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Chuck Palahniuk in tour

di Davide Bregola - 09/11/2007

     
 

 La storia di Palahniuk è perfettamente in linea coi suoi romanzi: gay dichiarato, a vent’anni il padre gli racconta che il nonno aveva ucciso la nonna a colpi di pistola e poi si era sparato, mentre lui, il padre, andava a nascondersi sotto il letto. Suo padre conobbe una donna attraverso annunci per incontri e uscì con lei. Al ritorno a casa, l’ex marito di lei li uccise entrambi e poi bruciò i corpi nel garage. Cominciamo bene. Sto aspettando Chuck davanti all’hotel. Mi trovo al Festivaletteratura di Mantova. Assieme a me alla reception ci sono trecento fan scatenati che hanno in mano il suo ultimo “Rabbia” (Strade Blu Mondadori) e attendono la discesa del messia per avere un autografo o un cenno. Due ragazze mi portano da lui. Chuck è seduto su una poltrona rossa, comodissima, ha in mano un bicchiere d’acqua pieno di ghiaccio. E’ rasato come un centometrista e indossa un completo grigio che sembra luccicare. Mi stringe la mano, sorride, sembra allegro. Parto compulsivamente con le domande:
«Mi spieghi una volta per tutte dove trovi le storie pazzesche e ricche d'immaginazione per i tuoi romanzi? Pezzi di cronaca? Fantasia pura o c'è dell'altro?»
«Parto sempre da storie che mi vengono raccontate poi ci metto del mio. Ascolto molto chi ha esperienze di vita particolari, così sono venuto a sapere delle saponette fatte con la cellulite aspirata nei centri di chirurgia estetica. Un regista di sit-com mi ha raccontato che le risate preregistrate risalgono agli anni ’50 e quindi tutti quelli che le hanno fatte sono morti, oppure sono venuto a sapere che il manichino per esercitarsi alla respirazione bocca a bocca è stato fatto prendendo a modello una donna annegata nella Senna. Sono aneddoti che non lasciano indifferenti.»
«Sì però in questo tuo nuovo romanzo "Rabbia" perché i personaggi sono pervasi da questo sentimento all'apparenza così "minaccioso" o "negativo"? Deriva per caso dallo spirito del tempo?»
«Posso risponderti con le parole di un personaggio del libro: “La storia si divide in mostri e vittime. O testimoni”. Prova a tirare le conclusioni!»
«Questa tua capatina in Italia che effetto fa? Ti sembra che pure qui la realtà superi la fantasia o c'è da fare uno sforzo immaginativo maggiore che negli Stati Uniti?»
«Non so, io in merito alla questione ho una certa idea. Le belle storie si possono trovare dappertutto. In Italia come in America o in Canada o in Lituania. Il lavoro più grosso da compiere non è tanto il cosa si racconta, ma come lo si racconta. Per cui capisci che se uno ci sa fare con il “come” tutto viene da sé.»
«Spesso i ritratti che fai dell'umanità sono ironici, feroci, e senza speranza. Dici che la tua obiettività non ammette repliche o pensi sia meglio nutrire un po' di sana ingenuità?»
«No, l’ingenuità non c’entra. Oggi in Occidente più nessuno è ingenuo. Però i miei romanzi sono sempre pieni di realismo carico di speranza e di energia romantica anche se le situazioni sono estreme e possono sembrare senza via d’uscita. Ma non è così.»
«Per il tuo ultimo romanzo appena pubblicato in Italia quali materiali ti sono tornati utili? Televisione, Rete, contatti umani diretti...?»
«Tutto questo assieme, e una caterva di libri di interviste, perché il libro è costruito proprio nello stile del racconto orale. Ricostruire la vita di un serial killer, come nel caso di “Rabbia”, ha voluto dire andare anche alla ricerca di materiale sui grandi serial killer come Jeff Dahmer e del “clown malvagio” John Wayne Gacy, guardare documentari, documenti e rapporti di medici e psicologi e poi rimescolare tutto per fare una biografia immaginaria.»