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La liturgia cosmica

di Corinne Smith - 06/11/2007

 

 

Se i teologi che esortano a ritrovare l’alleanza cosmica sono rari nel cristianesimo, è sorprendente constatare che, in un saggio di alcuni anni fa, l’allora responsabile della “dottrina della fede”, il cardinale Joseph Ratzinger, oggi papa col nome di Benedetto XVI, sosteneva la necessità di non ignorare più “la dimensione cosmica” del cristianesimo e proponeva persino in questo senso una “riforma” dell’attuale liturgia[1]. Se il culto reso a Dio è portatore di una “dimensione cosmica” è perché promuove una visione globale dell’universo. La liturgia cattolica, infatti, secondo Ratzinger, “come in tutte le religioni del mondo”, ha per oggetto “la pace dell’universo mediante la riconciliazione con Dio, l’unione del Cielo e della terra”[2]: l’oggetto principale della liturgia sarebbe così la restaurazione dell’ordine del mondo minacciato dal peccato umano.

 

 

Liturgia e ciclo cosmico

 

Nella religione cristiana, tuttavia, a differenza di certe società tradizionali, “non si tratta più di rendere un culto solare, ma di sentire il cosmo parlare di Cristo”[3]. Cercheremo di mostrare come i rapporti che uniscono Cristo e il cosmo, il naturale e il sovrannaturale, sono precisamente espressi e glorificati nella liturgia.

Questo è vero per il calendario liturgico, corrispondente al calendario cosmico. Infatti, Natale ha luogo poco dopo il solstizio d’inverno, quando le giornate si allungano, simboleggiando così che “veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv. 1, 9). A proposito dei re magi, secondo Ratzinger, “la misteriosa stella che guida i saggi pagani nella loro ricerca della verità è il simbolo di questa relazione interiore tra il linguaggio del cosmo e quello del cuore umano”[4]. La festa di Pasqua, appoggiata sulla Pasqua giudaica, è celebrata la domenica dopo il primo plenilunio di primavera. Orbene, questo periodo è ugualmente quello in cui il sole attraversa il segno astrale dell’Ariete (o dell’agnello)[5], raffigurante per i cristiani “l’Agnello di Dio che viene a togliere il peccato del mondo”. La festa di san Giovanni Battista, colui che annuncia Cristo con queste parole: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv. 3, 30), ha luogo appunto nel solstizio d’estate. Infine, la Trasfigurazione, quando il volto di Cristo “brillò come il sole” (Mt. 17, 2), ha luogo in agosto, nel cuore dell’estate. Quanto alla liturgia delle “Ore” dell’ufficio celebrato nei monasteri, essa illustra ugualmente la nascita, la vita e la morte di Cristo e si fonda sul ciclo solare con il succedersi di Mattutino, Lodi, Terza, Sesta, Nona, Vespri e Compieta.

Il calendario liturgico si identifica ugualmente con il ritmo delle stagioni e della semina. Per maggiori particolari su questo tema inesauribile, rimandiamo alla lettura dell’opera dello storico Alain Cabantous Entre Fêtes et Clochers: “Se ciò che è proprio del tempo, che si sussegue dalla prima domenica d’Avvento fino all’ultima domenica di Pentecoste, è scandito dalle grandi tappe della vita di Cristo e della Chiesa, esso si accorda anche con gli imperativi della vita delle campagne”[6].

 

 

Il Cristo sole

 

La liturgia si ancora ugualmente in punti di riferimento spaziali, come testimonia l’abituale orientamento (oriens in latino significa “Est”) delle chiese, dei fedeli – e del sacerdote nel rito cattolico tridentino – verso Est, verso Cristo, sole dei cristiani. Questo orientamento cosmico è antico, perché già san Tommaso d’Aquino (1225-1274) ne parlava in questi termini: “È opportuno che adoriamo col viso rivolto a Oriente […] per mostrare la maestà di Dio, che ci è manifestata con il movimento del cielo che parte dall’oriente […] perché Cristo, luce del mondo, è chiamato Oriente dal profeta Zaccaria, e perché, secondo Daniele, è salito al cielo del cielo, a Oriente”[7]. Come ricordano sia il cardinale Ratzinger, sia lo storico Jean Hani, nei primi tempi: “Anche quando l’orientamento della Chiesa permetteva al celebrante di pregare voltato verso il popolo quando era all’altare, non bisogna dimenticare che allora non c’era solo il sacerdote a voltarsi verso Oriente: era l’intera assembra che lo faceva con lui”[8]. Il luogo sacro non viene così separato dal cosmo, i riti vi si integrano armoniosamente: secondo san Pier Damiani (1007-1072), dottore della Chiesa, “la Chiesa è l’immagine del mondo”.

 

 

La croce cosmica

 

Jean Hani, nella sua opera Le Symbolisme du temple chrétien, esplora questa idea di “immagine del mondo” già presente nei Padri della Chiesa. La liturgia riunisce i simboli teologici e cosmologici. Ad esempio, la croce al centro dell’altare rappresenta la croce sulla montagna santa, dove l’elevazione è raffigurata dai tre gradini che conducono all’altare. Inoltre, questa croce è di natura cosmica: secondo san Cirillo di Gerusalemme (313-387), “Dio ha aperto le mani sulla croce per abbracciare i limiti della terra e perciò il monte del Golgota è il polo della mondo”: un polo che collega e riconcilia cielo e terra. “Questo albero, che arriva fino al cielo, si è innalzato dalla terra al cielo ed è il solido punto d’appoggio del Tutto, il punto di riposo di tutte le cose, la base dell’insieme del mondo, il punto polare cosmico”, dice sant’Ippolito di Roma (170-235) in un’omelia sulla Pasqua. I primi Padri della Chiesa hanno infatti abbondantemente commentato il mistero cosmico della croce cui allude san Paolo: “Siate radicati e fondati nella carità, per poter comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la larghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo” (Ef. 3, 18-19). La croce è il nuovo albero della Vita, sostituito a quello dell’Eden, causa del peccato e della caduta originaria.

Secondo Jaroslav Pelikan, teologo luterano citato dal domenicano Matthew Fox nella sua opera Le Christ cosmique, “i filosofi cristiani greci del IV e V secolo” presentano tutti lo stesso tratto caratteristico: “Contrariamente all’individualismo cristiano manifestatosi più tardi, in particolare nel pensiero occidentale, essi hanno sempre considerato l’umanità e il cosmo come in stretta relazione”[9].

 

 

Gli elementi

 

Quanto al rito centrale dell’Eucaristia, esso ha un senso eminentemente cosmico perché, secondo Joseph Ratzinger, celebrare con la trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo “vuol dire rendere un culto che abbraccia cielo e terra”[10]. La liturgia fa infatti intervenire i quattro elementi: “La terra fornisce la pietra sacra [dell’altare], il fuoco serve a illuminare i ceri e a bruciare l’incenso, l’acqua è presente per simboleggiare la nostra umanità mischiata al vino del calice; l’aria è il veicolo dell’incenso” e anche la “sintesi dei tre regni, dei tre gradi dell’esistenza corporale, minerale, vegetale (pane, vino, incenso) e animale: l’uomo […] la cui funzione è di raccogliere tutti i regni e tutti gli elementi per offrirli al suo creatore”[11]. Con l’Eucaristia, secondo sant’Ireneo di Lione (135-202), l’intera creazione è ricapitolata e offerta a Dio[12]. Matthew Fox arriva sino al punto di affermare che fare la comunione, cioè mangiare il corpo di Cristo, significa “realmente mangiare e bere il corpo e il sangue cosmico dell’Essere divino presente in ogni atomo e ogni galassia dell’universo”[13].

 

 

 

 

Lode al creatore

 

L’oggetto della preghiera in comune, osservazione probabilmente valida per ogni religione, “è di collegare il microcosmo al macrocosmo, e di ringraziare Dio di averci posto in questo ammirevole universo”[14]. Citiamo a questo titolo il cantico delle Creature di san Francesco d’Assisi, ispirato al Salmo CXLVIII, intitolato “Lode cosmica”. Nella liturgia cattolica della Parola, ritroviamo l’espressione della lode dell’universo. In occasione della messa, l’assemblea canta il Gloria: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini” e il Sanctus: “il Cielo e la Terra sono pieni della Tua gloria”. Quanto alla preghiera del Padre nostro, scandita in sette domande, essa ricorda i sette giorni della Creazione.

 

 

Nuova Creazione

 

Per i cristiani, la domenica, sostituendosi allo shabbat giudaico, giorno di riposo del Signore, simboleggia l’ottavo giorno della Creazione. Infatti, per i Padri della Chiesa, il giorno della risurrezione di Cristo è il giorno della Nuova Creazione, che aspira anch’essa alla salvezza e alla liberazione: san Paolo dice che “tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8, 22). Perciò, secondo Joseph Ratzinger, di questa nuova Creazione non bisogna dire “Sfruttatela! Fatene ciò che vi aggraderà! Ma, al contrario: riconoscete in essa un dono di Dio! Proteggetela e prendetevene cura come farebbero dei figli con l’eredità del loro padre”[15].   

 

 

 

NOTE

 

[1] Joseph Ratzinger, L’Esprit de la liturgie, Ad Solem 2001, p. 21 (ed. it. San Paolo 2001).

 

[2] Op. cit., p. 31.

 

[3] Op. cit., p. 32.

 

[4] Op. cit., p. 92.

 

[5] Op. cit., p. 85.

 

[6] Alain Cabantous, Entre Fêtes et Clochers, Fayard 2002.

 

[7] Citato da Jean Hani, Le Symbolisme du temple chrétien, Guy Trédaniel 1990, p. 53.

 

[8] J. Ratzinger, op. cit., p. 67.

 

[9] Matthew Fox, Le Christ Cosmique, Albin Michel, Spiritualité, 1998, p. 166.

 

[10] J. Ratzinger, op. cit., p. 40.

 

[11] J. Hani, op. cit., p. 192.

 

[12] Ireneo di Lione, Contre les hérésies, libro III, tomi I e II, Editions du Cerf, Sources chrétiennes 2002.

 

[13] M. Fox, op. cit., p. 288.

 

[14] M. Fox, op. cit., p. 287.

 

[15] J. Ratzinger, op. cit., p. 82.