Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Un clima di conflitti incombe su cento paesi

Un clima di conflitti incombe su cento paesi

di Marinella Correggia - 07/11/2007

 

A Climate of Conflicts (Un clima di conflitti) è il rapporto che sarà pubblicato a giorni dal gruppo pacifista International Alert di Londra. Come riferisce nella sua anticipazione il quotidiano inglese The Guardian, come conseguenza dei cambiamenti climatici almeno 46 nazioni, per un totale di 2,7 miliardi di persone, potrebbero essere sopraffatte da conflitti armati e vere e proprie guerre; altre 56, con 1,2 miliardi di abitanti, debbono temere quantomeno la destabilizzazione politica. Colpite in gran parte maggior Africa, Asia e America Latina ma anche l'Europa non ha da star tranquilla. Il caos climatico aumenterà la propensione ai conflitti violenti, il che a sua volta impoverirà le comunità più povere riducendo la loro capacità di affrontare le conseguenze del caos climatico stesso.
Le minacce più gravi incombono su paesi che mancano delle risorse e della stabilità necessarie ad affrontare questo planetario cambiamento. Mentre, ad esempio, nessuno teme conflitti in Olanda a causa dell'aumento del livello dei mari (perché il paese ha le risorse e la struttura politica per agire), in altri contesti la perdita di terre, i problemi idrici e gli uragani non troveranno un governo efficace in grado di organizzare le cose. Il Perù, ad esempio. La sua acqua potabile scende in gran parte dai ghiacciai. Ma entro il 2015 praticamente tutti i ghiacciai del paese potrebbero essere spazzati via dal riscaldamento globale e i 27 milioni di peruviani da dove attingeranno l'acqua da bere? Il paese dovrebbe intraprendere azioni adesso, subito; ma non ha né la democrazia effettiva, né il clima interno tranquillo che sarebbero necessari, per non parlare delle contese di frontiera con Cile ed Ecuador. E allora? Il rapporto predice: «Caos, conflitto e migrazioni di massa».
In Bangaldesh le migrazioni dovute al clima già provocano conflitti. La siccità estiva si combina con l'aumento delle inondazioni nelle zone costiere, battute da cicloni sempre più forti, e ne deriva la distruzione di terre agricole. Già milioni di persone nei decenni scorsi sono emigrate in India. E l'Africa? Fiumi come il Niger e il Monu sono riserve di acqua dolce preziosissime che attraversano più nazioni. Con l'aggravarsi della siccità e l'aumento del prelievo di acqua i conflitti saranno inevitabili.
C'è poi l'Europa. Dove la maggior parte dei paesi sono considerati abbastanza stabili da affrontare il riscaldamento climatico. Ma non i Balcani: precedenti guerre non climatiche hanno indebolito l'area. Là la riduzione della terra coltivabile e le pressioni demografiche potrebbero portare a una situazione di tensione che le autorità governative non riuscirebbero a contenere e che dunque sfocerà in violenza.
Ci sono situazioni a sorpresa, sulla mappa dei rischi. La Russia ad esempio. Il controllo di Mosca sull'immenso (e in gran parte freddo) paese non sarà indebolito dasl caos climatico. Ma la perdita di terra coltivabile in alcune regioni potrebbe portare a ribellioni locali sullo stile ceceno.
Interessanti le reazioni che i lettori del sito www.commondreams.org hanno inviato rispetto al preoccupante rapporto. Friedrich Johnson scrive: «E' tempo di legalizzare ovunque la produzione di canapa (un bene versatile, con migliaia di usi possibili, ecologico dalla coltivazione in avanti, ndr), puntare su solare, eolico, geotermico, e fare presto a buttar giù i colossi di petrolio/chimica/tabacco/cotone/carbone/nucleare!». John R. scrive invece: «E chi dice che i paesi europei rimarranno abbastanza stabili in simili frangenti? La destabilizzazione politica ed economica potrebbe provocare un effetto domino e creare caos anche fra i ricchi». Un altro lettore elabora così: «Più guerre più soldi per il complesso militar-industriale, gli Usa con il dollaro debole venderanno ancora più armi all'estero, e queste si rivolgeranno contro di loro, il che aumenterà la spesa in armamenti sopportata dai contribuenti statunitensi».