Tuareg: uomini blu, ma dalla rabbia
di Marco Cochi - 06/11/2007
D
opo anni di relativacalma, il nord del
Niger è di nuovo un
campo di battaglia, con checkpoint
e mine sparse su tutto il
territorio. Tanto da spingere, il
24 agosto scorso, il Presidente
Tandja a proclamare lo stato
d’allarme e inviare oltre 4.000
soldati nella zona di Agadez,
dopo che da febbraio il Movimento
nigeriano per la giustizia
(Mnj), capeggiato dallo storico
leader tuareg Ibrahim
Bahanga, ha provocato la morte
di oltre cinquanta militari ed
il rapimento di una settantina. I
guerriglieri che nel febbraio
scorso hanno ripreso gli attacchi
contro il Governo del Niger
sono ben organizzati, pesantemente
armati e utilizzano tecnologia
avanzata come telefoni
satellitari e sistemi GPS.
Le motivazioni che hanno
spinto la minoranza nomade a
tornare alle armi dopo gli
accordi di pace dell’aprile
1995 sono le stesse del 1990,
quando intorno al carcere di
Tchin-Ta-Baraden scoppiò una
rivolta repressa dall’esercito
con il massacro di un migliaio
di civili tuareg. La comunità
nomade muove le sue rivendicazioni
sulla base di una situazione
economica e sanitaria
catastrofica che da troppo tempo
affligge le popolazioni del
deserto. Inoltre, i tuareg accusano
il Governo di Niamey e
l’etnia maggioritaria haussa di
trascurare le loro necessità.
La rivolta contro il regime del
Presidente, Mamodou Tandja,
è guidata dal Movimento nigeriano
per la giustizia (Mnj), un
gruppo fino a poco tempo fa
sconosciuto, capeggiato da
Ibrahim Bahanga. La formazione,
spesso definita come
la ribellione tuareg, nega,
però, di essere un movimento
etnico e afferma di
voler difendere tutte le
popolazioni del nord del
Paese. Per questo suole definirsi
una coalizione che
combatte contro l’ingiustizia
sociale, i crimini contro
le etnie e la corruzione politica:
fattori che hanno portato il
Niger all’ultimo posto nella
classifica sull’Indice di sviluppo
umano, la graduatoria stilata
dalle Nazioni Unite che
valuta il reddito, la sanità, l’educazione
e le aspettative di
vita in 177 Paesi. Il movimento
comprende tutte le etnie della
regione settentrionale e un
numero sempre crescente di ex
combattenti tuareg che hanno
disertato l’esercito, dove erano
stati integrati. Oltre a contestare
al Governo la non applicazione
degli accordi di pace,
rivendica anche una maggiore
rappresentanza nelle istituzioni
e la condivisione delle ricchezze
del Paese.
Il nord del Niger vede, infatti,
la presenza di aziende
estere impegnate
nello sfruttamento
dei
giacimenti
di
oro, petrolio e, soprattutto, uranio.
Proprio quest’ultime sono
diventate, negli ultimi mesi, il
bersaglio preferito delle azioni
del Mnj. I ribelli lamentano
pesanti ingiustizie nella distribuzione
dei ricavi dell’estrazione
dell’uranio che, dagli
anni Settanta, epoca in cui
furono scoperti i primi giacimenti,
non ha mai portato un
vero benessere e reali cambiamenti
sociali alle popolazioni
del nord. I tuareg puntano l’indice
contro le compagnie
minerarie straniere, soprattutto
quelle francesi e cinesi, accusandole
di non investire nello
sviluppo delle aree sfruttate e
di preferire alle popolazioni
locali la manodopera straniera.
Negli ultimi mesi, dopo i primi
attacchi dell’Mnj, le autorità
nigeriane hanno ricominciato a
temere la possibile ricostituzione
del Fronte di liberazione
dell’Aìr e dell’Azawak, che tra
il 1990 e il 1995 ha condotto
una vera e propria guerriglia
contro il Governo centrale.
Preoccupato dall’aggravarsi
degli scontri, a fine giugno il
Governo ha deciso l’invio di
consistenti rinforzi militari
(fonti nigeriane parlano di più
di quattromila uomini) nella regione
di Agadez, dove vive la
maggioranza della comunità
tuareg.
L’aggravarsi degli scontri in
Niger ha destato serie preoccupazioni
anche nel Mali che sta
già fronteggiando un gruppo di
ribelli tuareg guidati dall’ex
colonnello dell’esercito maliano
Assane Fagaga. Anch’egli
chiede una maggiore rappresentanza
politica e benefici
economici, ma esclude qualsiasi
intento separatista o federalista
che peggiorerebbe solamente
la situazione, vista la
scarsità di risorse umane e l’inospitalità
del territorio. La
vita nomade tuareg rende infatti
difficile l’accesso all’istruzione
e alle capacità necessarie
per autoamministrarsi. Le forze
di cui dispone sono piuttosto
esigue (circa 60 ex soldati) e
organizzate in una struttura
radicata sul territorio, ma
potrebbero diventarlo qualora
l’ex colonnello facesse fronte
comune con Bahanga e i suoi
guerriglieri.
Nonostante entrambe le parti si
siano dette autonome e indipendenti,
il ministro della
Difesa maliano, Mamadou
Clazie Cissouma, ha ribadito la
convinzione del suo Governo
sul legame esistente tra i due
movimenti. Finora si parla
solamente di qualche ribelle
che ha partecipato alle azioni
di ambedue, ma molti analisti
temono una diffusione del conflitto
in tutta l’area tuareg (che
comprende anche parte di
Algeria e Libia). Tale possibilità
potrebbe verificarsi qualora i
due leader disponessero dello
stesso sostegno popolare che
aveva dato origine alle rivendicazioni
degli anni Novanta, ma
secondo entrambi i Governi è
un’ipotesi remota. Tandja e il
Presidente maliano, Amadou
Toumani Touré, concordano
nel ritenere Fagaga e Bahanga
«non rappresentativi dell’intera
popolazione tuareg», non portatori
di rivendicazioni legittime,
ma di interessi particolaristici,
per di più legati ad attività
criminose.
Sta di fatto, però, che per evitare
possibili collegamenti tra i
ribelli del Niger e quelli del
Mali, Niamey e Bamako hanno
raggiunto un accordo di cooperazione
militare-logistica per
controllare i circa 1.000 km di
confine comune.
Senza contare che l’intensificarsi
e il generalizzarsi degli
scontri sta preoccupando anche
i Paesi limitrofi, come Algeria
e Libia, quest’ultima precedentemente
ritenuta responsabile
di sostegno ai guerriglieri
come durante la ribellione
negli anni Novanta, accusa poi
rientrata e accompagnata dalla
richiesta di una maggior collaborazione
e aiuto nelle trattative
per la liberazione degli
ostaggi.