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La Nato orientale

di Andrej Volodin - 07/11/2007



Negli ultimi tempi i mezzi di informazione e le pubblicazioni accademiche usano sempre più spesso l'insolita espressione "NATO orientale", che diventa geo-politicamente assurda quando si ricordi il significato dell'acronimo: "Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico orientale". Gli Stati Uniti, il Giappone, l'Australia e l'India sono i potenziali membri di questo blocco politico-militare virtuale. Secondo le attuali aspettative, l'alleanza immaginaria dovebbe controbilanciare l'espansione geo-politica della Cina nella regione Asia-Pacifico.
In passato gli strateghi americani usavano l'espressione "NATO orientale" per riferirsi all'intesa militare sino-americana in funzione antisovietica. Il crollo dell'Unione Sovietica, tuttavia, rese impossibile tale alleanza. Ciononostante, gli Stati Uniti cercano di mantenere la propria posizione nella regione del mondo in più rapido sviluppo ricorrendo al collaudato sistema dei blocchi e delle alleanze. In questo contesto appare logica la tendenza ad appoggiarsi a Giappone e Australia, alleati tradizionali degli Stati Uniti. Anche l'India, una potenziale protagonista dell'economia mondiale, è considerata come un possibile elemento del "quadrato" (naturalmente sotto la guida degli Stati Uniti).

Come scrive il politologo Andrew Small, la nuova strategia americana nell'Asia-Pacifico si incentra sulla Cina. Condoleezza Rice ha espresso il concetto con la consueta disinvoltura: "... Le relazioni degli Stati Uniti con il Giappone, con la Corea del Sud e con l'India... sono tese a rafforzare la sicurezza regionale ma anche i principi e i legami politici, economici e, naturalmente, assiologici atti a porre la Cina in un contesto geo-politico tale da non permettere a Pechino di sentirsi completamente libera di agire nel nuovo ambiente strategico".

Tuttavia, tra gli intenti e la loro realizzazione c'è sempre una "distanza di proporzioni enormi". In primo luogo, le élite di potere indiane non vedrebbero di buon occhio una rivalità con la Cina, soprattutto nell'interesse di un terzo paese. Perfino il "patto nucleare" con gli Stati Uniti, che si è attirato critiche interne sempre più aspre perché comprometterebbe la sovranità del paese, non viene visto da Delhi come una ragione sufficiente per arrestare il processo di "riavvicinamento" alla Cina. In secondo luogo, a Pechino è stata già scelta una strategia di "risposte di diverso profilo" alla politica statunitense di "blando contenimento" della Cina. In terzo luogo, gli attuali leader giapponesi sono di gran lunga meno ostili alla Cina di quanto lo siano stati nel passato recente. Inoltre il frequente succedersi di primi ministri in quel paese dimostra l'assenza di una strategia politica ben definita e a lungo termine nei rapporti con la Cina. Infine, il "patto nucleare" India-Stati Uniti può scatenare una nuova corsa alle armi nel Sud-Est asiatico e nell'Estremo Oriente.

La strategia americana nell'Asia-Pacifico, scrive Andrew Small, continua a basarsi sulla "creazione di alleanze concorrenti", su doppi criteri di pensiero e di azione e sulla pratica di "alimentare" conflitti regionali. La strategia di G. Bush per l'Asia, afferma il politologo, può portare a un'escalation dei conflitti tra gli attori della regione.
Per quanto riguarda gli attori regionali, come dimostra l'esempio del Giappone, la loro condotta sta diventando sempre più varia, e nel campo della politica internazionale l'economia comincia ad avere un ruolo sempre più attivo. La Cina è diventata il principale partner commerciale del Giappone. Il superamento nel 2004-2005 della recessione economica giapponese, secondo l'opinione degli esperti, è stato significativamente legato alla crescita del commercio con la Cina. Tuttavia, la crescita economica della Cina è così esplosiva che Tokyo si preoccupa sempre più di una possibile marginalizzazione del Giappone nell'Estremo Oriente e nel Sud-Est asiatico.

L'élite giapponese comprende benissimo che la rapida crescita economica si traduce inevitabilmente in attività geo-politica. Per questo Tokyo cerca di controbilanciare le sue relazioni con Pechino sviluppando i legami con Delhi. Tuttavia il rafforzamento dei legami tra Tokyo e Delhi non muta l'"importanza critica" delle relazioni economiche del Giappone con la Cina (tra l'altro il volume degli scambi commerciali tra India e Giappone corrisponde a meno di un terzo di quello tra India e Cina) né la necessità della partecipazione cinese alle discussioni sulla sicurezza nell'Estremo Oriente e nel Sud-Est asiatico, dice l'analista militare indiano G.V.C. Naidu. È dunque possibile affermare che la rapida crescita economica della Cina, provocando preoccupazioni geopolitiche a Delhi e a Tokyo, di fatto contribuisce a incentivare la dinamica economica tra India e Giappone.

Considerando il concetto di "NATO orientale" e la sua applicazione è necessario tener conto della posizione di altri stati della regione Asia-Pacifico, e in particolare di quelli del Sud-Est asiatico. Questi ultimi e i loro leader sono interessati a creare una configurazione più complessa delle principali forze geo-politiche della regione Asia-Pacifico. In particolare, non vedrebbero di buon occhio una contrapposizione Stati Uniti-Cina nel Sud-Est asiatico e uno scontro sulle risorse energetiche tra Cina e India. Bisogna anche capire che nella politica estera dei paesi ASEAN continua a influire il fattore della memoria storica, cioè si teme un ritorno del modello di colonialismo giapponese nella regione.

Inoltre, nel tentativo di creare una zona di libero commercio in Asia sulla base del raggruppamento economico ASEAN, molti politici del Sud-Est asiatico vedono quest'area come un ponte tra due importanti macro-regioni: l'Estremo Oriente e l'Asia Meridionale. Uno dei principali fautori di questo concetto è il ministro degli esteri di Singapore, George Yeo.
"Per molto tempo la geografia è rimasta immutata; il clima, invece, forse è un po' cambiato", dice Yeo. La rapida crescita degli scambi commerciali tra India e Cina (con quest'ultima che si avvia a diventare il maggiore partner economico di Delhi) trasforma la rivalità geopolitica tra questi due paesi in una naturale competizione in termini di efficacia economica. La situazione dell'India diventa più stabile grazie alla multivettorialità della sua politica estera: lo sviluppo delle relazioni con gli Stati Uniti e con l'Europa Occidentale non comporta un ridimensionamento del partenariato strategico a lungo termine con la Russia. "In questo, - dice George Yeo, - non c'è niente di insolito, perché questa collaborazione si è sviluppata fin dall'inizio non in base a considerazioni ideologiche, ma sul piano geo-strategico. Anche se l'India è felice di rafforzare i legami con l'Europa [Occidentale] e con gli Stati Uniti, non vorrà mai sviluppare una dipendenza eccessiva da questi paesi, soprattutto nella sfera della tecnologia militare".

Yeo ricorda che l'Asia costituisce più della metà del mondo, e la crescita economica di quella regione "sta cambiando il volto di tutta l'umanità". In questo "dramma" globale la Cina e l'India si trasformano nei nuovi leader economici, diventando due nuovi centri del sistema mondiale.

L'interdipendenza sempre maggiore tra gli stati dell'Asia-Pacifico e la crescita economica e politico-militare dei nuovi leader regionali e sub-regionali ha già reso significativamente più complessa la struttura delle relazioni internazionali in questa parte del mondo. Come giustamente osserva l'esperto militare indiano Alok Bansal, la Cina ha effettivamente (anche se in forma politicamente non articolata) pretese territoriali nei confronti di alcuni paesi del Sud-Est asiatico e dell'India. Però se Pechino ambisce a dominare l'Asia-Pacifico deve rinunciare alle "ambizioni territoriali", non fosse che per limitare l'influenza nella regione di una "terza forza", gli Stati Uniti.

Il concetto di "NATO orientale", a mio avviso, riflette un tentativo di far rivivere nell'Asia-Pacifico la mentalità e la politica dei "blocchi". Allo stesso tempo rappresenta un tentativo di espandere l'atlantismo nell'emisfero orientale. La regione è tuttavia caratterizzata da una crescente complessità dell'"equilibrio di forze", il cosiddetto "rompicapo asiatico". Inoltre le élite di potere della maggior parte dei paesi dell'Asia-Pacifico si trova ad affrontare una complicazione ancora maggiore di questo "equilibrio di forze", in particolare coinvolgendovi anche la Russia. Di questo discutono politici di diverso orientamento ideologico. Purtroppo le capacità economiche della Russia, il cui potenziale è così diminuito negli ultimi 15-20 anni, non le permettono di integrarsi appieno nello spazio e nelle strutture di questa importantissima macro-regione.



Traduzione dal russo di Manuela Vittorelli

Articolo originale pubblicato il 25 ottobre 2007: http://www.fondsk.ru/article.php?id=1033