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Tra Iran e Turchia, dialogo aperto

di Aldo Braccio - 06/11/2007



L’emergenza “guerriglia del PKK” tiene banco negli incontri che il governo turco sta avendo con controparti fra loro molto distanti, a dimostrazione del ruolo di crocevia internazionale assunto da Ankara.

Mentre il premier Erdoğan vola a Washington per incontrare Gorge Bush, tali contatti si sono sviluppati intensamente nel corso degli ultimi giorni, in occasione della Conferenza internazionale sull’Iraq svoltasi a Istanbul : in particolare il ministro degli esteri Babacan ha avuto modo di incontrarsi con l’omologo iraniano Mottaki.

La posizione dell’Iran, alla luce della disponibilità al dialogo mostrato dai turchi, è particolarmente importante, perché presuppone lo sblocco della situazione in Iraq – nell’unico modo razionalmente ammissibile, con la fine cioè dell’occupazione militare angloamericana – e propone un’intesa turco – irachena contro il terroristi del PKK.

In una dichiarazione raccolta il 27 ottobre dall’Associated Press, il comandante in capo dell’esercito statunitense nel nord dell’Iraq, Benjamin Mexon, affermava che le truppe americane là presenti non avrebbero fatto “assolutamente niente” contro le forze del PKK, raffreddando le speranze turche poi ravvivate in qualche modo da Condoleza Rice. Il pensiero va allora alle dichiarazioni del capo del PKK, Őcalan, subito dopo il suo arresto, quando precisò che le aspirazioni del popolo curdo potevano e dovevano corrispondere agli interessi degli Stati Uniti nella regione; vero è che l’organizzazione era stata inclusa, su sollecitazione turca, nell’elenco delle organizzazioni terroriste, ma i curdi, in generale, come rammenta Sabrina Tavernise sul New York Times del 27 ottobre, “sono i principali alleati degli Stati Uniti in Iraq” (con 60.000 uomini armati inquadrati nelle milizie della “regione autonoma curda”), e questo favorisce l’ambiguità americana di fondo.
Del resto, Washington sostiene apertamente e concretamente il PEJAK, “Partito per una vita libera in Kurdistan”, che altro non è che la branca iraniana del PKK.

L’Iran, dunque, sembra in qualche modo mettere in guardia Ankara da una possibile trappola tesa da quelle forze che mal sopportano il nuovo corso turco, la “sintesi tra Turchia e l’Islam” perseguita dal governo Erdoğan e la ricerca di una soluzione pacifica della questione curda lontano da suggestioni nazionaliste. Un accordo tra Turchia, Iran e Siria in quest’ottica è un accordo tra potenze regionali che logica e buon senso vorrebbero non contrapposte in un clima di ostilità ed esclusione bensì impegnate in una politica di rispetto e di collaborazione.

* Aldo Braccio, redattore di Eurasia, è un esperto di questioni turche.