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Verso un'etica della biosfera

di Edward Goldsmith - 10/11/2007

 

I moderni filosofi morali hanno avuto la tendenza a studiare l'etica nel vuoto, ignorando le intuizioni delle conoscenze naturali e umane. Anche i più importanti biologi e sociologi, che hanno cercato di correggere questa anomalia, hanno fondato i loro principi etici su una visione della natura e della società molto distorta. Ne è risultata un'etica "da tecnosfera" che fa coincidere il progresso e il bene morale con l'espansione economica e il dominio dell'uomo sulla natura. È perciò necessario ritornare all'etica tradizionale, l'unica capace di collocare i valori etici nel contesto adatto: quello di dare forma al comportamento umano nei suoi rapporti con la società, l'ecosistema, la biosfera e il cosmo stesso.

Scritto per l'Istituto di Scienza e la Società, il 26 gennaio 2003.

Una delle prime domande a cui rispondere in una seria discussione etica è se esista un criterio accettabile per determinare se un'azione è eticamente giusta o no. Dobzhansky ritiene che non possa esistere, perché limiterebbe "la facoltà umana fondamentale per l'esercizio della libertà." [1]

Waddington, invece, pensa che possa esistere.

"Desidero affermare che è possibile discutere, e forse scoprire, un criterio che non è di natura etica, ma che ha un carattere sovra-etico, un criterio cioè che renderebbe possibile decidere se un dato sistema morale è in qualche aspetto chiaramente preferibile a un altro." [2]

Il criterio che egli suggerisce è la "saggezza". Certamente l'uomo saggio, più che l'uomo istruito o l'esperto scienziato, è colui che meglio può distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è.

Che cos'è l'etica?

Penso si possano considerare tutti i sistemi naturali, compreso quello umano, forniti di una serie di istruzioni il cui rispetto, alla luce del modello dei loro rapporti col loro ambiente totale spazio-temporale, li ha messi in condizione di raggiungere lo scopo di aiutare a mantenere la complessiva stabilità e omeostasi della terra e di conseguenza anche la propria. Queste istruzioni sono organizzate gerarchicamente, le più generali, e perciò quelle che determinano le componenti fondamentali del comportamento di un sistema e ne riflettono l'esperienza più duratura, sono differenziate in istruzioni più particolari che definiscono i caratteri meno di radice del sistema, quelli che ha acquisito in un passato più recente.

Una delle caratteristiche più importanti e certamente indispensabili delle istruzioni generali è che devono essere non plastiche e perciò immutabili, almeno nel breve periodo. Questo è il solo modo con cui può essere mantenuta la continuità e perciò la stabilità. È il motivo per il quale l'informazione genetica non è plastica. Se non fosse così, non ci sarebbe nulla che vieterebbe alle zebre di generare dei cuccioli carnivori e viceversa.

Questo è il motivo per cui anche l'informazione culturale, che trasmette il comportamento dei gruppi sociali, non deve essere plastica. Se non fosse così, tali gruppi sociali non sarebbero capaci né di continuità né di stabilità e il loro comportamento non potrebbe essere omeotelico e perciò servire a mantenere l'ordine del Cosmo. Chiamo valori morali tali istruzioni non plastiche a livello culturale.

L'Accettazione dell'Autorità

Waddington afferma chiaramente che le istruzioni sono inutili se non sono accettate e rispettate nel comportamento pratico. Perché ciò sia possibile devono essere autorevoli. Egli considera che "la continuità sociogenetica" non può essere mantenuta "senza la presenza del ruolo di chi accetta l'autorità". Secondo lui

"entrare in una dimensione etica è per l'uomo parte integrante del ruolo del discepolo cioè di chi accetta un'autorità, senza la quale il suo sistema evolutivo culturale socio genetico non funzionerebbe." [3]

Anche Piaget considerava l'etica in questo modo.

"Sembra un fatto innegabile che lungo lo sviluppo mentale del bambino, il rispetto unilaterale, cioè il rispetto sentito dal piccolo per il grande, svolga un ruolo essenziale; è questo che fa accettare al bambino tutti i comandi trasmessigli dai suoi genitori ed è questo il grande fattore di continuità fra le diverse generazioni." [4]

Con la crescita del bambino, ciò potrà produrre eventualmente cooperazione e rispetto reciproco. Si potrebbe ribattere che l'accettazione di conoscenze trasmesse in questo modo è epistemologicamente inaccettabile. Ma come nota Weddington:

" ... una grossa fetta della trasmissione sociale avviene in un'età in cui coloro che la ricevono sono troppo giovani per poter applicare una qualsiasi fra le procedure di verifica, le quali devono essere considerate sistemi relativamente sofisticati di aggiustamento e rettificazione piuttosto che elementi essenziali nel meccanismo fondamentale di accettazione dell'informazione trasmessa, accettazione che non avviene sulla base di un'informazione provata e verificata." [5]

Si può andare oltre. Le affermazioni non vengono accettate nel mondo reale, né dagli scienziati, né dai bambini, per il fatto di essere state verificate o perché sono falsificabili, ma perché si adattano a un particolare paradigma o visione del mondo che, nel caso dei bambini, può essere embrionale e perciò nello stadio formativo. Certamente la verifica "empirica", come Popper ha dimostrato decenni fa', non è un concetto realistico.

Il processo col quale ci costruiamo l'informazione è stato in ogni caso convalidato dallo stesso processo evolutivo, del quale è il risultato. Scrive Waddington

" ... come tutti gli altri prodotti dell'evoluzione, l'informazione è stata modellata dalla necessità di adattarsi o meglio accordarsi col resto del mondo naturale. L'intelletto è uno strumento forgiato per lo scopo specifico di stabilire buoni rapporti con le cose." [6]

Si tratta qui di un punto esenziale che raramente è riconosciuto e la cui accettazione è sufficiente da sola a convalidare le conoscenze acquisite soggettivamente attraverso l'intuizione dai membri delle società che hanno imparato "ad accordarsi col resto del mondo naturale."

Cos'è, ci possiamo chiedere, che rende accettabili, da parte del ricettore di autorità, le istruzioni fino ad adottarle come principi etici ispiratori del suo codice di condotta? La risposta è che devono essere sanzionate, autenticate, convalidate, certamente santificate da qualcosa di più importante di lui stesso e che egli riconosce incorporare saggezza, autorità e santità. Matthew Arnold si riferisce a questo con le parole "qualcos'altro, non noi stessi, che garantisce la nostra rettitudine." [7]

È giusto supporre che in quel "qualcosa che non siamo noi stessi" ci sia anche il mondo naturale di cui siamo fisicamente parte integrante e le cui leggi dobbiamo evidentemente rispettare se vogliamo sopravvivere. Sembra probabile, e ciò è significativo, che siamo cognitivamente adattati dalla nostra eredità genetico-culturale a considerare la natura la fondamentale autorità. Come scrive Worster:

"Poche idee sono state ripetute così spesso e in così tante forme come la credenza che l'essere della natura deve diventare il dovere dell'uomo." [8]

Persino nel diciannovesimo secolo, un periodo che ha visto lo svilupparsi di un'euforia tecnosferica e di una rivolta contro la natura, rivolta che aiutò a razionalizzare l'euforia, i sociologi continuarono a guardare alla natura come la prova definitiva del sistema etico. Come scrive Greta Jones:

"La ricerca di una teoria sociale è stata, per la grande maggioranza dei sociologi del diciannovesimo secolo, la ricerca di un fondamento naturale per l'ordine sociale e non solo ma anche di una teoria degli obblighi individuali per rispettare quell'ordine." [9]

Persino coloro che esplicitamente rifiutano la nozione che l'etica umana deriva dalla natura non possono, nonostante se stessi, fare a meno di ricavarla in quel modo. Così Lester Ward, che considerava la natura matrigna e predicava lo sviluppo di un'economia controllata dallo stato come mezzo per costruire il paradiso in terra, affermava che il suo programma era il solo che poteva "riportare la società nel libero corso della legge naturale." [10]

Anche Edward O. Wilson, il padre della sociobiologia del ventesimo secolo, il quale nega strenuamente che la nostra etica possa derivare dalla natura, non può fare a meno di dirci, in un momento di distrazione, che i nostri valori etici sono il prodotto del processo evolutivo.

"Il biologo che si occupa di questioni di fisiologia e storia evolutiva si rende conto che la conoscenza di sé è limitata e formata dai centri di controllo delle emozioni nell'ipotalamo e nel sistema limbico del cervello ... Siamo allora costretti a chiederci: come è stato fatto il sistema libico e dell'ipotalamo? La loro evoluzione è stata determinata dalla selezione naturale. Questa semplice affermazione biologica deve essere seguita per spiegare l'etica e i suoi filosofi, se non anche l'epistemologia e gli epistemologi, a tutti i livelli." [11]

L'Evoluzione come Fonte dell'Etica

Se la natura, insieme alla luce della coscienza morale, fa parte di quel "qualcosa che non siamo noi stessi" e spinge alla rettitudine, ciò vuol dire che il comportamento etico deve mettere in condizione un essere vivente di inserirsi nel mondo della natura, di comportarsi come parte di essa e perciò rispettarne le leggi e i limiti. In particolare, ciò vuol dire che il processo evolutivo che ha prodotto il mondo naturale, con tutti i sistemi vitali connessi, deve fornire la guida migliore al comportamento etico.

Era questo il punto di vista sia di C. H. Waddington che di Julian Huxley. "Dobbiamo accettare" scrive Waddington "la direzione dell'evoluzione come buona per il solo fatto che è buona secondo ogni definizione realistica di quel concetto ... " [12] Ciò è semplice buon senso. Certo

" ... se un individuo avvicina un nutrizionista e dice di preferire crescere in modo anormale e poco sano, il nutrizionista non può fare a meno di dirgli che se fa così si troverà squilibrato rispetto alla natura. Il criterio della saggezza biologica o della crescita sana sono immanenti alla natura e non giustapposti ad essa ... Il principio che applichiamo è di concordanza generale con la natura del mondo come la osserviamo." [13]

Anche Julian Huxley la pensava nello stesso modo. Nelle sue Romanes Lecture del 1944, affermò che c'è una direzione di massima nell'evoluzione. Questa direzione la definiva buona e pensava che fornisse un metro per misurare i valori etici su cui potremmo avere dubbi. Questo punto è stato affrontato ancora più chiaramente e con più forza da Ralph Gerard, uno dei biologi più autorevoli all'università di Chicago negli anni 1940, che sosteneva che

"un disegno evidente in una direzione osservata in natura fornisce all'uomo tutta la guida di cui ha bisogno per il dover essere. Se si scopre che la natura è un mondo di interdipendenza, allora l'uomo deve considerare quella caratteristica come un affermazione morale." [14]

La tensione evolutiva verso una maggiore integrazione era, diceva,

"come un sentiero diritto in un bosco fitto, che richiedeva per il cercatore di sentieri che restasse sulla traccia e lo seguisse tutto fino in fondo." [15]

Purtroppo, questi ricercatori erano imbevuti della visione modernista del mondo il cui compito principale è di razionalizzare e perciò legittimare lo sviluppo economico, la peripezia cioè a cui la nostra società è totalmente votata e che porta alla crescita della Tecnosfera o mondo surrogato di artifici umani. Non vi è da sorprendersi se cercarono soprattutto di convincere se stessi e gli altri, che l'impresa Prometeica a cui si erano dedicati anima e corpo era fondamentalmente morale. Neppure C. H. Waddington o Julian Huxley, nonostante tutta la loro capacità intuitiva, hanno fatto eccezione a questa regola.

Ma prima di esaminare i loro punti di vista, consideriamo quello di Herbert Spencer e dei Darwinisti sociali che li hanno preceduti.

I Darwinisti Sociali

Herbert Spencer e i suoi colleghi predicarono un'etica individualista di aggressione e competizione, un'etica che giustificavano come conforme alla "legge naturale". Spencer scrive:

"Il progresso non è una malattia ma una necessità. Anziché essere una civiltà artificiale, fa parte della natura, è un tutt'uno con lo sviluppo di un embrione o il dispiegarsi di un fiore." [16]

I Darwinisti sociali dipinsero però un' immagine della natura molto distorta. La videro come casuale, caotica, atomizzata, competitiva e aggressiva, ignorando i suoi aspetti cooperativi fondamentali. Per William Graham Summer, il principale profeta del Darwinismo sociale negli USA, "la competizione", nelle parole di Richard Hofstadter, "è la legge di natura di cui non si può fare a meno insieme alla legge della gravitazione." [17]

L'enfasi sulla competizione era un principio fondamentale del Darwinismo sociale, dato che nei termini del Darwinismo stesso, allora teoria ufficiale, e più tardi in quelli del neo-Darwinismo, la competizione rappresentava il motore stesso dell'evoluzione. Per la stessa ragione era essenziale al progresso. I poveri, i morti di fame e gli ammalati, che venivano identificati con i non adatti, potevano perciò essere messi da parte senza scrupoli morali. Come scrisse Spencer "L'intero sforzo della natura è ripulire il mondo dai non adatti e fare spazio per i migliori." [18] Questa è ancora l'etica della nostra moderna società di mercato. Bisogna sottolineare che era anche l'etica di Adolf Hitler che scrisse

"la legge della selezione giustifica questa incessante lotta permettendo la sopravvivenza del più adatto. Il Cristianesimo è una ribellione contro le leggi naturali, una protesta contro la natura. Portato alle sue logiche conseguenze estreme, il Cristianesimo significherebbe il sistematico culto del fallimento umano." [19]

La Reazione contro la Natura

Come Spencer e T. H. Huxley negli anni 1890, Gaylord Simpson e Jacques Monod negli anni 1950, e Edward O. Wilson, Richard Dawkins e gli altri sociobiologi più recenti, vedono un mondo egoista, individualista e aggressivo. Infatti T. H. Huxley, il più celebrato discepolo di Darwin, scrive che

"dal punto di vista del moralista, il mondo animale sta sullo stesso livello di uno spettacolo di gladiatori. Le creature sono trattate abbastanza bene e portate alla lotta, nella quale la più forte, la più svelta e la più astuta vive per lottare un altro giorno. Lo spettatore non ha bisogno di fare pollice verso, perché la lotta è senza quartiere." [20]

Ma a differenza di Spenser, Huxley credeva che "il progresso etico della società non nasce dall'imitazione del cosmo, e ancor meno dall'allontanarsi da esso, ma dal combatterlo." [21] Certo che

"il progresso sociale coincide con una verifica del processo cosmico ad ogni passo, e la sua sostituzione con un altro, che si potrebbe chiamare il processo etico, il cui scopo non è la sopravvivenza di coloro che si potrebbero chiamare i più adatti, nel rispetto della globalità delle condizioni che ottengono, ma di coloro che sono eticamente migliori."

Questo progresso etico lo identifica col progresso materiale. La stessa visione antinaturalistica è stata espressa da Sigmund Freud, che ha visto lo sviluppo della civiltà come una guerra sistematica contro gli istinti naturali dell'uomo. Questa era anche la visione di Lester Ward. Come sottolinea Donald Worster,

"Ward vedeva la via del progresso e della redenzione morale in una guerra sistematica contro la natura che soprattutto voleva dire 'cambiare l'egoismo competitivo che tutti gli uomini hanno ereditato dai loro antenati animali'." [22]

È anche la posizione dei sociobiologi particolarmente in voga oggi. Per loro (come per tutti i moderni neodarwinisti) l'uomo è per natura un individualista e un egoista e la sua principale preoccupazione è la sopravvivenza dei suoi geni. Ciò non vuol dire che siamo costretti a comportarci egoisticamente. Certo, come afferma Dawkins

"Abbiamo il potere di sfidare i geni egoisti della nostra nascita e, se necessario, le egoistiche memorie del nostro indottrinamento. Possiamo anche discutere modi di coltivare e alimentare volontariamente un altruismo puro e disinteressato, una cosa che non ha alcun posto in natura, una cosa che non è mai esistita nell'intera storia del mondo. Siamo costruiti come macchine di geni e acculturati come macchine di memorie, ma abbiamo il potere di rivoltarci contro i nostri creatori. Noi soli sulla terra possiamo ribellarci contro la tirannia degli replicatori di egoismo." [23]

Altrove Dawkins scrive:

"Se, come me, volete costruire una società in cui gli individui cooperino generosamente e altruisticamente verso un bene comune, potete aspettarvi ben poco aiuto dalla natura biologica. Cerchiamo di insegnare l'altruismo e la generosità, perché siamo nati egoisti. Cerchiamo di capire a che cosa mirano i nostri geni egoisti, perché potremmo avere almeno la possibilità di convertire il loro progetto, una cosa a cui nessun altra specie ha mai aspirato." [24]

Gaylord Simpson e Jacques Monod avanzano un argomento grosso modo simile. Per loro, l'aspetto più rilevante della natura è la sua casualità e mancanza di scopo. Gaylord Simpson dice "L'uomo è il risultato di un processo materialistico e casuale che non aveva l'uomo in mente. Non era in programma." [25] Per Simpson ciò ha delle drammatiche conseguenze etiche.

"La scoperta che l'universo, a parte l'uomo o prima della sua venuta, mancava di qualunque scopo o programma, ha l'inevitabile corollario che le opere dell'universo non possono fornire alcun criterio etico automatico, universale, eterno o assoluto di giusto o sbagliato, di bene e di male. Questa scoperta ha completamente annientato tutti i precedenti tentativi di trovare un'etica intuitive o di accettare un'etica simile come rivelazione, allo stesso modo ha annientato i tentativi di trovare un'etica naturalistica che potrebbe scaturire con assoluta validità dalle opere della natura o dell'evoluzione come nuova rivelazione." [26]

Jacques Monod ha fatto più o meno le spesse affermazioni "Dato che l'uomo non ha alcun ruolo nella biosfera ed è un estraneo in essa, la biosfera non può imporre sull'uomo alcun valore." [27] Che cosa allora ci può dare un'ispirazione etica? Si presume sia la tecnosfera, cioè il mondo degli artifici umani, prodotto dallo sviluppo economico o progresso.

Gli Evoluzionisti

Ritornando a Julian Huxley e C. H. Waddington essi, come abbiamo visto prima, sono andati molto vicino al riconoscimento di un'etica della biosfera. Se non ci sono arrivati è solo perché hanno accettato la visione "gladiatoria" della natura prevalente alla loro epoca. Forse non avrebbero comunque potuto fare diversamente dato che questa concezione era, e ancora è almeno fra gli scienziati più autorevoli, profondamente radicata. Fra l'altro, contiene implicitamente la teoria Darwinista e neoDarwinista dell'evoluzione, i cui principi fondamentali non potevano essere messi in discussione da nessuno scienziato senza perdere immediatamente credibilità fra i suoi colleghi.

Comunque, a differenza di T. H. Huxley, Julian Huxley e C. H. Waddington credevano che solo dalla natura possiamo trarre il nostro sistema etico. Inoltre, a differenza dei Darwinisti sociali, non consideravano che questo sistema dovesse essere basato su un'etica individualistica e competitiva. Al contrario credevano fermamente nella cooperazione e nell'armonia. La loro posizione era perciò stranamente contraddittoria e i loro sforzi per eliminare la contraddizione non convincenti.

Comportavano infatti avanzare la tesi che oltre alla natura anche la natura umana era soggetta ai cambiamenti evolutivi, che identificavano col progresso che vedevano tendere verso un incremento dell'armonia e della cooperazione. La riflessione è espressa al meglio da Julian Huxley stesso. Formalmente rifiutava la tesi di suo nonno T. H. Huxley secondo cui esiste "una contraddizione fondamentale fra il processo etico e il processo cosmico" [28] Se il più anziano degli Huxley credeva questo "era perché riteneva il processo etico assoluto e universale, mentre ai suoi occhi il processo cosmico avveniva a un livello puramente biologico." [29]

"Oggi", scrisse Julian Huxley,

"quella contraddizione può essere risolta, da una parte allargando il concetto di evoluzione sia indietro al regno inorganico e avanti nel campo umano, e dall'altra considerando l'etica non un corpo di principi fissi, ma come prodotto dell'evoluzione, e in evoluzione lei stessa." [30]

Il progresso, parte integrante dell'evoluzione, ha reso l'uomo meno individualista e competitivo, più cooperativo e altruista ed era questa etica cooperativa e altruista che esprimeva l'evoluzione umana o progresso.

Così anche se Julian Huxley e Waddington si consideravano fautori di un'etica della biosfera o naturalistica, insistendo che il progresso era parte dell'evoluzione e che la tecnosfera, o mondo degli artifici umani, faceva parte della natura, tentarono di giustificare il processo stesso dello sviluppo economico che sta portando inesorabilmente alla distruzione e annichilimento della natura.

Una posizione simile era stata espressa antecedentemente in modo molto esplicito da Drummond, il teologo americano, che insisteva che "la via del progresso e la via dell'altruismo erano la stessa cosa" dato che l'evoluzione "non è altro che l'Involuzione dell'Amore, la rivelazione dello Spirito Infinito, la Vita Eterna che ritorna a se stessa." [31]

Questa è anche la posizione del premio Nobel Ilya Prigogine, che giustifica così l'ultima fase del progresso tecnologico - l'ingegneria genetica - la quale secondo lui fornisce i mezzi per arrivare a un nuovo paradiso terrestre.

Perciò, nonostante le loro differenze, tutti gli studiosi che ho citato hanno formulato un'etica che serve sopra a tutto a razionalizzare e convalidare l'impresa Prometeica che volgarmente chiamiamo progresso e che fa dominare la tecnosfera, o mondo surrogato di artifici umani.

Si potrebbe chiamare tale etica "della tecnosfera" e metterla in contrapposizione con l' etica della biosfera, il cui compito, in netto contrasto rispetto all'altra, è di razionalizzare e convalidare la tutela e arricchimento del mondo naturale da cui dipende in ultima istanza la nostra sopravvivenza. Prima di procedere oltre, vale la pena considerare un po' da vicino le principali componenti dell'etica della tecnosfera.

La Moralità comincia con l'Uomo Moderno

Un pilastro cardinale dell'etica della tecnosfera, accettato da tutti gli studiosi citati finora, è che la moralità comincia con l'uomo moderno e che non si può parlare dell'uomo primitivo o di altre forme di vita come "morali". Così T. H. Huxley dice che

"la società differisce dalla natura nel fatto di avere un definito oggetto morale; perciò è una conseguenza ovvia che la via formata dall'uomo etico, come membro di una società di cittadini, necessariamente si scontra con quella che tende ad adottare l'uomo non etico, il selvaggio primitivo o l'uomo inteso solo come membro del regno animale. Il secondo lotta nella gara per la sopravvivenza fino all'amara fine, come qualsiasi altro animale; il primo dedica le sue migliori energie al compito di mettere dei limiti alla gara." [32]

Anche se Julian Huxley vedeva il progresso come parte dell'evoluzione, insisteva che si trattava di un processo etico, e che prima l'evoluzione non lo era.

"L'esistenza dell'uomo sulla terra," scrive "ha introdotto la moralità nel Cosmo nello stesso modo con cui più tardi ha introdotto le cosiddette Leggi di Natura ... La legge morale non esiste finché non appare l'uomo, con la sua capacità di percepire il bene e il male e di generalizzare il giusto e l'errore." [33]

Anche Waddington assunse la stessa posizione: "è solo quando passiamo dal mondo sub-umano a trattare dell'evoluzione dell'uomo che l'etica, per la sua parte, entra nel quadro." [34] Nello stesso tono Simpson, che pure vedeva il progresso come distinto dall'evoluzione, scrive:

"Non esiste altra etica che quella umana e una ricerca che ignori la necessità che l'etica sia umana, relativa all'uomo, è destinata a fallire." [35]

Scopo

Gran parte di questi studiosi (Simson e Monod specialmente) sono d'accordo sul fatto che l'evoluzione è un processo casuale, cieco e senza scopo ma insistono che ciò è vero solo finchè non compare l'uomo, anzi più precisamente l'uomo moderno. Lester Ward ha anche manifestato il suo pensiero secondo cui solo con la comparsa dell'uomo può esservi uno scopo.

"Se manca ogni scopo cosmico esiste almeno lo scopo umano, che ha già dato all'uomo un posto speciale in natura e può ancora dare, se lo vuole, organizzazione e direzione alla sua vita sociale. L'agire finalizzato deve da ora in poi essere riconosciuto come una funzione propria non solo della vita individuale ma anche dell'intera società." [36]

Ward distingue fra i fenomeni fatti dall'uomo come risultato degli scopi umani, che lui chiama "telici" (dalla parola greca telos, cioè scopo), e i fenomeni naturali o genetici, come risultato delle cieche forze naturali.

È significativo che anche sir Peter Medawar considerava che non poteva esservi scopo senza consapevolezza e che siccome solo l'uomo è cosciente, solo il suo comportamento sarebbe veramente finalizzato.

La Conoscenza

Tutti coloro che condividono l'etica della tecnosfera sono d'accordo sull'idea che la conoscenza comincia con l'uomo, o meglio con l'uomo moderno. Nelle forme di vita non-umane e presumibilmente fra i popoli primitivi, c'è solo l'esperienza, mentre con l'uomo moderno c'è l'educazione. Ciò fa tutta la differenza, perché secondo Ward

"la conoscenza dell'esperienza è, per dir così, un prodotto genetico, mentre quella dell'educazione è un prodotto teleologico." [37]

Monod e Simpson danno così tanta importanza alla conoscenza che in realtà predicano un'"etica della conoscenza". Monod vede questa come l'unica etica possibile all'uomo moderno. Tale conoscenza etica sarebbe diversa da quella dell'uomo animista, col quale intende l'uomo primitivo, perché quest'ultimo crede nella teleologia, una credenza che, per Monod, è un errore ripugnante, giacché la considera l'opposto dell'oggettività, che è la sola a incarnare ciò che egli considera conoscenza autentica.

L'Etica della conoscenza di Monod è una parte essenziale dell'etica della tecnosfera, dato che è solo attraverso il tipo di conoscenza autentica che egli promuove come etica che può essere costruita la tecnosfera. Julian Huxley è esplicito su questo punto. "La conoscenza non è solo fine a se stessa, ma il solo mezzo soddisfacente per controllare la nostra evoluzione futura." [38] Se la conoscenza è buona e la sua acquisizione essenziale per assicurare la marcia del progresso, allora deve seguire quella

"moralità sociale che evidentemente comprende il dovere di fornire un'immensa espansione della ricerca e la sua progettazione integrata per fornire le basi ad un cambiamento desiderabile." [39]

Ragione e Scelta

Un terzo elemento dell'etica della tecnosfera è che solo con la consapevolezza, lo scopo, la conoscenza e tutti gli altri cosiddetti doni esclusivi dell'uomo moderno, emergono la ragione e la scelta, senza le quali non ci può essere nessuna moralità.

Monod dice che la sua etica della conoscenza differisce da tutte le altre etiche per il fatto che sarebbe adottata con un atto di scelta consapevole. Simpson sostiene che la scelta è moralmente buona, mentre "La fede cieca è moralmente sbagliata." [40]

Col crescere della conoscenza, le nostre scelte razionali cambieranno o piuttosto "evolveranno". Ciò vuol dire che la nostra etica deve essere flessibile: non può essere assoluta e nemmeno universale. Il cambiamento, insiste Simpson, è l'essenza dell'evoluzione e questa ragione basta ad affermare che "non ci può essere nessun codice etico assoluto." [41] Anche Waddington considerava che l'etica evolutiva come la vedeva lui.

"non ci si può aspettare che sia assoluta, ma soggetta all'evoluzione stessa e risultato di una scelta responsabile e razionale nella piena luce della conoscenza dell'uomo e della vita come quella che abbiamo." [42]

Questo era fondamentalmente anche il punto di vista di Julian Huxley.

Individualismo

L'etica della tecnosfera è essenzialmente individualista. Simpson afferma che anche se cerchiamo di ricavare l'etica dalla natura essa sarà sempre individualistica dato che l'evoluzione tende all'individualizzazione (invece di un più alto livello d'integrazione, come un tempo credevano gli ecologisti). Questo individualismo Simpson lo considera buono. L'uomo deve essere consapevole "della bontà di mantenere questo individualismo" e promuovere

"l'integrità e dignità dell'individuo ... La socializzazione può essere buona o cattiva. Quando è eticamente buona è fondata su un individualismo eticamente buono a cui offre la massima opportunità." [43]

L'uomo non ha doveri verso lo stato (che Simpson non distingue dalla società). Quelli che sostengono che li ha sono solo propagandisti dello "stato organico", una nozione usata "per giustificare le ideologie autoritarie e totalitarie." [44] L'individualismo, d'altra parte, Simpson lo associa alla democrazia. La società democratica, per tutti coloro che sposano un etica della "tecnosfera", è il prodotto del "contratto sociale", cioè di una scelta finalizzata, cosciente e razionale basata sulla conoscenza scientifica. Per questo è "buona". Come ha scritto William Graham Sumner:

"il Contratto è razionale, persino razionalista. È anche realista e un freddo dato di fatto. Un rapporto contrattuale è basato su una ragione sufficiente, non su abitudini o prescrizioni. Non è stabile per sempre. Dura solo fintanto che i motivi che lo hanno messo in piedi lo fanno durare. In uno stato fondato sul contratto i sentimenti sono fuori posto in ogni affare comune o pubblico, restano relegati nella sfera dei rapporti privati e personali." [45]

I doveri dell'individuo nei confronti dello stato perciò finiscono quando si rescinde il contratto.

Anche Julian Huxley e Waddington accettarono l'etica dell'individualismo, ma era moderata dalla loro consapevolezza che, nelle parole di Huxley, "l'individuo isolato non ... ha senso" e in quelle di Waddington "un essere umano pienamente maturo è inconcepibile isolato dalla società." [46] Comunque, secondo Huxley

"un più pieno individualismo è uno scopo evolutivo: l'individuo umano sviluppato è il più elevato prodotto dell'evoluzione; le esperienze che hanno un altissimo valore intrinseco, come quelle dell'amore, della bellezza, della conoscenza e dell'unione mistica, sono accessibili solo agli individui umani ... ciononostante una certa giusta organizzazione della società è necessaria come mezzo prima che tali fini possano essere raggiunti." [47]

Questa società, non importa dirlo, Huxley la vede come un unità politica fatta dall'uomo. Sono le Nazioni Unite che lo impressionano, dato che potrebbero portare a un'unica società mondiale.

Per i sociobiologi non si può concepire altro che un'etica individualistica. Lo scopo principale dell'individuo, per loro e certamente per coloro che hanno accettato le ultime varianti del neodarwinismo, è la proliferazione dei propri geni. La nozione che questo scopo possa, nel mondo naturale, essere subordinato a quello più sensibile di servire gli interessi della comunità o delle specie o dell'ecosistema è considerato non scientifico e coloro che lo avanzano, come fa il prof. Wynne Edwards, vengono derisi senza pietà.

L'eventualità di un comportamento altruistico, col quale intendono ogni comportamento che tenda a soddisfare i bisogni di qualsiasi unità più ampia dell'individuo, è contemplata, ma viene spiegata semplicemente in termini di analisi dei costi-benefici a corto termine, fondate sul principio che, in date circostanze, l'altruismo fornisce gli strumenti per soddisfare gli scopi individuali preminenti della massima proliferazione genetica.

Vi è una terribile coerenza in simili argomenti dato che non ci possono essere alternative a un'etica individualista per un uomo moderno "cosciente" e "razionale", si suppone liberato da un subconscio, dalle emozioni, dai sentimenti, dalla fede, e a cui non sono permessi attaccamenti che non siano di natura razionale e contrattuale, nessuna identità in un mondo casuale e senza fini, o al massimo un'identità immersa in una megasocietà votata alla crescita perpetua.

L'Uomo come Unica Fonte di Valori

Dato che l'etica moderna è il prodotto di scelte consapevoli, basate su conoscenze "oggettive" e perciò "scientifiche", essa è autenticata e certificata da nessun altra autorità esterna se non da quella dello stesso uomo moderno, dotato, come si suppone sia, di tutti i suoi specialissimi doni intellettuali e morali e armato delle straordinarie potenzialità della conoscenza scientifica. Simpson dice che "L'uomo può essere attaccato ai valori, se lo desidera" [48] , ma sono i suoi valori autoimposti. Non si pu