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I libri della settimana: La fabbrica del terrore; I Signori dello spazio

di Carlo Gambescia - 07/11/2007

I libri della settimana: W.G.Tarpley, La fabbrica del terrore made in Usa; G. Garibaldi, I Signori dello Spazio ( Arianna Editrice 2007)

G.Garibaldi, I Signori dello Spazio, Arianna Editrice 2007, pp. 156, euro 10,90; W.G. Tarpley, La fabbrica del terrore made in Usa, Arianna Editrice 2007, pp. 653, euro 18,50

I libri di Gabriele Garibaldi (I signori dello Spazio) e di Webster Griffin Tarpley (La fabbrica del terrore Made in Usa), entrambi meritoriamente pubblicati da Arianna Editrice (http://www.ariannaeditrice.it/ ), possono essere letti insieme. Dal momento che tutti e due trattano della “Superpotenza” Americana. La studiano da un punto di vista rigorosamente scientifico, ma anche politicamente non conformista. Procediamo con ordine.
Gabriele Garibaldi, laureato in scienze politiche e collaboratore di prestigiose pubblicazioni di geopolitica, ci spiega perché lo Spazio “stellare” dopo quello “terrestre” rappresenti, oggi, per gli Stati Uniti l’ennesima reincarnazione dell’ ”ultima frontiera”. E ciò che stupisce il sociologo è quel mix antropologico-politico che vi si nasconde dietro: la romantica passione del cow-boy frammista alla fredda volontà di potenza imperiale. Al cui servizio vengono posti, e in misura crescente, modernissimi dispositivi d’ arma, capaci di controllare e contendere lo Spazio a quello che potrebbe essere l’ultimo nemico degli Usa, ma non da subito: la Cina. Un aspirante impero, ancora alle prese con un gigantesco processo di sviluppo economico e tecnologico, dalle conseguenze sociali e politiche difficilmente prevedibili.
A proposito dei piani imperiali Usa, e in particolare dei disegni del senatore Bob Smith, una specie di “space cow-boy”, punta d' iceberg di uno schieramento ben più consistente, Garibaldi pone l’accento su un fatto: “ Qui le smanie di potere perdono ogni inibizione e, invece di ‘accontentarsi’ di un XXI secolo unipolare, prevedono la costituzione di un impero centenario. E’ cioè possibile - prosegue Garibaldi - che, allo stesso modo in cui l’Europa ha dominato il mondo per circa cinquecento anni, controllando gli oceani con le sue flotte, così anche gli Stati Uniti imporranno il loro ordine ‘per almeno lo stesso arco di temporale’ questa volta dominando lo spazio ” (p. 129). A meno che - conclude l’autore - la Cina non riesca a contrastare questo processo. E l’Europa che cosa farà? Viste le capacità di Garibaldi, auguriamoci, come lettori, che dedichi a questo tema il suo prossimo libro.
Il libro di Tarpley è dirompente. Un autentico best seller della controcultura 9/11, finalmente tradotto in Italia, grazie ai buoni uffici di Arianna Editrice.
Attenzione, non siamo davanti al solito libro cospirativo. Tarpley non costruisce sulla sabbia delle illazioni: giornalista con tempra di studioso, già noto in Italia per un libro sul caso Moro, non si limita a sezionare, prove alla mano, per seicentocinquanta pagine, “smontandola” la versione ufficiale dell’ 9/11, ma fonda il suo lavoro su un serio impianto teorico. Ed è questo l’aspetto più stimolante del libro. Perché offre anche allo studioso di scienze sociali, suggerimenti e spunti intorno a un' utilissima “teoria e prassi del terrorismo sintetico di stato”.
Scrive Tarpley: “Quella che offriamo qui può essere vista come una teoria del terrorismo sintetico perché riunisce gli sforzi di svariati componenti: zimbelli e pedine, talpe, tecnici professionisti, media e gestori, controllori dei terroristi. E’ sintetico anche nel senso di artificiale: non cresce spontaneamente dalla disperazione e dall’oppressione, ma è piuttosto il prodotto di uno sforzo di organizzazione e di direzione, in cui le fazioni di governo svolgono un ruolo indispensabile” (p. 76). E qui si veda pure l’interessante ricostruzione grafica del “sistema” (p. 90).
Scontato, perciò, aggiungere, che dietro il 9/11 Tarpley scorga la mano delle élite del potere statunitensi, tese a controllare il mercato mondiale delle materie prime (in primis il petrolio), e in particolare il ruolo della subcultura (dominante) neocon, nonché sul piano delle istituzioni la mano rugosa di militari e servizi segreti.
Però a differenza di Garibaldi, Tarpley pone l’aggressiva strategia americana post 9/11 al “crepuscolo” di un progetto di ordine mondiale. Che fa risalire, unificando “impero britannico e americano”, all’inizio del XVIII secolo. Si tratterebbe, a suo avviso, di una risposta disperata (e congiunta) della finanza anglo-americana al suo progressivo declino politico ed economico.
Non siamo d’accordo. Riteniamo che la tesi di Tarpley confonda gli aspetti economici con quelli politici e culturali, e trascuri quelli militari, ben sviluppati invece nel libro di Garbaldi. I valori culturali che mossero l’Impero britannico, il cui apogeo può essere collocato tra il 1815 e il 1914, sono profondamente diversi da quelli del nascente - almeno a nostro avviso - impero americano. Nell’imperialismo democratico americano, c’è un senso di superiorità ideologica, legato all’auto-definizione di portatori nei riguardi di tutto il mondo di un diritto alla felicità, sconosciuto all’imperialismo britannico; è un imperialismo "ideocratico", per dirla con Preve, in cui si è americani e portatori al tempo stesso, appunto perché americani, di un'idea forte: quella della felicità universale.
Inoltre, l’unipolarità americana, rispetto a quella (ottocentesca e sui mari) inglese, è recente (1989-1991), e proprio ora si sta aprendo, come mostra il libro di Garibaldi, alla conquista militare dello Spazio (una dimensione che a nostro avviso ha lo stesso valore simbolico e materiale degli oceani dominati dalla flotta britannica nell’ Ottocento).
Quanto agli aspetti economici, crediamo invece che sul piano della gestione finanziaria delle ricorrenti crisi borsistiche, l’economia statunitense abbia fatto tesoro dell’esperienza del 1929. Di qui, come è avvenuto di recente, l’immediato intervento delle autorità monetarie (non solo americane: ed è questa la forza politico-economica del nascente impero americano...), per impedire attraverso l’intervento di un “pagatore in ultima istanza” la disastrosa interruzione della catena debitoria (dagli investitori alle banche), provocata dalle speculazioni finanziarie. Che sono cicliche, ma tutto sommato controllabili, quando si sia fatto tesoro del passato e si detengano contemporaneamente le chiavi della cassaforte e dell'armeria...
Per queste ragioni, e pur essendo d’accordo con l’ impianto concettuale di Tarpley, riteniamo che gli eventi del 9/11, siano tuttora al centro di una strategia preordinata e lucida, frutto di ragionamento e non di cieca disperazione. Strategia che però si è potuta concretizzare soltanto nel quadro dell’unipolarità post 1991. E che quindi va posta storicamente all’ “inizio” e non alla “fine” dell’Ordine americano. Un neo-impero che, certamente, come tutti gli imperi della storia è destinato a cadere e dissolversi, ma di sicuro non nel 2020, come sembra ritenere Tarpley.