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Pakistan: L'insostenibile secondo golpe

di Ahmed Rashid - 08/11/2007

 
Lo stato di emergenza dichiarato dal presidente Pervez Musharraf finirà soltanto per incoraggiare ulteriori conflitti civili, altre proteste di dimensioni nazionali, più grandi guadagni territoriali da parte degli estremisti taleban pakistani.
Lo scopo principale di Musharraf era quello di ripulire la corte suprema. I suoi giudici sono stati forzati alle dimissioni e molti di loro, compreso il capo Iftikhar Mohammed Chaudhry, sono stati arrestati. La corte suprema, diventata grande motivo di irritazione per il regime, era sul punto di decidere se Musharraf avrebbe potuto restare presidente per un altro mandato quinquennale.

Altri obiettivi primari non erano gli estremisti, ma l'elite secolare democratica pakistana. Dozzine di giudici, avvocati e esponenti dei diritti umani sono stati arrestati, altri sono stati costretti a nascondersi. Asma Jahangir, il principale attivista pakistano dei diritti umani, è agli arresti domiciliari e ha fatto appello all'amministrazione Bush per «fermare ogni aiuto all'instabile dittatore, la cui ansia di potere sta portando il paese vicino alla peggior forma di conflitto civile».

Musharraf ha trattato la Corte suprema con sempre maggiore disprezzo, con implicazioni devastanti sul piano delle relazioni tra l'esercito e la popolazione, la quale desidera invece giudici indipendenti, il primato della legge e il rispetto della costituzione. Musharraf ha ancora una volta deciso di porsi al di sopra della legge e degli impegni internazionali, anche se l'appoggio politico che glie ne derivava è collassato da tempo. Avvocati, professionisti della classe media e opposizione politica hanno protestato nelle strade per mesi, chiedendo al presidente di indire le elezioni e far tornare il paese a un regime civile.

Gli Stati uniti hanno persuaso Musharraf a permettere il ritorno dall'esilio dell'ex primo ministro Benazir Bhutto, nella speranza che i due insieme avrebbero potuto combattere gli estremisti attraverso il ritorno alla democrazia. Ma Musharraf non è mai stato veramente di questa idea. L'enorme successo di pubblico tributato il mese scorso a Benazir per il suo ritorno ha convinto Musharraf e l'esercito della necessità, se volevano restare al potere, di evitare la stretta di mano con Bhutto. La quale, giocandosi la poca credibilità che gli resta, è stata costretta a mettere la faccia di circostanza e condannare i generali. E ancora una volta Musharraf pare proprio essere riuscito a prendere in giro gli americani.

Il vero campo di battaglia per il generale Musharraf dovrebbe essere il nord del Pakistan, dove i risorgenti Taleban pakistani - aiutati da Al Qaeda, da Taleban afghani e da molti gruppi terroristi stranieri - stanno conquistando territori ed espandendo i confini del loro stato islamico «liberato». L'esercito ha già perso centinaia di soldati in ondate di attacchi frontali e suicidi. Ma la principale preoccupazione di Musharraf è invece la propria sopravvivenza politica. La cosa più probabile è un'impennata di tregue e traballanti accordi di pace con i Taleban pakistani, che li lasceranno in realtà al loro posto.

La questione chiave che Musharraf deve affrontare è quanto a lungo l'esercito continuerà ad appoggiarlo. Tra le truppe è radicata la consapevolezza di quanto si stia allargando la forbice tra loro e la popolazione che sarebbero chiamati a proteggere. L'esercito, già demoralizzato, non ha voglia di combattere una guerra senza fine contro il suo stesso popolo.
Per ora i giudici sono stati liquidati, i media sono stati censurati, l'opposizione e gli avvocati sono stati arrestati o isolati. Ma questa emergenza non è sostenibile, governare con la forza senza alcun appoggio politico si rivelerà impossibile, e il mondo non può lasciare senza risposte questo secondo colpo di stato pakistano. Ma se la comunità internazionale non agirà in modo deciso, l'emergenza decretata da Musharraf getterà il paese ancora più nel caos.



* autore di «Taliban»