un sottile tappeto mentre sei guerriglieri gli stavano intorno, in piedi o accovacciati, uno con un Kalashnikov posato sulle gambe. Il prigioniero ha detto che - dal mese di agosto - della sua unità formata da 70 uomini, 15 erano stati uccisi e 17 feriti.

Le forze armate iraniane, ha aggiunto il prigioniero, “vogliono distruggere il PJAK”. Funzionari iraniani a Tehran non hanno risposto alle richieste di fare dei commenti sui guerriglieri o sull’uomo da questi ultimi identificato come un prigioniero catturato.

Un ex parlamentare iraniano, Jalal Jalilizadeh, che è kurdo, ha detto che il gruppo di guerriglieri ha aumentato gli attacchi, e un anno fa ha iniziato a prendere di mira specificamente i membri dei Guardiani della Rivoluzione, e ad assassinare altri funzionari sul versante iraniano del confine.

Non esistono cifre ufficiali sulle perdite iraniane, anche se Jalilzadeh ha stimato il totale in circa 100 a partire dallo scorso anno. Ha inoltre confermato numerosi attacchi recenti descritti dai guerriglieri, compreso l’abbattimento di un elicottero iraniano nei pressi del confine nel mese di settembre, in cui sono morti almeno sei soldati.

Shevger dice di aver guidato la squadra che ha distrutto l’elicottero, abbattendolo con una scarica di colpi di mitragliatrice e di fucili di precisione. “Abbiamo identificato un punto debole nell’elicottero, e abbiamo aperto il fuoco”, ha detto. La lotta contro l’Iran, ha aggiunto, “fra un anno sarà peggiore”.

Il gruppo dispone al momento di “ben più” di 2.000 guerriglieri che combattono contro l’Iran, dice Biryar Gabar, aggiungendo che molti di questi avevano le loro basi in Iran. Non c'è stato alcun modo di verificare la sua affermazione.

Ma il gruppo ha ancora un numero più che sufficiente di combattenti in questa parte dell’Iraq per poter dettare legge, controllando le poche strade nella zona con checkpoint. Un avamposto dei guerriglieri sul crinale di una catena di montagne a cavallo del confine suggerisce il loro controllo su gran parte del confine, mentre i soldati iraniani sono accampati a molti chilometri di distanza.

Quando sono iniziati i pesanti bombardamenti nel mese di agosto, gli iraniani hanno anche sferrato attacchi di terra contro le postazioni della guerriglia vicine a quest’avamposto ma sono stati respinti, dicono i guerriglieri. L’avamposto è nascosto da una sporgenza di roccia grande quanto un incrociatore da guerra.

Al di sopra, lungo il crinale, sentinelle della guerriglia tengono d’occhio con i binocoli i movimenti delle truppe a svariati chilometri di distanza oltre il confine iraniano, attenti a tener giù la testa, dicono, perché gli iraniani rispondono con scariche di artiglieria dirette a ogni segno di vita dei guerriglieri.

Niente nell’atteggiamento dei guerriglieri suggerisce l’intenzione di abbandonare la lotta presto. Ma il numero crescente dei loro attacchi in territorio iraniano quest’anno ha messo pressione sull’Unione Patriottica del Kurdistan, il principale partito politico nel settore orientale della regione kurda dell’Iraq, che vede nell’Iran un partner commerciale fondamentale. Dal canto loro, i guerriglieri ritengono che il partito, guidato dal presidente iracheno Jalal Talabani, abbia un atteggiamento sempre più servile nei confronti dell’Iran.
I funzionari del partito, tuttavia, dicono che sarebbe stupido e poco lungimirante non coltivare relazioni migliori con Iran e Turchia, da cui i kurdi, che non hanno uno sbocco al mare, ricevono benzina e altri rifornimenti essenziali. I leader kurdi sono inoltre perfettamente coscienti della popolarità che i guerriglieri riscuotono presso l’opinione pubblica kurda.

Pare che le tensioni tra il partito e i guerriglieri abbiano portato a uno scontro alla fine di agosto, quando alcuni combattenti hanno attraversato il confine dall’Iran e sono stati attaccati dai peshmerga, la forza armata fedele al partito. Karayilan dice di aver immediatamente telefonato a un suo omologo al PUK, che gli ha detto che il partito stava “subendo pressioni dall’Iran”.

Talabani ha lanciato un avvertimento ai guerriglieri, di deporre le armi o lasciare il confine. Ma un alto funzionario del partito a lui vicino ammette che “la gente sarebbe contro di noi” se si dovessero prendere provvedimenti contro di loro.

Il funzionario, che non era autorizzato a parlare pubblicamente, si è rifiutato di commentare gli scontri di agosto, ma ha riconosciuto che i peshmerga non erano stati in grado di sconfiggere i guerriglieri, forti ed esperti. “Se l’Iran e la Turchia, con gli eserciti enormi di cui dispongono, non riescono a controllare i loro confini”, dice, “come potremmo farlo noi?”.

Anche i guerriglieri sembrano sicuri di sé, pur temendo l’artiglieria iraniana. Edesa, il combattente ventiduenne, parla con sicurezza delle loro risorse contro gli iraniani. “Anche loro hanno un alto grado di disciplina”, dice. “Ma noi siamo più disciplinati. Loro sono una forza militare, e vivono in caserme. Ma noi siamo una forza di guerriglia”.


Warzer Jaff ha contribuito alla raccolta di elementi dal Kurdistan iracheno, e Nazila Fathi da Tehran.


New York Times


 
(Traduzione di Giusy Muzzopappa per Osservatorio Iraq)