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L’evoluzione non necessita dell’evoluzionismo

di gm - 06/11/2007

Non inciampa nella polverosa antinomia

creazione/evoluzione. Non gioisce della

comune ascendenza genetica dell’uomo

con il gibbone. Massimo Piattelli Palmarini

non fa dell’evoluzione un feticcio. Nel suo articolo

di domenica sul Corriere della Sera, lo

studioso della scienza ha rotto un muro ideologico.

Quello che rende impossibile occuparsi

di Darwin senza ideologia o infingimenti

scientisti, in particolare, sulla tribuna

di un giornale ossequioso verso la scienza come

il Corriere della Sera. Piattelli Palmarini

ha criticato la concezione neodarwinista

dell’evoluzione che “sfodera il revolver” non

appena qualcuno si permette di dubitare

non tanto del meccanismo evolutivo, un’idea

che il professore difende e rivendica, ma dell’autosufficienza

della selezione naturale,

l’autentico paradigma dell’evoluzionismo

moderno. I neodarwinisti “si sentono investiti

da un ruolo assoluto: quello di proteggere

la razionalità scientifica”. Quei neodarwinisti

che pretendono di dimostrare che la coscienza

è un fenomeno biologico, al pari del

battito cardiaco, come il cloruro di cesio.

E’ successo nel caso di un articolo pubblicato

sulla patinata e progressista London Review

of Books. Il filosofo della mente e allievo

di Noam Chomsky, Jerry Fodor, ha scritto

un lungo saggio per rivendicare l’eredità di

Gould e di Richard Lewontin, i due scienziati

che per primi mossero un radicale attacco

al neodarwinismo e al suo corrispettivo culturale,

il “determinismo biologico”. Nel saggio

Fodor spiega che un conto è la teoria evolutiva,

altra cosa è la selezione naturale, che

secondo lo studioso americano è del tutto

priva di fondamento. “Perché i porci non

hanno le ali” è il provocatorio titolo di Fodor.

“Integralmente ateo e integralmente razionalista”,

come lo definisce Piattelli-Palmarini,

con il quale sta scrivendo un nuovo

libro, Fodor sostiene che la teoria di Darwin

deve essere divisa in due parti: la filogenia e

la selezione naturale. “La filogenia può essere

vera anche se l’adattazionismo non lo è.

La selezione naturale non ha senso”.

Fodor è stato subissato da centinaia di lettere

di insulti per essere stato così poco

“darwiniano”. Secondo Piattelli Palmarini

“Fodor, da filosofo della mente, mostra che

il neodarwinismo ortodosso è minato dall’interno,

da nozioni che, per funzionare come si

vorrebbe, presuppongono ciò che pretendono

di spiegare”. Il darwinismo non sa rispondere

alla domanda sul perché un dato

organo o tratto sarebbero stati selezionati.

La cultura genocentrica e selettiva non chiarisce

il problema morfogenetico (perché una

mosca non è un cavallo?). Citando la tesi di

un “dialogo tra i tessuti viventi”, usata da

Marc Kirschner, a capo del dipartimento di

Biologia dei sistemi a Harvard, Piattelli Palmarini

esclude “la possibilità, per il gioco

cieco della natura, di selezionare e affinare

separatamente ogni organo, tratto, meccanismo,

e per noi di spiegare la loro forma e funzione

uno ad uno, attraverso trasparenti storielle

di adattamento progressivo”. Non siamo

così distanti dal “disegno intelligente”,

per cui gli organismi viventi mostrerebbero

strutture necessarie alla vita così complesse

che non possono essere il risultato della mutazione

genetica casuale, come vuole il neodarwinismo.

Certe caratteristiche della cellula

o dell’occhio non possono essersi sviluppate

gradualmente, non esiste una ragione

naturale per le componenti singole senza

considerare tutto l’insieme, già formato e

non prodotto dal caso.

Piattelli Palmarini celebra

poi “il ritorno massiccio delle leggi

della forma, cioè di fattori di ottimizzazione

globale, comuni a specie diversissime e

dovuti alla fisica più che alla biologia”. Un

mese fa avevamo pubblicato una lunga

conferenza del cardinale Christoph Schönborn,

che nel 2005 riaprì il dibattito sull’evoluzione

sul New York Times, conferenza

in cui spiegava che “per superare la visione

materialistica dell’evoluzionismo, occorre

pertanto recuperare alla scienza innanzi

tutto il concetto di forma o struttura

(nel senso aristotelico o goethiano)”. Secondo

Piattelli Palmarini la ricerca biochimica

può prescindere, a livello metodologico,

dalla questione della forma, la struttura,

ma se non vuole diventare una scienza

cieca, la biochimica non può prescindere

dalla fisica, dal chiedersi che cosa renda

la pianta, che cosa renda il cane ciò che

essi sono. Piattelli Palmarini cita il caso

dei “centomila chilometri di vene, arterie

e capillari che ciascuno dei nostri corpi

contiene”. Tre scienziati del Santa Fe Institute

hanno dimostrato che questa perfetta

rete minimizza i costi di trasporto e ottimizza

gli scambi. E’ anche la tesi di “The

edge of evolution”, l’ultimo saggio di Michael

Behe, il biochimico americano autore

di “Darwin’s Black Box”, dove lanciò il

famoso argomento della “complessità irriducibile”

degli organismi biologici. Il libro

è pieno di esempi della complessità, dalla

cellula all’occhio umano, passando per il

cilium, il flagellum batteriale e il sistema

della coagulazione del sangue. Secondo

Behe “l’evoluzione da un comune antenato,

attraverso i cambiamenti di Dna, è ben

dimostrata. Il più grande contributo di

Darwin alla scienza fu di elaborare un

meccanismo per la spiegazione della vita.

Ma se il discendente comune è fondato, la

sua spiegazione è triviale”.

“Queste soluzioni ottimali del mondo

biologico non sono certo state selezionate

darwinianamente a partire da tentativi

a casaccio” conclude il professor Piattelli

Palmarini. “Non ci sono state decine

di milioni di generazioni di macachi il

cui cervello ha tentato a casaccio tutte le

soluzioni possibili”. (gm)

Piattelli Palmarini, un artigiano della mente

A proprio agio nei panni dell’“artigiano

della mente”, è stato fondatore del dipartimento

di Scienze cognitive dell’Istituto San

Raffaele di Milano, docente alla Ecole des

hautes études en sciences sociales di Parigi

e fra i massimi cognitivisti al mondo.

Massimo Piattelli Palmarini è nato a Roma

nel 1942, dal 1999 è professore di Scienze cognitive

all’Università dell’Arizona. Tra le

sue opere “La voglia di studiare” (1991),

“Scienza come cultura” (1992), “L’illusione

di sapere” (1993), “Ritrattino di Kant a uso

di mio figlio” (1994), “L’arte di persuadere”

(1995) e “I linguaggi della scienza” (2003).

Ha insegnato per due anni con Stephen Jay

Gould, il biologo e paleontologo americano,

all’Università di Harvard, ed è stato collega

del genetista evoluzionista Richard Lewontin.

Piattelli Palmarini è uno dei critici più

noti dell’origine evoluzionista attribuita al

linguaggio umano, la teoria secondo la quale

“parlare aiuta possentemente a comunicare,

a raccontare ai figli le promesse e le

minacce del mondo, a progettare insieme la

caccia, a ricordarsi delle lezioni del passato.

Ciò aumenta la probabilità di sopravvivere

e di riprodursi. Quindi la selezione naturale

ha favorito lo sviluppo del linguaggio

nella nostra specie”. Piattelli Palmarini

smentisce questo luogo comune duro a morire

insieme al linguista americano Noam

Chomsky. Denunciando quelle che chiama

le “falle in quella navicella ingenuamente

darwiniana”, pensando che “la vera novità

evolutiva, il passaggio a specie genuinamente

diverse, non avviene sempre e necessariamente

(con buona pace di Darwin) per

piccoli cambiamenti, con continuità”, il cognitivista

italiano ritiene che il linguaggio

sia “esclusivo appannaggio della nostra specie,

presumibilmente evolutasi non a partire

dai grugniti primordiali e dai gesti a piene

braccia”. Storiche le sue frecciate sul

Corriere della Sera contro “l’adattazionismo

ingenuo, l’ostinazione, assai diffusa anche

tra illustri scienziati e filosofi, a voler spiegare

ogni tratto di ogni organismo, uomo

compreso, con il vantaggio che tale tratto

apporta o ha apportato nel passato ai fini

della sopravvivenza”.