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Dal comunismo al capitalismo "reale". Rumeni, un popolo di disperati

di Massimo Fini - 10/11/2007

     

 

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Quello romeno non è un popolo di delinquenti, ma di disperati. Personalmente ne conosco tre che vivono in Italia. Il primo è un ragazzo di 32 anni, diplomato nel suo Paeseì, che fa l’aiuto di un vetraio. La seconda, laureata in economia in Romania, fa la badante. La terza è una splendida ragazza, laureata in Storia, che fa l’entraineuse, cioé in pratica la prostituta, in un noto locale notturno di Milano.Ho chiesto loro come fosse la vita in Romania sotto Ceausescu.
Il diritto allo studio era garantito a tutti e non c’erano difficoltà a trovare lavoro. Le pensioni erano decorose e comunque sufficienti perché il costo della vita era basso e i prezzi stabili.
L’essenziale era garantito, il superfluo un sogno. A soffrire erano soprattutto gli artisti perché mancava la libertà. L’apertura al libero mercato ha completamente disgregato quella società. Oggi a petto di enormi ricchezze c’è una maggioranza di miserabili che non hanno di che vivere e quindi, se possono, emigrano. Inoltre una cosa è essere poveri dove tutti, più o meno, lo sono, altra è esserlo dove brilla un’opulenza vistosa e vissuta come offensiva. Questo è il cocktail micidiale che scatena la violenza. La stessa cosa è accaduta in Russia dove, dopo la caduta del regime, i delitti sono decuplicati.
Ci sono gli Abrhamovic che si comprano il Chelsea, ma con lo stipendio di un professore di università si compra una coscia di pollo. L’errore è stato di immettere brutalmente nelle società ex comuniste l’economia del ‘capitalismo reale’ senza salvare prima le povere, ma concrete, conquiste del ‘socialismo reale’. Si sono confuse le riconquistate, e sacrosante, libertà civili con il libero mercato. Ma non sono la stessa cosa.