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Morire di attesa a Gaza, la storia di un palestinese malato di cancro

di Carlo M. Miele - 09/11/2007




A Gaza si può morire anche di attesa. È il caso Mahmoud Abu Taha, un 20enne palestinese ammalato di cancro, che è morto lunedì scorso all’attraversamento di Erez, dopo aver aspettato per diverse ore il permesso di ingresso nello Stato ebraico.

La storia di Mahmoud ha inizio nell’agosto del 2007, quando gli viene diagnosticato un cancro all’intestino tenue. Dopo una prima fallimentare operazione all’ospedale Nasser di Khan Yunis e una lunga chemioterapia all’European Hospital di Gaza, i medici decidono che è necessario un nuovo intervento di emergenza, che si può effettuare solo nelle strutture ospedaliere israeliane.
 
Diversi tentativi compiuti da allora per ottenere il permesso da Tel Aviv (necessario da quando Israele ha imposto, a giugno, l’embargo sulla Striscia) falliscono. In uno di questi, il padre del paziente palestinese, che tentava di accompagnarlo al nuovo ospedale, viene arrestato dallo Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano.

Nel frattempo Mahmoud continua ad aspetta un permesso che non arriva. A causa della penuria di medicinali dettata dall’assedio, i medici sono costretti a ridurgli le somministrazioni quotidiane di soluzione vitaminica da tre a due, causandogli la perdita di un terzo del suo peso corporeo.

Il via libera arriva solo pochi giorni fa, dopo tre tentativi andati a monte. La sua ambulanza attendere diverse ore al check-point prima di poter passare, ma Mahmoud muore poco dopo essere entrato in Israele.

Ragioni di sicurezza

Ufficialmente, lo Shin Bet nelle precedenti occasioni si era rifiutato di permettere l'ingresso del giovane palestinese in Israele – anche dopo la concessione del permesso dal Dipartimento amministrativo per la coordinazione ed il contatto dell'Esercito israeliano - per ragioni di sicurezza.

Nella ricostruzione del servizio di sicurezza di Tel Aviv “Abu Taha è arrivato ad Erez durante un allarme specifico a riguardo di un attacco terroristico al posto di confine. Poiché non era permesso compiere su di lui un controllo di sicurezza, gli è stato impedito l'ingresso in Israele”.

Il padre di Mahmoud, invece, è stato arrestato per il sospetto coinvolgimento in attività terroristiche.

Vittime dell’embargo

Mahmoud non è l’unica vittima dell’embargo israeliano, imposto a Gaza nel giugno 2007 e sostenuto da Stati Uniti e Unione europea. In cinque mesi – denuncia Human Rights Watch – sono tre i palestinesi morti a seguito del rifiuto del permesso di espatrio.

L’assedio, accompagnato da penuria di medicine e attrezzature minime, continua a devastare il sistema sanitario locale e aggrava una situazione già difficile, condizionata da scarsità di cibo, acqua ed elettricità. In questo momento – denuncia l’organizzazione non governativa israeliana B’Tselem -  il sistema sanitario di Gaza è in grado di fornire solo servizi minimi, mentre la qualità dei trattamenti medici sta peggiorando in maniera rapida e preoccupante.

Chi è gravemente ammalato non ha alternativa che cercare di andare all’estero per ottenere le cure adeguate. La scelta è tra Egitto, Giordania o Israele, il più vicino dei tre, ma l’impresa è sempre più ardua, in quanto i palestinesi che vogliono lasciare Gaza hanno bisogno del permesso di Tel Aviv, spesso negato per ragioni di sicurezza.

Secondo la denuncia di diverse organizzazioni umanitarie, il divieto di passaggio anche per i malati terminali sta diventando la norma a Gaza. Attualmente – afferma il ministero palestinese della Salute - sono sei i casi critici di malati che attendono il trasferimento in strutture ospedaliere all’estero.

A quelli come Mahmoud Abu Taha che  riecono a ottenere il permesso non rimane che restare a Gaza e attendere la morte.

Fonti: B’Tselem, Ha’aretz, New Statesman, Human Rights Watch