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Così nacque la Bomba nel cuore di Manhattan

di Mario Calabresi - 06/11/2007

Mario Calabresi, attraverso la ricostruzione fatta dallo storico Robert Norris, racconta la storia della nascita nel 1942 del “Manhattan Project”, in cui venne progettata e realizzata la prima bomba atomica.
Secondo Norris il progetto militare, proseguito fino alla fine della Seconda guerra mondiale, fu organizzato a Manhattan, quartiere centrale di New York, perché esso aveva tutti i requisiti necessari: strutture militari, un porto efficiente per il trasporto delle materie prime, la manodopera necessaria al progetto e, infine, era la sede dove si erano rifugiati i più importanti fisici europei. A capo del progetto vi erano il generale Leslie Groves e il fisico Robert Oppenheimer che, dopo la fine della guerra, diventerà uno dei maggiori critici dell’uso della bomba atomica.


Mahmoud Ahmadinejad non poteva certo immaginare che i laboratori dove si fecero i primi esperimenti sull’energia nucleare, che avrebbero portato alla costruzione della bomba atomica, erano proprio lì, sotto il banco degli imputati dove era seduto. Nello stesso campus di Columbia University, dove il presidente iraniano si difendeva dalle accuse di voler costruire testate nucleari, alla fine degli Anni Trenta gli scienziati lavorarono ai primi esperimenti di scissione dell’atomo, nei sotterranei dei Pupin Physics Laboratories, che ospitarono anche Enrico Fermi e da cui partì il progetto Manhattan.
Fino ad oggi si è sempre pensato che “Manhattan Project” fosse solo un nome in codice dato all’immensa corsa verso la bomba a cui lavorarono 130mila persone tra cui migliaia di fisici, tecnici e scienziati nei laboratori di Los Alamos, tra le montagne del New Mexico, dal 1942 fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Oggi invece si scopre che quel nome non era casuale, che proprio New York fu la casa madre del progetto voluto dal governo americano e guidato dal generale Leslie Groves, che gestì la parte militare, e dal fisico Robert Oppenheimer che ne curò il lato scientifico. Ben dieci luoghi dell’isola ebbero un ruolo centrale nello sviluppo dell’atomica, dalla casa sul fiume dove viveva Oppenheimer, ai magazzini sulla Ventesima strada dove veniva stivato l’uranio, dal Woolworth, uno dei grattacieli più antichi della città dove venne sistemata una società di copertura del progetto, fino ai laboratori di Columbia. Lo racconta lo storico dell’età atomica Robert Norris, in un libro appena uscito nelle librerie americane, che insieme al New York Times ha girato per la città alla ricerca della memoria di quell’avventura che avrebbe cambiato il mondo.
Il segreto ha retto a lungo, complice il fatto che le cinquemila persone che ci lavorarono a Manhattan conoscevano solo la loro parte del lavoro, nessuno aveva idea del progetto complessivo che si stava sviluppando. New York, sostiene Norris, fu scelta perché era il luogo dove si poteva trovare tutto: c’erano complessi militari, il porto e decine di moli dove far arrivare le materie prime, i migliori fisici fuggiti dall’Europa e manodopera disponibile per lo sforzo bellico. [...]
Il nome “Manhattan Project” fu scelto in un anonimo palazzo in fondo alla Broadway, all’angolo con Chambers Street, di fronte al parco del Municipio. Qui, al diciottesimo piano il generale Groves piazzò il suo quartier generale, in quelli che erano gli uffici del genio militare che costruivano porti e piste per l’aviazione. Al Corpo degli ingegneri dell’esercito venne dato l’incarico di sovrintendere alla parte pratica del progetto. «Allora - sottolinea Norris - ci lavoravano i diplomati più brillanti usciti dall’Accademia di West Point». Il generale pensò a lungo al nome da dare all’operazione per cercare di non dare nell’occhio e alla fine gli sembrò che la cosa più banale, burocratica e anonima fosse di prendere un nome geografico, il nome del quartiere di New York dove lavoravano. Nacque così il “Manhattan Engineer District”, che poi venne sintetizzato come sappiamo e un anno dopo il quartier generale venne trasferito a Oak Ridge in Tennessee.
Ai Pupin Physics Laboratories, dove nel momento di maggiore attività si dedicarono al progetto 700 persone e dove vennero perfino utilizzati i ragazzi della squadra di football americano per trasportare e stivare le casse contenenti tonnellate di uranio, niente ricorda quello che successe qui. C’è una placca in cui è scritto che questo è un luogo di importanza storica e di «valore eccezionale», ma non spiega assolutamente perché. E Columbia si guarda bene dal raccontare questa storia, forse, come si chiede il New York Times, non vuole associare il suo nome ad un progetto che avrebbe portato al fungo atomico su Hiroshima il 6 agosto 1945. [...] Nel loro tour di ricostruzione della storia il giornalista del “New York Times” e lo storico sono arrivati al 155 di Riverside Drive, in un palazzo di mattoncini rossi dell’Upper West Side dove oggi si fermano le ragazzine a fare le foto perché al nono piano è ambientata la serie televisiva “Will e Grace”. Quasi nessuno però sapeva che due piani più su, all’undicesimo, nell’appartamento che guarda l’Hudson River e il New Jersey abitava Robert Oppenheimer con la sua famiglia. La loro casa era piena di quadri di Picasso, Rembrandt, Renoir, Cezanne e Van Gogh. Solo un vecchio inquilino ricordava la storia e l’ha raccontata, ma mai nessuno era arrivato qui per cercare la casa del padre della bomba, quello scienziato che si tormentò la coscienza per aver dato vita ad un ordigno di distruzione di massa, tanto da diventare troppo critico e pericoloso e da essere messo all’indice dalla commissione guidata dal senatore Joseph MacCarthy, che indagava sui presunti comunisti e le attività antiamericane. Nessun altro lo sapeva, neanche chi scrive, che per un’incredibile coincidenza abita proprio in questo appartamento con le finestre sul fiume da quasi un anno e a cui l’agente immobiliare aveva solo mostrato il monumento ai caduti del mare che sorge proprio di fronte.
L’unica memoria della bomba si trova camminando lungo Riverside Drive per venti isolati, salendo verso nord, verso Columbia e il Washington Bridge. Alla 105esima strada c’è il tempio buddista di New York, di fronte all’ingresso c’è la statua di un monaco giapponese, Shinran Shonin, che visse tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo. La statua sopravvisse al bombardamento di Hiroshima anche se era a poco meno di due chilometri dal centro dell’esplosione. Venne portata a New York nel 1955 come messaggio di pace e a testimonianza della devastazione causata dalla bomba. Siamo a una fermata di metropolitana dai laboratori Pupin e qui il cerchio della memoria si chiude.